26 aprile 2019

La lanterna di Diogene | La Saggezza del Freddo e del Caldo

Jean-Léon Gérôme Diogenes

In una botte viveva Diogene, e in una botte si sente freddo, a volte. 
Ma il Cane aveva parlato col Freddo, aveva parlato a lungo nelle lunghe notti. 
Al Freddo Diogene aveva chiesto la sua saggezza, e il Freddo risponde a chi possiede un cuore caldo. E fu così che il Freddo e il Cane ingannarono la notte.
“La mia saggezza?”, esclamò stupito il Freddo.
“Gli uomini non chiedono mai della mia saggezza. Tu sei un uomo strano, Diogene”.
“Non sono un uomo”, rispose Diogene. “Non vedi? Io sono un Cane”.
“E che cosa ci fa un cane a questa tarda ora in una botte?”, chiese il Freddo. “Non credi che dovresti trovarti un padrone e dormire al caldo in una cuccia?”.
“Che cos'è che mi proponi”, chiese Diogene, “una cuccia o un padrone?”.
“Eh, eh, mio dolce randagio, non c’è cuccia senza padrone”, rispose il Freddo.
“Ma c’è pur sempre una botte”, disse Diogene.
“Ma non è calda”, aggiunse il Freddo.
“Ma non è una prigione”, concluse deciso Diogene. 
“Sei nella mia saggezza”, rispose il Freddo. “Nessuno può starsene per sempre al caldo, a ogni estate segue un autunno. Chi non è abituato al freddo morirà all'inizio dell’inverno. E per chi vi è avvezzo non fa poi tanto freddo da non arrivare a una nuova primavera”.
E così si fece giorno.


In una botte viveva Diogene, e in una botte si sente caldo, a volte. 
Ma il Cane aveva parlato col Caldo, aveva parlato a lungo nelle lunghe ore del meriggio. 
Al Caldo Diogene aveva chiesto la sua saggezza, e il Caldo risponde a chi possiede uno sguardo freddo. E fu così che il Caldo e il Cane ingannarono il meriggio.
“Della mia saggezza ognuno crede di esserne a conoscenza, ma pochi sono gli uomini che ne vedono la trama”, disse il Caldo.
“Non faccio fatica a crederci”, rispose Diogene, “ma io non sono un uomo. Non vedi? Io sono un Cane”.
“E che ci fa un cane a quest’ora del giorno a riposarsi in una botte?”, chiese il Caldo. “Non dovresti essere in giro affaccendato a cercare un padrone?”
“E a cosa mi servirebbe un padrone?”, chiese il Cane.
“Potresti avere più cibo, di qualità migliore”, rispose il Caldo. “Potresti avere più carezze e una cuccia più comoda”.
“E poi?” chiese il Cane. “Che cosa farei ottenuto tutto questo?”
“Beh, finalmente potresti riposare”, rispose il Caldo.
“E non è forse quello che sto già facendo?”, chiese il Cane.
“Sei nella mia saggezza”, sorrise il Caldo. “Tutti ricercano con frenesia la quiete, lamentandosi che essa non giunga mai loro. Se solo rallentassero un attimo, avrebbero già ottenuto una quiete maggiore
”.
E così si fece notte.

(Tratto da "Vita da cani" Diogene e la filosofia che morde, Niccolò Cappelli)




Buddha riassumeva le cause della sofferenza umana nel fatto che "si vuole sempre ciò che non si ha e non si vuole ciò che si ha". Metaforicamente parlando - nel contesto provocatorio di Diogene - si vuole il freddo quando fa caldo e il caldo quando fa freddo e non si è mai contenti di ciò che c'è nel momento presente perché imprigionati dai bisogni creati dalla e nella nostra stessa gabbia mentale. Il motore del desiderio (quel padrone-ego che il cane randagio-Diogene non vuole proprio seguire) come leva verso qualcosa di sempre diverso, passando da un desiderio all'altro, in una incessante ricerca con sforzo verso il superfluo, in quanto impermanente. Tornare all'essenziale di ciò che è la nostra vera natura, essere umani in quanto presenti a se stessi - la "ricerca dell'uomo" della lanterna di Diogene - riposare nella naturalezza dei ritmi universali, togliere lo sforzo psicologico a un incedere spontaneo della vita più aderente ai dettami della natura.
La vera libertà è una conquista interiore che per lo più accade proprio quando si smette di fare, di volere, di afferrare, di pretendere, di desiderare le cose sempre diverse da come sono, di conformarsi (letteralmente, prendere forma, identificarsi solo con ciò che è visibile) e rincorrere ottenimenti esteriori continuamente diversi e impermanenti.
In sostanza gli aneddoti della vita anti-conformista, anti-sociale, anti-civile anti-buone maniere, anti-tutto di Diogene mordono su questo punto. 

Il poeta mistico tibetano Milarepa andava in giro nudo nutrendosi solo di ortiche (per questo raffigurato spesso con il corpo di colore verde), Francesco di Assisi si denudò delle sue ricchezze scegliendo di indossare ben altre vesti! L'allusione di queste "rinunce" è facile da intuire, se non prese alla lettera quantomeno simbolicamente parlando. 
Il richiamo dell'anima selvaggia (il cane randagio, le ortiche, il dialogo con gli elementi della natura) è l'eco di una saggezza intuitiva che va ben oltre le facili scorciatoie del pensiero comune, massificato, sclerotizzato, dogmatizzato, eccessivamente materializzato o anche spiritualizzato ma solo concettualmente. La via comoda del consenso, della fama, del plauso, della finta socievolezza, della sofistica intellettuale.
Il ritorno alle nostre vere Origini, non può che passare per un atto di ribellione a tutto questo, poeticamente parlando è un richiamo della foresta vero e proprio, e non sempre è docile o rassicurante.

"Non esiste che un modo per andare oltre: attraversare tutto ciò che c'è! Fidarsi della naturalezza delle cose, togliersi importanza personale, tornare alla Natura il più e il prima possibile e … godersi il viaggio, passo dopo passo. Senza fretta, apprensione e aspettative. Accogliere dallo stato naturale la grazia della resilienza, della vigile innocenza, della pazienza attiva. La vita evolve attraverso di noi e ogni singolo passo fatto con questa arrendevole consapevolezza aumenta l’esistenza a noi e a chi ci circonda. Ogni strada non è un percorso solo se ci rifiutiamo di camminare. Anche da fermi, purché le nostre ossa continuino a scricchiolare per benino! Con la fluente calma dell’eterno movimento che toglie peso a ciò che deve accadere. Toglie peso alla pesantezza di ciò che crediamo di essere." (Tratto da : "Il richiamo della foresta")



“Io sono Milarepa, grande per fama, 
la diretta progenie della Memoria e della Saggezza;
Eppure io sono un uomo vecchio, derelitto e nudo.
Dalle mie labbra esce una canzone breve, 
perché tutta la Natura, a cui io guardo, è il mio libro.
Il bastone di ferro, che le mie mani stringono, 
mi guida sull'Oceano della Vita che Cambia.
Maestro io sono della Mente e della Luce;
E mostrando azioni e miracoli, non dipendo da divinità terrene”.

(Cit. in: W.Y. Evans-Wentz (a cura di), Milarepa – Il grande Yogi tibetano)




"Devo ringraziare l'autrice 
perché Cecilia ci immerge
come una nuova Diogene 
in un percorso che forse tendiamo a dimenticare 
quello che ci riporta verso 
il tempo giusto
il momento della riflessione
del sentirci dentro"

(Alessandra Sannella - Docente in Sociologia e Politiche Sociali presso 
l'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale )

L'INTERVISTA DI ARACNE TV 


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