16 dicembre 2016

L'AMORE VERO SOVVERTE TUTTE LE REGOLE E I VALORI



Avete mai pensato che a rendere intensa la vostra vita e a dare un senso a ciò che state vivendo non sia tanto ciò che state vivendo, ciò che siete e che state realizzando ma piuttosto ciò che avreste potuto essere, i figli mai nati, i progetti abortiti, gli amori rapiti, gli avi mai conosciuti e… tutte le infinite possibilità che restano? Probabilmente in questo preciso istante, invece che pensare alla risposta, vi state domandando che senso abbia questa domanda (sorrido!). È tutto così perfetto! 
Il miglior regalo che possiate farvi è di non sentirvi più vittime degli eventi, ma co-creatori  e maghi delle vostre vite.

“La magia è l’arte di fare l’amore con dio”


Marc Chagall, Gli Amanti in Blu (1914)

21 dicembre. La notte più buia dell’anno, il solstizio d’inverno, la notte di Ade e Persefone, la notte di quelle abissali altitudini dove germinano le possibilità di creare nuovi mondi... 


"Quando il richiamo degli dei è molto forte, estremo – poiché esso è il ricordo del sacro, della capacità di darsi, della bellezza e dello svanire per amore, del finire per rigenerarsi e creare oltre se stessi – si esprime nel simbolo della morte. La morte è come l’inverno per i semi: accoglie nella terra per trasformare. Essa è un viaggio per dimenticare le conoscenze acquisite senza amore, per lasciare andare le certezze mentali – che sono le più grandi bugie -, i ricordi del potere del controllo. Dopo si può ricominciare a conoscere, la possibilità di conoscere con amore esiste di nuovo”. (Dal Discorso alla luna di Selene Calloni Williams)

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Tutto dipende dalle storie che vi raccontate.  Da ciò in cui avete deciso di credere. Lasciate un finale aperto alla vostra vita e lasciatevi stupire da quello che succederà dopo! È la forza dell’amore libero che compie prodigi sovvertendo persino le profezie... 

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L’amore è contagioso 
ed è l’unica cosa da cui vale la pena 
lasciarsi contagiare.
Essere famiglia è molto di più 
che stare sotto lo stesso tetto.
Innamoratevi della vita!





"Singolari sono i sentieri notturni dell’uomo.

Vincent van Gogh, La Notte stellata (1889)



Quando nel mio notturno vagare passai attraverso stanze di pietra, e ardeva in ciascuna un piccolo, tacito lume, un candelabro di bronzo, e quando rabbrividendo mi accasciai sul giaciglio, al capezzale stava di nuovo la nera ombra della straniera e muto il mio volto celai nelle mani lente. Alla finestra era anche fiorito azzurro il giacinto e al purpureo labbro del respirante affiorò l’antica preghiera, dalle ciglia caddero lacrime cristalline, piante sull'amarezza del mondo. In quell'ora fui il bianco figliuolo alla morte di mio padre. A brividi azzurri giungeva dal colle il vento notturno, l’oscuro lamento della madre, che di nuovo moriva, e io vidi l’inferno nero nel mio cuore: attimi di lucente silenzio. Lieve affiorò dal muro di calce un volto indicibile — un giovinetto morente – la bellezza di una stirpe che tornava in patria. Bianca di luna la pietra fresca accolse la vigile tempia, si dileguarono i passi delle ombre sui gradini corrosi, nel piccolo giardino un girotondo di danza […].

Sull'orlo del bosco voglio andarmene in cammino silente, mentre con mani mute tramonta il sole chiomato; straniero pel colle serotino, levando le ciglia in pianto sulla città di pietra; fiera selvatica che ristà nella pace del vecchio sambuco; inquieto origlia il capo turbato, e lo seguono i passi esitanti dell’azzurra nube sul colle, e anche di astri severi è […]. 

Vago senza pace tra pietre selvagge lontano dai casolari serotini, dalle greggi rientranti; lontano il sole calante pascola sul prato cristallino e scuote il cuore il suo canto selvaggio, il solitario grido dell’uccello, morente in pace azzurrina. Ma sommessa tu arrivi di notte, mentre giacevo desto sul colle, o furiosa nella tempesta di primavera; e sempre più nera la malinconia annuvola il capo già tronco, orribili lampi agghiacciano l’anima notturna, dilacerano le tue mani il petto mio anelante. 

Quando andai nel giardino già buio e la nera figura del male era appena discosta da me, m’avvolse il silenzio della notte colma di giacinti; e in un cavo battello percorsi le onde riposanti dello stagno, e dolce pace sfiorò la fronte impietrata. Senza parola giacevo sotto gli antichi salici e il cielo azzurro era alto sopra di me e pieno di stelle; mentre smorivo guardando, morirono nel più profondo di me angoscia e dolori; e si levò l’ombra azzurrina del fanciullo raggiante nel buio, in un canto soave: si levò con ali lunari sulle verdi cime, labbra di cristallo, il volto della sorella.

Con suole d’argento discesi i gradini spinosi, ed entrai nella stanza dipinta di calce. Tacito vi splendeva un candelabro e io nascosi in silenzio il capo tra lini di porpora; la terra gettò fuori una salma infantile, una figura lunare, che lentamente uscì dalla mia ombra, con braccia mozze sprofondò in abissi pietrosi, tra fiocchi di neve." 
(Georg Trakl) 

Caspar David Friedrich , La stella della sera (1830)



L'Amore Prima di Noi
Le storie d'amore che hanno inventato l'amore

07 dicembre 2016

LA SOLITUDINE DI PIER PAOLO PASOLINI ***BELLISSIMO***


Bisogna essere molto forti per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe e una resistenza fuori dal comune; non si deve rischiare raffreddore, influenza e mal di gola; non si devono temere rapinatori o assassini; se tocca camminare per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è; specie d’inverno; col vento che tira sull'erba bagnata, e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi; non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio, oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte senza doveri o limiti di qualsiasi genere.


Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri - e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento, tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani, essi sono molti – non sono che momenti della solitudine; più caldo e vivo è il corpo gentile che unge di seme e se ne va, più freddo e mortale è intorno il diletto deserto; è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso, non il sorriso innocente, o la torbida prepotenza di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza enormemente giovane; e in questo è disumano, perché non lascia tracce, o meglio, lascia solo una traccia che è sempre la stessa in tutte le stagioni.


Un ragazzo ai suoi primi amori altro non è che la fecondità del mondo. E’ il mondo così arriva con lui; appare e scompare, come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose, e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più; l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque la solitudine è ancora più grande se una folla intera attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni – l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.


Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire, specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena, e per te non è mutato niente: allora per un soffio non urli o piangi; e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza, e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe essere più soddisfatto e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine è la solitudine vera, quella che non puoi accettare? Non c’é cena o pranzo o soddisfazione del mondo, che valga una camminata senza fine per le strade povere dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani. 


(Pier Paolo Pasolini, da “Versi del testamento”)






 Cecilia Martino