Non importa quello che farò ma chi sono ora
Vi è mai capitato di sentirvi “oppressi” dalle cose da fare, dalle scadenze, dagli impegni, dai progetti, persino dalle aspirazioni più nobili e gioiose? E dal vostro stesso entusiasmo?
Ecco, quanto sto per scrivere nasce proprio dopo uno di quei momenti, perché a me capita eccome. E aggiungo, fortunatamente. Si perché così mi viene offerto prezioso “materiale su cui lavorare” per la mia crescita personale. Infatti, la prima cosa da fare in questi casi è non cedere per nessuna ragione al mondo al giudizio, quella spada di Damocle sempre pronta a minare il benessere anche del più volenteroso ricercatore spirituale. La tentazione di giudicarsi, di pensare che si stia sbagliando qualcosa nel proprio percorso se ci si sente così, è la scorciatoia che usa la mente egoica per vampirizzare all'anima ancora più energia.
Cosa fare? Tornare alla giusta visione, immediatamente: tutto è perfetto così com'è.
E spostare l’attenzione dal dover-fare qualcosa all'essere.
Semplicemente, esserci.
Qui e ora, senza bisogno di aggiungere altro.
“Non importa quello che farò, come lo farò e quando lo farò, l’importante è chi sarò, anzi chi sono ora in questo preciso istante e tutto il resto verrà da sé”.
Queste parole ispiratemi dall'anima, sono le mie personali ancore di salvezza contro i sabotaggi tesi dalla mente egoica in preda ai suoi deliri di onnipotenza. Quando soccombiamo al moto vorticoso creato dal turbinio di cose da fare e, peggio ancora, dal turbinio della mente che solitamente le precede appesantendole con preoccupazioni, ansie preventive, smania di controllare tutto fino all'ultimo dettaglio, aspettative… fermiamoci.
Fermiamoci un momento, o perlomeno, rallentiamo…
Se, ad esempio, stiamo camminando e verosimilmente abbiamo affrettato il passo perché il corpo va dove la mente lo porta (e se la mente turbina il corpo accelera), rallentiamo il passo. Di solito proprio mentre si cammina per strada, o quando si mangia (specie se da soli), o quando si compiono altre attività che tutti riusciamo a svolgere senza doverci prestare particolare attenzione, la mente attacca. Non importa che accada, importa che ce ne accorgiamo. Ricordiamocelo, rallentiamo e sorridiamo.
In questo spazio che creiamo tra l’automatismo del nostro fare e la coscienza del nostro essere, dimora l’attimo di pace. L’unico che valga la pena vivere, perché l’unico realmente esistente: il momento presente. Quando la mente pensa (e sottolineo pensa, riferendomi cioè a quel chiacchiericcio interno che sposta continuamente la nostra attenzione da una cosa all'altra potenzialmente all'infinito grazie alle sopraffine capacità associative del pensiero) noi non stiamo vivendo, ci stiamo facendo distrarre, stiamo fantasticando letteralmente proiettati nel passato o nel futuro e ci stiamo perdendo la bellezza presente del mondo che, di base, è senza affanni. Ci stiamo perdendo il ramo fiorito sull'albero del nostro viale di casa o il gusto speziato del cibo che stiamo ingerendo. Ci stiamo perdendo il miracolo dell’essere vivi.
L’esserci, l’essere umano, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo” (Martin Heidegger)
Quando ci spogliamo anche solo per un momento da tutti i ruoli che impersonifichiamo (figlia/figlio, madre/padre, amica/amico, amante, fidanzata/fidanzato, impiegata/impiegato, manager, insegnante di yoga, casalinga e via dicendo… ) e che si portano dietro tutto quel chiacchiericcio mentale, quando ci alleggeriamo da tutti gli orpelli della personalità con le sue ansie da prestazione, possiamo percepire immediatamente (e se non lo percepiamo è perché stiamo ancora utilizzando la mente) un gran senso di pace e libertà.
A me capita spesso, in questo rituale di passaggio da uno stato di incoscienza (sonno) a uno di Coscienza (risveglio), di accompagnare la sensazione che ne ricavo all'istante con un suono liberatorio: Ahhhh, eccomi, ci sono. Ora ci sono, sono “tornata” e non serve altro. Io sono quel che io sono. Ed è tutto perfetto. E poi concludo con un bel ringraziamento amorevole. La gratitudine è un potente trasmutatore di energie, al pari dell’amore incondizionato (nel quale rientra il non giudizio) e della gioia.
Perché la Gioia è il cuore del mondo,
sta al fondo delle cose, è
“il pozzo di miele coperto dalla roccia” .
(Rig Veda, II.24.4)
Tornare subito al momento presente, interrompendo, non appena ce ne accorgiamo, la foga del nostro agire in preda a pensieri compulsivi, è un vero e proprio esercizio spirituale con effetti sorprendenti sulla nostra evoluzione. Ne hanno parlato approfonditamente e in maniera esaustiva autori come – tra gli altri – Ekhart Tolle, Yehuda Berg, Salvatore Brizzi dei quali cito rispettivamente i libri “Il potere di adesso”, “Il Potere della Kabbalah”, “Risveglio”.
Una sapienza antica che gli yogi oltre 5000 anni fa riassumevano nell’importanza di allenare la consapevolezza fissandola nel corpo e nel respiro per mantenere l’Unione (il termine yoga non vuol dire che questo: unione) con quanto è essenziale: la purezza dello spirito che ci anima e che si può percepire solo nel silenzio di un momento di vivida presenza. Nella fisiologia esoterica dello Yoga si parla di un “corpo fatto di felicità“, anzi di Beatitudine: uno dei cinque involucri della nostra composizione energetica sottile composta dal corpo fisico (Annamaya kosha), corpo pranico (Pranamaya kosha), corpo mentale (Manomaya kosha), corpo astrale (Vijanamaya kosha) e, appunto, corpo di beatitudine (Anandamaya kosha). Ogni singolo momento di pienezza gioiosa e vigile va a stimolare il risveglio di quel meraviglioso “corpo di grazia” che ci appartiene per diritto di nascita. L’autentica sadhana (pratica) yogica non è altro che questo allenamento alla Presenza. In tal senso, anche lavare i piatti in un certo stato di coscienza equivale a fare yoga, o meglio a essere yoga (uniti a ciò che c'è)!
Un ulteriore incoraggiamento proviene dall'alchimia: per tramutare il piombo in oro di cosa c’è bisogno secondo voi? Del piombo, naturalmente. Della pesante e grossolana materia prima. Dunque, fuor di metafora, non ci accasciamo di fronte a ciò che ci crea disagio perché è il nostro oro in potenza. Ed è lo sforzo a valere, non il risultato in sé. Dunque, anche qui, un ulteriore alleggerimento: niente aspettative. Tutto quello che dobbiamo fare è esserci. Ricordarci di esistere e di essere parte del gioco della Creazione; l’etimologia della parola greca “entusiasmo” ci ricorda di lasciarci ispirare dal dio che abbiamo dentro: se è la mente che esulta, ci sentiamo schiacciati, se è il Cuore che pulsa, ci sentiamo vivi .
Tutto quello che dobbiamo fare è esserci.
Tutto il resto, avviene per complicità universale.
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