18 maggio 2015

Viaggi Ecuador La Donna e lo Sciamano delle Ande (il ritorno a casa)



La strada nella foresta era cosparsa di brina, l’odore di pioggia tropicale cospargeva nell’aria vagiti di fogliame tra le spire di nuvole mai completamente spente. La strada era cosparsa di sangue, quello che immaginava la testa di lei inciampando non per caso nell’ultima sera di luna piena prima di incontrare lo Sciamano delle Ande. Non ci fu né sangue né attesa, la consulta tra le fiaccole di timidi cieli avvenne come un lampo smarrito nel più grande orizzonte di una terra promessa. La consulta con lo sciamano le aprì le braccia e il cuore, perforando lo sterno con una voragine di amore. Ma questo lei ancora non lo sapeva.

La fece sedere su uno sgabello davanti a lui, il copricapo da rituale penzolava disegnando sul viso un singolare apostrofo di luce, un burlesco guizzo di improvvisazione nell’aria rarefatta tra fumi d’incensi, calore di fuoco e sfarfallii di alcol. Le fece annusare per tre volte, dopo averla strofinata tra le mani, una essenza da respirare profondamente insieme a un buon proposito da affidare agli spiriti, al grande spirito dell’Ayahuasca. Alla terza inalazione attraverso la cava delle dita l’odore floreale misto ad alcol della bottiglietta le arrivò direttamente al cervello, dritto al senso di smarrimento e poesia che il sudore freddo rendeva ancora più saporito. Era placido e diretto lo sguardo dello sciamano mentre, invocando l’invisibile di ogni parola pronunciata in un limpido spagnolo con accenti di lingua kichwa, dava fiato e corpo al corpo e al fiato di lei. Lei seduta a briglie sciolte sullo sgabello a evocare i migliori intendimenti possibili per non sprecare quella occasione.

“Devi riconoscere la tua bellezza, devi accettarla fino in fondo, devi sentirti meritevole di essere amata, di essere una donna di successo, di essere una donna molto bella. Devi amare la tua bellezza di donna …“, tuonò a un tratto la voce dello sciamano, e le membra di lei ebbero un sussulto mentre nel petto qualcosa arrestava il suo naturale corso per accelerare il ritmo come fosse l’ultima folle corsa prima di un traguardo fatale. Occhi lucidi seguirono a mani compassionevoli tese quasi a fendere l’aria densa del fumo nella stanza satura di profezie, sudore e sguardi languidi visionari, poi l’ordine di alzarsi in piedi, togliersi i vestiti rimanendo a petto nudo, aprire le braccia a croce, chiudere gli occhi e respirare, rimanendo in attesa. Il tempo di mettersi in posizione, assumere la postura di un rapace che stende le ali prima di spiccare il volo, il tempo di percepire la nudità del petto nell’istantaneo piacere di smaliziata selvaggia libertà, il tempo di accennare un sorriso grato a quel momento così tribale e accondiscendente …. che un getto di fuoco rovente sibilò trapassandole il petto come lama tagliente.

Lo sciamano, come un drago, aveva sputato dalla bocca alcol versandolo in una fiamma accesa davanti al torace di lei, causando una sorta di eruzione vulcanica raso pelle … E ora si accingeva a ripetere il rituale ma questa volta con la donna che gli rivolgeva le spalle. Spalle tese, braccia aperte, sterno, costole, cuore pulsante, vivo. Cuore pulsante, vivo.  Cuore pulsante, vivo. Tutte le vertebre della spina dorsale emettevano come dei suoni, scricchiolii, sussurri e risa. Di nuovo, una fiammata di calore rovente a trapassarle, infine, quel che rimaneva del corpo. Un pugno nello stomaco sospinto dal basso ventre, dolce e violento come l’ultimo bacio prima di dire un addio.  Penetrante come un amplesso che non concede repliche.

Brucia fuoco brucia, ardi e trasforma ciò che di lei non ha più forma. Dà nuova forma a ciò che di lei non ha più sostanza. Dà sostanza a ciò che di lei non ha più nome. Battezzala con le sue ceneri, non lo vedi che è pronta? Quando la donna si volta nuovamente dalla parte dello sciamano,  il suo volto è come trasfigurato. “Fammi vedere gli occhi” – sussurra lui. “Hai una luce diversa. Non sei e non sarai mai più la stessa”.

Nei giorni a seguire, lo sciamano, che intanto se ne era andato, tornò a fare visita alla donna più e più volte ancora, in varie forme: nei sogni ad occhi aperti e in quelli notturni, in visioni lucide e vaghe o semplicemente attraverso il suono di alcune parole in lingua kichwa che le aveva affidato come i nomignoli che si danno gli amanti o come una promessa, e che le vibravano addosso all’improvviso. Come ad esempio “kushi” che vuol dire “felice”. Fino a quando non comparve l’immagine definitiva, un miraggio danzante nel centro dell’universo che sagomò il viso di lui portato da una nuvola bianca sopra un cielo azzurro terso, il suo viso tratteneva una espressione dolcissima e struggente che accompagnò  la rima delle sue labbra mentre pronunciavano tre parole.

Solo tre parole: “TORNA A CASA”.

“Siamo pervase dalla nostalgia per l’antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti   autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l’ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l’ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe” (Clarissa Pinkola Estès, “Donne che corrono coi lupi”)

Nella foto, dal titolo “L’importante è avere ove recarsi”, Alessandra Barilla, performer e consulente artistica
Foto by AZ © 2015 Alessia Zuccarello 




SEMPRE DALL'ECUADOR




Io con lo sciamano Shairy Quimbo nella Riserva Ecologica Pachijal, Ecuador, Aprile 2015





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