01 gennaio 2024

Come siamo diversi oggi noi, dalla Dickinson | Natalia Ginzburg

Tratto dal testo Il paese della Dickinson, datato gennaio 1969, contenuto nel libro Mai devi domandarmi di Natalia Ginzburg (Garzanti 1970)

[…] Questa dunque fu la vita della Dickinson: una vita simile a quella di tante zitelle che invecchiano nei villaggi; con i fiori, il cane, la posta, la farmacia, il cimitero. Solo che lei era un genio. Di zitelle che passano la vita a scrivere versi nei borghi di campagna, in solitudine, con manie e stravaganze, ce ne sono infinite, e nessuna è un grande poeta; e lei invece lo era. Lo sapeva? non lo sapeva? Scrisse migliaia di poesie e non volle mai stamparle; le cuciva col filo bianco in fascicoletti.

Questa è la mia lettera al mondo 
che non scrisse mai a me.

Era difficile che il mondo potesse scriverle, dato che lei era, e voleva essere, immersa nell’oscurità di una casa. Ma certo il mondo non le scrisse mai, in nessuna forma, perché, finché fu viva, non le diede niente. E del resto la sua lettera al mondo non chiedeva risposta. Essa aveva orrore della notorietà (si sarebbe sentita “come una rana”) e si limitava a mandare i suoi versi a un critico letterario, il signor Higginson, “per sapere se respiravano” […]

Come siamo diversi oggi noi, dalla Dickinson! Non è passato nemmeno un secolo dalla sua morte, eppure come siamo diventati diversi da lei! Chi mai di noi, essendo un poeta, si piegherebbe al buio destino di zitella in un villaggio? Farebbe almeno qualche tentativo di fuga. Le non lo fece mai. Chi oggi accetterebbe per tutta la vita il carcere famigliare, le angustie d’una vita così tranquilla e così miserabile? 


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Noi viviamo magari nelle capitali e ci sembrano province. Abbiamo intorno una folla di gente e ci sentiamo esclusi dalla vita dell’universo. Siamo pieni di bovarismo* dalla testa ai piedi, sempre ansiosi, nostalgici, insofferenti. 

L’orizzonte che abbiamo ci sembra piccolo, abbiamo la perenne sensazione di essere cascati in un punto sbagliato, e che la porzione di orizzonte che ci è toccata sia troppo esigua. In noi è il pensiero segreto che, se avessimo avuto uno spazio più grande di amici e interlocutori, forse avremmo potuto avere un destino più alto.

I legami famigliari, noi non pensiamo che possano arricchirci lo spirito, essi sono stati guidati a noi dal caso e nel caso noi crediamo. Il caso ci appare qualcosa di assai vile e spregevole. Crediamo solo nelle nostre scelte, e le nostre scelte sono sprezzanti, irrequiete, schifiltose e smaniose. Stiamo però sempre con i canocchiali puntati, sperando che sopraggiunga qualcuno.

Lettere, non ne scriviamo. E comunque mai avremmo degnato di una lettera la signora Holland o il signor Higginson. Mai avremmo mandato i nostri versi al signor Higginson. Avremmo pensato che era uno stupido (e infatti forse lo era). Mai ci sogneremmo di scriver versi tutta la vita senza stamparli. Siamo così ansiosi di stampare ogni cosa che scriviamo. Non per amore di gloria; ma sempre per la segreta speranza che qualcuno, il nostro interlocutore ideale, dalle profondità dell’universo raccolga le nostre voci e ci risponda. E forse, se la Dickinson ci passasse accanto, non sapremmo riconoscerla. 

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Come riconoscere il genio e la grandezza in una zitella vestita di bianco, che va a spasso in compagnia d’un cane? Essa ci sembrerebbe stravagante, e noi non amiamo la stravaganza: amiamo la pazzia. La pazzia non bisbiglia, ma grida, e veste colori rutilanti e spoglie folli e inconsuete.

È vero che nessuno dei suoi contemporanei, forse, la riconobbe. Ma i suoi contemporanei non erano lì con i canocchiali puntati, non avevano canocchiali. Devono tuttavia aver provato, nel passarle accanto, una sensazione agghiacciante e profonda, perché la furia del mare investe e sconvolge anche i ciottoli delle stradi e l’erba delle paludi. Chissà se noi saremmo in grado di avvertire una simile sensazione. Forse no. Non l’avremmo riconosciuta. Non l’avremmo nemmeno vista.

Bovaristi, pieni di pietà per noi stessi, siamo scettici e increduli per tutto quanto passa, in spoglie giornaliere e provinciali, vicino a noi. 

Nei suoi versi, la pietà di sé non s’affaccia mai. Né mai vi risuona un accento di nostalgia o di malinconia, il desiderio e le lagrime per un’altra sorte. Lagrime, non ne ha mai. La sua è un’affermazione di solitudine volontaria, inesorabile e tragica.


Questa è la mia lettera al mondo 
che non scrisse mai a me.


(nota di mia aggiunta) *Insoddisfazione spirituale, atteggiamento psicologico tendente a valorizzare la fantasia e l’istinto fino alla costruzione di una personalità fittizia in contrasto stridente con la realtà. Desiderio smanioso di evasione dalla realtà, soprattutto in riferimento a particolari situazioni ambientali, sociologiche etc.. Dal nome del celebre personaggio Madame Bovary, protagonista dell’omonimo romanzo di G. Flaubert (1821-1880) 

ALTRI SPUNTI DI INCARNAZIONE POETICA DEL PROPRIO "DESTINO"

"Viva la vida": Frida Kahlo

Momenti d'Essere: Virginia Woolf

La vastità dell'insicurezza: Rainer Maria Rilke

... e a proposito di "sincro-destino", eccolo il mio "incontro" con Natalia Ginzburg a pochi mesi dal mio trasferimento a Torino, nel 2013!


Progetto itinerante 

La Gioia di dialogare con la Voce dei Poeti 

il viaggio continua ...


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Tutti dovremmo "stare al prossimo" come Felice Balbo, felice intuizione sull'arte del vero ascolto