23 febbraio 2016

Franco Battiato | Lo stato intermedio, quella “gaffe” chiamata morte



“Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”…  Il grande filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein ci aveva avvertito circa il limite intrinseco al parlare discriminante che occulta, più che rivelare, i significati reconditi di una realtà da cogliere intuitivamente più che razionalmente, nel silenzio (e nell’ascolto) più che nella chiacchiera speculativa. Ma poi ci sono cose di cui non si vuole parlare ma si dovrebbe, e allora il silenzio è più simile a una omissione fintamente consolatoria, una via di fuga e, peggio ancora, una imperdonabile menzogna… Tra queste “cose di cui non si vuole parlare” c’é senz’altro la morte, un tema che nella cultura occidentale viene esorcizzato in tutti i modi, se non addirittura rimosso, scaltramente evitato.


“La nostra società teme la morte. È tanatofobica, dannatamente tanatofobica. La morte è il tabù della nostra società. La morte nella nostra società è come gravata da inibizione comunicativa. Parlarne significa infrangere le convenzioni e commettere una specie di gaffe” (Gianluca Magi). Ben vengano, dunque, ai fini di un risveglio delle coscienze, “gaffe” sovversive come il libricino appena uscito nelle librerie, edito da Arte di Essere, dal titolo Lo stato intermedio ‎che fa dialogare le voci di Franco Battiato e Gianluca Magi proprio sul tema della morte, ‎ senza troppi giri di parole e con la profondità essenziale, l’audacia  e la sana ironia di cui possono essere capaci solo i visionari.
L’accoppiata Battiato-Magi non può che rientrare a pieno titolo nel girone degli immaginalisti creativi. Guardando con l’occhio interiore si può entrare in intimità con il mondo spirituale (di ciò che è invisibile, intangibile), e questo è il primo passo 
per comprendere il senso autentico di ciò che chiamiamo “nascere” e “morire”. Primo passo ma forse anche l’ultimo, nel senso che è l’unico gesto consapevole richiesto ai fini del risveglio dalle illusioni, morte inclusa

‎"L’attenzione è la strada verso l’immortalità,
la disattenzione è la strada verso la morte.
Gli attenti non muoiono, 
i disattenti sono come già morti"
(Dhammapada, 21)

bardoarticolo

 “La vera morte è non trasformarsi mai.
Niente scompare, tutto cambia.
Se accettiamo le nostre trasformazioni, siamo immortali.”
(Gianluca Magi)

Attenzione e trasformazione. Presenza e impermanenza. Consapevolezza e non attaccamento. Eccole, le parole chiave con cui far crollare qualsiasi tabù sulla morte e accogliere il senso immediato di liberazione che ne consegue. L’attenzione della presenza è coscienza dell’essere qui e ora, senza preoccupazioni per il futuro o rimpianti per il passato, è l’unico tempo che richiede di essere vissuto dall’anima, il resto sono “paranoie” della mente, attaccamenti dell’ego (i veli di chitta maya, per dirla con i buddhisti), depistaggi dell’incoscienza (ovvero della non conoscenza che in sanscrito suona come avidja), insomma: sogno o “pura allucinazione” parafrasando Franco Battiato in un altro prezioso libricino a più voci (Il silenzio e l’ascolto – Conversazioni con Pannikar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi).

E sempre Battiato, non si domandava forse in una delle sue celebri canzoni: “Chi sono, dove sono quando sono assente di me”? (Chan-son Egocentrique). Non basta vivere, bisogna essere coscienti di vivere, e non serve fingersi impermeabili alle sensazioni o alle emozioni, anzi. Non si tratta di diventare più o meno buoni, bravi o “spirituali”, ma più sensibili, ampi e resilienti. E per farlo, l’unica attitudine richiesta è l’attenzione.

La presa di coscienza della vita è una simultanea presa di coscienza anche della morte.


“Per i tibetani il perdere coscienza durante la morte è il riflesso dell’assenza di consapevolezza durante la vita” ci ricorda Gianluca Magi nel libro Lo stato intermedio, evocando una delle letture fondamentali a riguardo – il Bardo Thodol noto in Occidente come Il libro tibetano dei morti – lettura molto impegnativa ma recentemente “riadattata” dal maestro tibetano Sogyal Rinpoche nell’opera intitolata Il libro del vivere e del morire.  “Morire è solo trasformarsi in un passaggio da una dimensione a un’altra – gli fa eco la riflessione di Battiato. Tutti dobbiamo passare attraverso questo cambio di esistenza. Anche chi non studia assolutamente questo passaggio”… Tanto vale studiarlo, aggiungerei – anzi, esperirlo direttamente – quando si è ancora in vita. Ed eccolo, il punto cruciale: nascita e morte sono in realtà processi simultanei, come dentro a un respiro, composto di inalazione ed esalazione.


L’esistenza è un grande respiro universale in cui si nasce e si muore continuamente.

 “Nell’esalazione c’è il giorno, nell’inalazione la notte” suggerisce il grande filosofo e mistico shivaita Abhinavagupta alludendo all’atto creativo che ogni esistenza incarnata compie quotidianamente: creare e distruggere, manifestare all’esterno e riassorbire all’interno, senza soluzione di continuità. Se si prende dimestichezza con questo processo di creazione e distruzione, manifestazione del reale e riassorbimento delle sue proiezioni, che permea le nostre vite incessantemente – in una parola, con l’impermanenza (o vacuità, termine caro ai tibetani) – il momento della morte apparirà finalmente per ciò che è:  non fine, non inizio, ma passaggio.

La meditazione è senz’altro una delle corsie preferenziali per raggiungere tale dimestichezza, per entrare in contatto con ciò che é invisibile, intangibile, impermanente e silenzioso. In una parola: spirituale. Che altro è meditare se non fare esperienza della morte? Se non entrare in ascolto dell’anima (essere universale) compiendo il sacrificio (sacrum facere) dell’ego (essere individuale) nell’immobilità di un gesto di resa totale che è amore? Surrender, abbandono, resa totale, fiducia nello spirito. Entrando nel sacro si entra in se stessi, avrebbe aggiunto a questo punto Alejandro Jodorowsky e, come contrappunto nella musica delle sfere, il canto del silenzio di Raimon Pannikar:

"Il silenzio ha direttamente a che fare con l’ascolto. Il silenzio non si può creare se non si sa ascoltare. Non è un atto puramente fisico, il saper ascoltare. Sapere inteso come sapida scienza, come conoscenza… Saper ascoltare la musica delle sfere, avrebbe detto Pitagora… La prima cosa da fare per entrare nel silenzio è saper ascoltare… Per poter entrare nel silenzio, devo saper stare zitto non solo con le parole ma anche con il corpo. Senza una certa immobilità del corpo non si può conseguire l’immobilità dello spirito. Uno dei grandi dogmi occidentali è quello della volontà: se fai una cosa, questa deve avere un fine. In sanscrito, invece, una parola che esprima il concetto di volontà neppure esiste. Ci manca una dimensione femminile, da intendersi come disponibilità all’accoglienza, come fiducia nello spirito. É un guaio questo voler sempre prendere l’iniziativa". (Il corsivo è mio)


Si può fare esperienza della morte ogni volta che ci si rende disponibili ad accogliere, mollando la presa sul controllo (il potere del darsi) che altro non è se non un generatore automatico di paure, tensioni, inquietudini, timori, perplessità. Più ci si aggrappa alla vita – questo voler prendere sempre l’iniziativa – più si teme la morte. “La paura della morte non è effettivamente ciò che sembra, cioè il timore che la vita si arresti.  Se sperimento la vita come possesso, io ho paura della morte, ovvero di perdere ciò che ho … La paura di affrontare l’abisso della non identità, dell’essere perduto“. (Gianluca Magi)

Ma non esiste perdita per chi non ha nulla da perdere, nemmeno il nulla può nuocere al nulla.





Al momento della morte, non avviene una morte “reale”, perché la nostra natura innata è al di là del tempo. Nel Bardo le fiamme non possono bruciarci, le armi non possono ferirci, tutto è illusorio e privo di sostanza: tutto è vacuità. […] Le esperienze che appariranno al momento della morte sono inconcepibili. La cosa più importante è ricordare di non essere tristi o depressi, non ve ne sarebbe motivo. Bisogna mantenere piuttosto l’atteggiamento di un viaggiatore che ritorna a casa. Tutti, più o meno, siamo prigionieri delle nostre abitudini, paure, illusioni. Le sofferenze dovrebbero indurci ad abbandonare l’ego, che chiude la strada del ritorno alla nostra natura divina.



Letture consigliate

statointermedio



Il Silenzio e l'Ascolto
Conversazioni con Panikkar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi
Voto medio su 1 recensioni: Mediocre
€ 7,50

Lo Stato Intermedio Voto medio su 4 recensioni: Mediocre
€ 8,00

Il Libro Tibetano dei Morti
€ 24,50

Il Libro Tibetano dei Morti
€ 22,00

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