Come potrei descrivere la vita di Gurdjieff? Al di fuori dei gruppi e dei movimenti, era una vita come quella di ogni essere umano.
Non si atteggiava assolutamente a "Maestro", a "santo", a "saggio", a "colui che ha la conoscenza". Non faceva nulla che potesse dare l'impressione di un Maestro; al contrario, disorientava volontariamente i visitatori. Si poteva essere sensibili a ciò che emanava da lui oppure no. Era il lavoro fatto su di sé che consentiva di percepire la misura della sua reale essenza.
Rivedo la figura forte, solida, le spalle ampie, la statura imponente. Da lui emanava un senso di grande pienezza e forza, con qualcosa di impalpabile ed estremamente sottile; era fluido e felino nei movimenti, il viso era schietto, calmo e grave, con tratti orientali, il colorito abbronzato. La sua "mole" era molto imponente, ma non era sottolineata da alcuna ostentazione.Era semplice, tranquillo, sempre vigile, attento, con una calma che mi ricorderà sempre un leone, un elefante, che per me sono i simboli che meglio rappresentano Gurdjeff per la sicurezza, la padronanza, la presenza immediata sempre pronta all'azione.
Il suo sguardo attento e comprensivo ha immediatamente suscitato in me un senso di
fiducia. Mi sono sentita riconosciuta, veduta come veramente ero, nono come un oggetto, ma come un essere nella sua piena interezza.
Totalmente presente, lasciava a ciascuno la propria completa individualità. Il che non gli impediva di colpire con precisione con un semplice sguardo che inchiodava sul posto, rimarcando la manchevolezza che stava per manifestarsi con una battuta, un'osservazione o una collera che poteva assumere la forma di un uragano. Ma poteva anche essere di un'estrema dolcezza con qualcuno. Io non ho mai trovato in lui rigidezza o inflessibilità.
Lo vedo come un profondo asceta, un samurai, un maestro Zen, un uomo sempre in cammino, un grandissimo artista e un nonno.
Spesso mi è sembrato un leone: dal suo ventre, dalla parte più profonda del suo essere proveniva un suono sordo, che rimbombava come se la terra stessa tremasse. Poteva essere sia il vento sia, da un istante all'altro, una tigre, pronta ad agire qualora la situazione lo richiedesse, cambiando personaggio, adattandosi con naturale fluidità, come l'acqua o l'aria, con un'arte straordinaria, alla maniera di un abilissimo e consumato attore e di un guerriero irreprensibile.
Appariva distrattamente assorto, come un felino che sta riposando, sempre pronto a scattare ad agire; attento a tutto, anche quando riposa. Così percepivo la sua vita: mai agitazione, ma precisione e vivacità straordinarie, quando era necessario.
Infine l'ascolto silenzioso del suo essere, tutto proteso a comprendere, mi faceva provare il senso della mia vera esistenza, proprio della mia. Ogni atteggiamento o gesto in sua presenza differiva da quelli che avevo abitudinariamente.
Io percepivo un'altra possibilità di ESSERE.
Non dimenticherò mai come accanto a lui sentissi di stare a casa mia e come la mia mente fosse libera. In nessun altro posto ho sperimentato questo. In me erano scomparsi paura e dubbio; stavo vivendo una vera vita, una vita calma e piena. Si trattava semplicemente di questo: vivere.
L'insegnamento di Gurdjeff non si trasmetteva mai attraverso esposizioni discorsive. Noi ponevamo domande in base a ciò che provavamo, osservavamo su noi stessi, sugli esercizi finalizzati alla presa di coscienza. E seguendo le nostre osservazioni e constatazioni, lui a volte poneva una domanda per farci precisare qualcosa e ci forniva una direzione di ricerca, attraverso un compito o una semplice osservazione che ci metteva di fronte a noi stessi.
Si limitava soltanto a rispondere alla domanda che gli veniva posta; ma attraverso un atteggiamento, un'espressione, un tono di voce trasmetteva alla sfera del sentimento qualcosa che il pensiero ordinario non avrebbe potuto intendere né comprendere perché con le parole l'intelletto e il meccanismo associativo della mente si sarebbero messi a discutere, a razionalizzare.
A volte prendeva di mira un atteggiamento, un gesto, una parola. Non si comprendeva immediatamente quello che stava dicendo in quel momento. Si subiva lo shock senza poterlo spiegare, ma era talmente vero da non potersi discutere. Si era disarcionati, i mezzi abituali di difesa non erano utilizzabili.
Osservavo come aiutava ciascuno, individualmente, con un'osservazione, un esercizio, come trattava impietosamente certi aspetti del comportamento della personalità e come, nel medesimo tempo, dava un calore, un impulso al sentimento. Il tutto, contemporaneamente, per tutti.
La verità davanti a lui era come fosse tagliata col coltello, la minima deviazione, menzogna o omissione erano denudate con un'osservazione o un silenzio.
L'insegnamento di Gurdjeff non si trasmetteva mai attraverso esposizioni discorsive. Noi ponevamo domande in base a ciò che provavamo, osservavamo su noi stessi, sugli esercizi finalizzati alla presa di coscienza. E seguendo le nostre osservazioni e constatazioni, lui a volte poneva una domanda per farci precisare qualcosa e ci forniva una direzione di ricerca, attraverso un compito o una semplice osservazione che ci metteva di fronte a noi stessi.
Si limitava soltanto a rispondere alla domanda che gli veniva posta; ma attraverso un atteggiamento, un'espressione, un tono di voce trasmetteva alla sfera del sentimento qualcosa che il pensiero ordinario non avrebbe potuto intendere né comprendere perché con le parole l'intelletto e il meccanismo associativo della mente si sarebbero messi a discutere, a razionalizzare.
A volte prendeva di mira un atteggiamento, un gesto, una parola. Non si comprendeva immediatamente quello che stava dicendo in quel momento. Si subiva lo shock senza poterlo spiegare, ma era talmente vero da non potersi discutere. Si era disarcionati, i mezzi abituali di difesa non erano utilizzabili.
Osservavo come aiutava ciascuno, individualmente, con un'osservazione, un esercizio, come trattava impietosamente certi aspetti del comportamento della personalità e come, nel medesimo tempo, dava un calore, un impulso al sentimento. Il tutto, contemporaneamente, per tutti.
La verità davanti a lui era come fosse tagliata col coltello, la minima deviazione, menzogna o omissione erano denudate con un'osservazione o un silenzio.
Il suo rigore nell'esercitare l'attenzione incoraggiava alla sincerità con noi stessi e ci poneva davanti la debolezza e l'incapacità persino di essere sinceri nel faccia a faccia con il nostro io.
Il suo atteggiamento e le sue parole mostravano prospettive nuove, un'angolazione che ampliava l a nostra comprensione, un aspetto che non avevamo visto, e rimetteva in questione il giudizio su noi stessi, sugli altri, su una situazione, sul nostro modo di vivere, sulla vita.
Sempre lo osservavo e sempre lo vedevo "in ascolto" dell'inespresso, di quanto c'era dietro le parole. Dall'espressione del suo viso mi rendevo conto di come provasse a sentire e a capire la domanda non formulata, la non-comprensione o il rifiuto altrui.
Sentivo anche la sua sofferenza per gli altri, la sua tristezza davanti alla loro incapacità di comprendere o di voler comprendere, ma anche la sua gioia di fronte a una vera ricerca. Bisognava proprio usare il massimo dell'attenzione per accorgersi di questo, poiché Gurdjeff non manifestava nulla; ma io ero sempre molto attenta alle sue espressioni e a quelle degli altri.
Spesso lo sentivo pronunciare questa frase: divenire adulti con i propri mezzi, e il suo riferimento alle radici familiari ci faceva sentire il legame con i nostri congiunti, la responsabilità nei confronti dei genitori, dei nonni, di tutta la nostra progenie. Avevamo ricevuto tutto da loro. E poiché noi potevamo trasformare il nostro psichismo, il nostro essere e sviluppare la nostra coscienza, di conseguenza avremmo potuto contraccambiare, trasformando qualcosa per loro stessi. Con questo lavoro si aiutano i propri genitori e la propria cerchia familiare.
Attribuiva una grande importanza a questo, e diceva che dobbiamo diventare i genitori dei nostri genitori divenendo adulti con i nostri mezzi. Diceva che ogni relazione è il risultato fra due esseri e che noi ne siamo responsabili.
La qualità della natura di Gurdjeff e del suo insegnamento, quando ne feci la conoscenza, ha suscitato in me il sentimento che può provare un naufrago in alto mare quando scorge la terra. Ne ho tratto tranquillità, fiducia, e il mio pensiero, il mio bisogno di comprendere hanno ricevuto un nutrimento estremamente importante.
Le mie percezioni, intuizioni e riflessioni trovavano conferme senza alcuna spiegazione intellettuale. Si manifestava una comprensione più coerente del completo funzionamento dell'essere, con nuovi apporti di conoscenza; una nuova dimensione ampliava la mia visione dello sviluppo dell'essere.
Bisogna essere stati in presenza di Georges Gurdjeff per poterne capire la grandissima conoscenza, la profonda comprensione, la bontà, l'amore per gli altri, la semplicità. Il suo rigore proveniva dal suo ruolo di maestro nel guidare la mente, nel favorire il risveglio e il raggiungimento del pieno sviluppo.
Il suo agire dentro la situazione e nell'immediatezza dell'istante, senza sbagli, senza errore e soprattutto senza giudizio.
PAROLE DI GEORGES GURDJIEFF
"Qui non ci sono né russi, né inglesi, né ebrei, né cristiani, ma unicamente uomini che perseguono un medesimo fine: ESSERE CAPACI DI ESSERE.
"Bisogna saper sacrificare ogni cosa, ivi compreso se stessi. La conoscenza ha il suo prezzo da pagare. E quel prezzo è se stessi".
"Quando IO SONO, non esistono né Dio né il Diavolo".
BREVI NOZIONI DI QUESTO INSEGNAMENTO
E' una scuola di presa di coscienza di sé, di conoscenza di sé.
Insegna a divenire coscienti dei condizionamenti e degli automatismi in cui viviamo, e lavorare per liberarsene.
I fattori ereditari, la tipologia, la cerchia in cui si vive, l'educazione, i traumi della vita potranno fare di un uomo un'opera d'arte, uno zombie, un robot, un essere umano o qualsiasi altra cosa.
Il lavoro su di sé mira a liberare l'essere da ogni identificazione, da ogni tipo di rappresentazione sentimentale e culturale.
Non ci si deve estraniare dalla vita e dal mondo, ma al contrario bisogna imparare a vivere in esso pienamente e coscientemente, sul piano sociale, professionale, nella famiglia e nell'ambiente circostante.
Nello stato di veglia il sonno è caratterizzato dall'automatismo delle associazioni, del sognare, del fantasticare. Arrivare a stabilire il contatto con il proprio "sé" costituisce un'autentica ascesi. Significa intraprendere un cammino fuori dal comune.
Secondo una delle conoscenze più o meno perdute, l'essere umano deve risalire la corrente che lo trascina. Andare controccorrente è il risveglio di cui parlano tutte le tradizioni.
Bisogna prendere coscienza che ci si lega a tutto: gioie, sofferenze, ricordi, desideri e ribellioni, dalle più grandi alle più piccole cose. L'attaccamento è profondo, vi si è presi senza saperlo e poi compaiono le deviazioni emozionali, sempre senza saperlo.
La nostra struttura caratteriale elaborata sin dall'infanzia, indurita o addolcita dall'ambiente sociale, fa sì che ogni parola, ogni tono di voce, ogni atteggiamento fisico o emozionale trasmettano un senso.
Ecco, è qui che "il lavoro su di sé" diventa un lavoro di liberazione da ciò che siamo abitualmente, automaticamente, nei propri atti, parole e gesti, in modo che si possa essere se stessi e non degli automi.
(Tratto da Solange Claustres, G.I. Gurdjieff e la Presa di Coscienza - Ho riportato i corsivi esattamente come sono nel libro di Solange - I grassetti sono invece una mia aggiunta per rendere più leggibile il testo)
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