07 ottobre 2023

Cimitero di Recanati: la Piramide di Beniamino Gigli e altre meraviglie

Quando una visita al Cimitero di Recanati si trasforma in un viaggio incredibile. La tomba a forma di piramide del tenore Beniamino Gigli è subito segnalata, ma molto altro si apre allo sguardo di chi dai dettagli e dalle sintesi d’infinito si lascia rapire. In fondo, siamo pur sempre nella Città dell’Infinito. (Foto ©CECILIA MARTINO)


Quello che oggi è il Cimitero Civico del Comune di Recanati era un tempo l’orto del Convento dei frati Minori Osservanti che costruirono nel 1450 la Chiesa di Santa Maria di Varano, ad oggi chiusa, visibile al lato dell’ingresso del Cimitero. Vi si conserva ancora il pozzo di San Giacomo della Marca ed affreschi nelle lunette del portico, nonché tombe dei familiari del poeta Leopardi.

 

L’ingresso al cimitero schiude immediatamente scorci di profondità e bellezza, naturale e architettonica insieme, come se nel gioco del tempo la maestria di una mano invisibile ci avesse posto un segno di inequivocabile monumentalità. 
Colpisce la varietà stilistica dei sepolcri, veri e propri mausolei, opere d’arte e di spontaneità insieme. L’arte è quella del secolo che ha impresso la memoria databile nei vari ambienti sepolcrali, alcuni risalenti all’Ottocento e appartenenti a classi evidentemente nobiliari. La spontaneità è quella della natura impetuosa che avvolge, abbraccia, avvinghia, in certi casi, avviluppa letteralmente le dimore dei defunti. 


Le tombe familiari sono le più poderose: tra guglie come i minareti orientali e templi dai richiami greco-romani, il frastuono dell’alchimia atemporale diventa tangibile. Simboli onnipresenti, sovrani del parossismo che è l’unico linguaggio per poter alludere alla morte quale viaggio nell’ignoto e insieme ritorno a casa. Simboli universali e, insieme, storici.  Echi di massoneria, controcanti di cristianità, sobbalzi di spiritualità ancestrale. Un teschio di pietra può davvero dialogare con un fiore che sboccia, l’occhio dei Rosacroce con il sole di Maria, il liuto raffigurato all’interno del mausoleo di Beniamino Gigli con il canto della civetta che, se capitate al momento giusto, si fa premurosamente sentire.


Sembra di camminare tra le stradine di un borgo antico, viene voglia di chiamarlo la Cittadella dei Morti ma senza sfumature tetre da brividi di seconda mano. C’è un sentore, un presentimento di vita che serpeggia nella bellezza della cura dei fiori profumati portati dagli officianti, ma anche di una cura più sottile, quella che l’umano a volte scambia per crudeltà. La vertigine dell’impermanenza, le radici che si inglobano nelle ossa, le foglie secche tra le ragnatele delle croci conficcate sull’erba, sentieri più dimessi dove l’unica nobiltà rimane quella di un filo d’erba. E l’originale brivido che rimane è forse un tremore autentico che non sa né di male né di bene. Sa di respiro sacro, di vita e di morte insieme.


Una visita in questo luogo può regalare scorci su scorci, in un caleidoscopio di immagini smisurate e misurabili in sincerità che partono non dal pianto, ma dal riso. C’è gioia a poter riabbracciare un anelito d’amore. Il compianto non è chi rimane impresso in una fotografia. E’ una presenza che può avere la dolcezza del profumo del pane appena sfornato, o dei petali di rosa sparsi sul marmo dove la spoglia mortale riposa. 
In questa “cittadella dei morti” ci sono porte, finestre, cancelli, cunicoli, terrazzi e giardini, persino affacci sul mare… Si sale e si scende perché si sviluppa su quattro livelli e le scale sostengono la vertigine del viaggio. Ci si muove come in un pellegrinaggio, e l’Alfa e l’Omega impressi un po' ovunque ci rammentano la circolarità dell’infinito. 



TOMBA DI BENIAMINO GIGLI

La segnaletica più insistente rimane quella che indica la direzione della tomba del tenore recanatese Beniamino Gigli. Fu realizzata nella prima metà del ‘900 su disegno del fratello Catervo, scultore, che progettò il mausoleo di famiglia ispirandosi ai più antichi monumenti funebri della storia, le piramidi egizie. La tomba a forma di piramide è interamente realizzata in conci di travertino. Le due statue bronzee poste all’esterno ai lati del portale, realizzate dallo stesso Catervo, raffigurano le virtù teologali: Fede (donna che porta la croce) e Carità (donna con bambino). L’interno è completamente dipinto a tempera a secco dal maestro recanatese Arturo Politi, su cartoni del maestro Biagio Biagetti (1877-1948). 

     

Probabilmente, molte delle visite al Cimitero giungono dalla presenza di questa tomba senz’altro particolare e dal lustro del personaggio giustamente caro alla memoria cittadina. Ben vengano, ma non si fermino lì! C’è così tanto da assaporare, senza mappe geografiche o turistiche nelle mani, lo scalpitio dei piedi sui cocci di stradine che portano chissà dove. Le abitano con disinvoltura i gatti, i rivoli di acqua che sgorga da fontanelle incastonate in roccia e le anime raccolte dei parenti con il gesto della preghiera sul volto un po' distratto.  A incontrarsi qui, ci si saluta tra i passanti, discostandosi dall'indifferenza di un fretto passo routinario. 



Saluti da un borgo antico dove, lo ripeto ancora, la morte non è stagnante ma vivente, e la vita alla sua delicatezza si inchina. “La morte è il regno della grande delicatezza” scrive poeticamente Christian Bobin e forse in questi luoghi – i cimiteri – bisognerebbe approssimarsi più spesso e a cuor leggero.
Annusare quel vento umbratile dove il velo tra il visibile e l’invisibile si assottiglia. E qui, nei cimiteri, con certi sguardi e certe disponibilità totali, diviene persino tangibile e a colori. Come “un azzurro che non mente più”.

VIDEO INGRESSO ALLA TOMBA DI BENIAMINO GIGLI


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