24 maggio 2015

DANCER IN THE DARK – QUESTA NON È L'ULTIMA CANZONE: NON ESISTE NÈ INIZIO NÈ FINE

ANTEFATTO
Una di quelle notti che non vai a dormire prima dell’una l’ho trascorsa nell’incubatrice del film Dancer in the Dark di Lars Von Trier, che si aggirava come uno spettro da qualche mese dentro casa dal momento che mi sono ritrovata il DVD senza nemmeno sapere come e perché: non l’ho comprato io e nessuno me lo ha regalato. Ma di certo quel Qualcuno che amo chiamare Universo me lo ha messo sotto il naso affinché lo vedessi. Tant’è. E’ stata una delle notti più terrificanti degli ultimi tempi. E ne sono infinitamente grata.

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?" (Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, Libro IV, n. 341).

ASCOLTA IL TUO CUORE
Inizio dalla fine.  Lo strazio dell'ultima sequenza del film è reso tremendamente sublime da queste quattro parole – “ascolta il tuo cuore” – che fanno fare anche all’espiazione più crudele che ci sia quel salto nel vuoto atteso finalmente come una liberazione... L'attaccamento di Selma/Björk verso il figlio è paradossalmente il freno a mano che rende il momento conclusivo della sua folle corsa un ingolfamento da assenza di respiro. 
È il climax demoniaco dell’incontro ravvicinato con la Morte. Selma, la donna volitiva che reagisce a ogni sorta di difficoltà con una forza interiore commovente e a tratti persino irritante – e che riesce a pronunciare la frase “va tutto bene, me la caverò” persino dopo essere stata condannata alla forca – , prolunga la sua agonia urlando il nome del figlio che la tiene legata ben più forte del cappio al collo. A trattenerla non è l'amore per lui, ma l'attaccamento. Non il cuore, ma la mente. La liberazione, infatti, giunge da quelle quattro parole - che l'Amica/Catherine Denevue (Ermes, messaggera degli dei) le getta addosso come una pozione magica,  come una frusta imbevuta di ambrosia. È l’anticamera della resa totale, dell’abbandono, del Surrender …. 

Sembra quasi di sentirla – in un sipario di silenzio magistralmente orchestrato dalla spiazzante regia di Von Trier –  la crepa nell'anima di Selma, che a quel punto s'indonda di luce sonora, respira un fiato riappacificante,  materializza un dolce svanire … Selma inizia a cantare, quel solito canto che è controcanto alla cecità, che è  sogno ad occhi aperti, dialogo con il mondo dell’invisibile, quel suo fare di ogni rumore una partitura musicale su cui danzare insospettabili passi e parole nuove, quell’apertura alle visioni dell’anima che non hanno bisogno né di occhi né di occhiali (siete capaci di vedere il vento?), quell’ingresso sghembo disorientato goffo ma inspiegabilmente trainante e magnetico, come è Selma, nei meandri di luoghi inaccessibili a una coscienza ordinaria.

Ho visto tutto, ho visto il buio, ho visto la luce, in una piccola scintilla ho visto ciò che ho scelto e ciò di cui ho bisogno e questo mi basta, di più sarebbe avidità. Ho visto ciò che ero e so cosa sarò, ho visto tutto ormai, non c’è più nulla da vedere …

 


Ogni volta che Selma percepisce i rumori come ritmo, è il solletico dell’anima che sente, il daimon che ha impresso nel suo destino apparentemente ingrato l’orma regale della compensazione (“io sento musica” – è lo stupore costante di Selma): dove gli altri sentono solo rumore, Selma sente musica, è questa la sua alchimia, la trasmutazione del suo deficit visivo in una visione più grande, onnicomprensiva, extra-ordinaria… È il richiamo del tamburo sciamanico alla natura selvaggia, visionaria, danzante e potentemente creatrice, prodiga di Bellezza, una bellezza assoluta al di là del bene e del male. Per questo Selma “sopporta” ogni cosa, sembra vittima delle circostanze ma non lo è nemmeno per un minuto, la sua anima ha scelto fino all’ultimo dettaglio come portare a termine la sua missione, cruenta e spietata come può essere una belva che segue i ritmi e le leggi della Natura… 

"Nulla fa risaltare la luce,
la meraviglia, il tesoro,
quanto l'oscurità ...
Il recupero del divino
si fa nell'oscurità dell'Inferno,
o dell'Ade,
o «là»
"

(Clarissa Pinkola Estés,
Donne che corrono coi lupi)


Il cuore è sia la chiave che la porta di accesso al viaggio tra i mondi che Selma compie ogni volta che si sintonizza con i rumori-musica ed è il cuore a spalancarle la via per il sacrificio definitivo (sacrum-facere) che è chiamata a compiere, il suo darsi totalmente all’amore, uccidendo ego e personalità (attaccamento materno) e cedendo incondizionatamente all’anima nel gesto risolutivo del Darsi, suggellato – non a caso – dall’inizio del canto. Selma inizia a cantare, è il suo ultimo canto (che poi ultimo non è!) quello intonato al ritmo del cuore e che le fa dire – rivolgendosi sì al figlio ma ora con un sorriso implacabile sulle labbra: “questa non è l’ultima canzone, e questo è tutto”.
Perché non esiste né inizio né fine, nè attrazione nè repulsione, nè l'incontrarsi nè il separarsi... se permettiamo che lo sia, il Tutto.


They say it’s the last song
They don’t know us,
you see It’s only the last song If we let it be


Dicono che è l’ultima canzone
Non ci conoscono, vedi
È l’ultima canzonesolo se permettiamo che lo sia

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