Avete mai pensato che a rendere intensa la vostra vita e a dare un senso a ciò che state vivendo non sia tanto ciò che state vivendo, ciò che siete e che state realizzando ma piuttosto ciò che avreste potuto essere, i figli mai nati, i progetti abortiti, gli amori rapiti, gli avi mai conosciuti e… tutte le infinite possibilità che restano? Probabilmente in questo preciso istante, invece che pensare alla risposta, vi state domandando che senso abbia questa domanda (sorrido!). È tutto così perfetto!
Il miglior regalo che possiate farvi è di non sentirvi più vittime degli eventi, ma co-creatori e maghi delle vostre vite.
21 dicembre. La notte più buia dell’anno, il solstizio d’inverno, la notte di Ade e Persefone, la notte di quelle abissali altitudini dove germinano le possibilità di creare nuovi mondi...
"Quando il richiamo degli dei è molto forte, estremo – poiché esso è il ricordo del sacro, della capacità di darsi, della bellezza e dello svanire per amore, del finire per rigenerarsi e creare oltre se stessi – si esprime nel simbolo della morte. La morte è come l’inverno per i semi: accoglie nella terra per trasformare. Essa è un viaggio per dimenticare le conoscenze acquisite senza amore, per lasciare andare le certezze mentali – che sono le più grandi bugie -, i ricordi del potere del controllo. Dopo si può ricominciare a conoscere, la possibilità di conoscere con amore esiste di nuovo”. (Dal Discorso alla luna di Selene Calloni Williams)
Tutto dipende dalle storie che vi raccontate. Da ciò in cui avete deciso di credere. Lasciate un finale aperto alla vostra vita e lasciatevi stupire da quello che succederà dopo! È la forza dell’amore libero che compie prodigi sovvertendo persino le profezie...
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L’amore è contagioso
ed è l’unica cosa da cui vale la pena
lasciarsi contagiare.
Essere famiglia è molto di più
che stare sotto lo stesso tetto.
"Singolari sono i sentieri notturni dell’uomo.
Quando nel mio notturno vagare passai attraverso stanze di pietra, e ardeva in ciascuna un piccolo, tacito lume, un candelabro di bronzo, e quando rabbrividendo mi accasciai sul giaciglio, al capezzale stava di nuovo la nera ombra della straniera e muto il mio volto celai nelle mani lente. Alla finestra era anche fiorito azzurro il giacinto e al purpureo labbro del respirante affiorò l’antica preghiera, dalle ciglia caddero lacrime cristalline, piante sull'amarezza del mondo. In quell'ora fui il bianco figliuolo alla morte di mio padre. A brividi azzurri giungeva dal colle il vento notturno, l’oscuro lamento della madre, che di nuovo moriva, e io vidi l’inferno nero nel mio cuore: attimi di lucente silenzio. Lieve affiorò dal muro di calce un volto indicibile — un giovinetto morente – la bellezza di una stirpe che tornava in patria. Bianca di luna la pietra fresca accolse la vigile tempia, si dileguarono i passi delle ombre sui gradini corrosi, nel piccolo giardino un girotondo di danza […].
Sull'orlo del bosco voglio andarmene in cammino silente, mentre con mani mute tramonta il sole chiomato; straniero pel colle serotino, levando le ciglia in pianto sulla città di pietra; fiera selvatica che ristà nella pace del vecchio sambuco; inquieto origlia il capo turbato, e lo seguono i passi esitanti dell’azzurra nube sul colle, e anche di astri severi è […].
Vago senza pace tra pietre selvagge lontano dai casolari serotini, dalle greggi rientranti; lontano il sole calante pascola sul prato cristallino e scuote il cuore il suo canto selvaggio, il solitario grido dell’uccello, morente in pace azzurrina. Ma sommessa tu arrivi di notte, mentre giacevo desto sul colle, o furiosa nella tempesta di primavera; e sempre più nera la malinconia annuvola il capo già tronco, orribili lampi agghiacciano l’anima notturna, dilacerano le tue mani il petto mio anelante.
Quando andai nel giardino già buio e la nera figura del male era appena discosta da me, m’avvolse il silenzio della notte colma di giacinti; e in un cavo battello percorsi le onde riposanti dello stagno, e dolce pace sfiorò la fronte impietrata. Senza parola giacevo sotto gli antichi salici e il cielo azzurro era alto sopra di me e pieno di stelle; mentre smorivo guardando, morirono nel più profondo di me angoscia e dolori; e si levò l’ombra azzurrina del fanciullo raggiante nel buio, in un canto soave: si levò con ali lunari sulle verdi cime, labbra di cristallo, il volto della sorella.
Con suole d’argento discesi i gradini spinosi, ed entrai nella stanza dipinta di calce. Tacito vi splendeva un candelabro e io nascosi in silenzio il capo tra lini di porpora; la terra gettò fuori una salma infantile, una figura lunare, che lentamente uscì dalla mia ombra, con braccia mozze sprofondò in abissi pietrosi, tra fiocchi di neve."
(Georg Trakl)
Caspar David Friedrich , La stella della sera (1830) |