07 agosto 2015

Saudade! Il viaggio dell'anima Boa Vista Capo Verde

La lingua portoghese custodisce una parola bellissima dalle sfumature intraducibili: saudade. Semplificando, in italiano suona più o meno come malinconia o nostalgia.
Esiste una saudade per ogni viaggio, anzi per ogni cosa, per ogni cosa che vive di abbandono (Surrender), che è poi l’arte della magia. Il “mal d’Africa”, in sintonia con gli accordi della saudade, è un accento che risuona in ogni latitudine del mondo, sconfina dai limiti di geografie da mappamondo, compenetra la pelle del viandante che abbia anche solo accennato a un inchino davanti all’oceano – qualsiasi oceano, o sulle pieghe dorate di una duna del deserto – qualsiasi deserto, o davanti alla finestra (se c’è!) della dimora che ospita il suo passaggio, che custodisce i sogni rivelatori delle notti nomadi, quei sogni che si addormentano la sera con le stelle cadenti e al risveglio hanno le ali di un rapace gracchiante. Quelli più potenti e decisivi, perché senza appigli, che si lasciano cullare dall’ebbrezza di ciò che inizia senza durare… Come il vento caldo dell’estate, quella bolla d’aria che ti sospinge a ridosso di cieli impenetrabili eppure tutto sembra così leggero, aggraziato, evanescente.


Nello Yoga del Bardo la malinconia è la prima emozione con cui il “morente” ha a che fare ed è suo compito accoglierla, per non cadere nell’inconsapevolezza o nell’attaccamento a ciò che si deve lasciare andare (luoghi e persone amate, familiari, ricordi). Il Bardo è il transito, il passaggio dalla vita alla morte che si perpetua anche mentre si è ancora “viventi”; sono le cicliche morti e rinascite che quotidianamente accompagnano il viaggio dell’anima, succedono ad ogni respiro (inalando si assorbe prana, vita, esalando il respiro, lo si dona all’energia universale, qualcosa del nostro sé individuale muore ad ogni espirazione), ad ogni sonno e risveglio (ogni notte, addormentandoci, compiamo un Bardo), ad ogni momento cruciale della vita quando finiscono cicli e iniziano stagioni per nuove cose. E ad ogni viaggio: partire è un po' morire.


Non provare attaccamento, né paura, né attrazione, né repulsione è la chiave dell’arte del morire, e del vivere, dal momento che sono processi simultanei.
Nella malinconia dell’errante non c’è nulla di tutto questo.
Non c’è paura, ma coraggio.
Non c’è attrazione ma seduzione, non c’è repulsione ma amorevole distanza.
C’è la straziante poesia di un’anima che gode della bellezza succinta di un tramonto, o di un’alba o di un stretta di mano sul molo di un porto di mare, o di una rueda gitana attorno al fuoco tremolante di un falò accanto a una pista di atterraggio o a un autogrill.
C’è la voglia di continuare il viaggio senza memoria, senza vanità, senza controllo, con tutti i simboli scolpiti nel corpo, forse qualche cicatrice in più e un diario di bordo con molte pagine bianche, perché non usa troppe parole l’amante quando fa l’amore.
Fondersi con l’Anima del mondo è un urlo silenzioso che fa lacrimare gli occhi prima ancora di sapere che si sta piangendo per qualcosa, o per qualcuno.
E’ non c’è gioia più maestosa di questo struggimento senza meta, senza nome, senza voglia di durare, perfino senza senso.

“Immagino d’avere già vissuto nell’infinito delle cose di questo mondo e che, a questo infinito, ho dato i miei amori e i miei dolori” (Rabindranath Tagore)



Hakuna matata, non c’è problema, nessuna preoccupazione, andiamo avanti, va bene così, lasciamo andare, senza fretta, senza aspettative, senza stress. No stress.
Capo Verde Terra de Sodade, Boa Vista no stress. Makein mushkil, no problem. Eccoli, gli unici appunti del mio ultimo viaggio, il mantra che mi ha accompagnato da Capo Verde a Marrakech, in un coacervo di lingue (creolo, portoghese, francese, spagnolo, inglese, arabo, tuareg) che alla fine ha creato un linguaggio atipico assolutamente individuale. Improponibile e irripetibile. Senza senso? Sì. Ne sono uscita fuori più morta che viva, e dunque pronta a ricominciare. E con un nuovo nome: Aisha (... ma questa è un'altra storia).


“È la nostalgia a nutrire la nostra anima, non l’appagamento; e il senso della nostra vita è il cammino, non la meta. Perché ogni risposta è fallace, ogni appagamento ci scivola tra le dita, e la meta non è più tale appena è stata raggiunta”.
(Arthur Schnitzler) 










SEMPRE DA CAPOVERDE, TRE ANNI DOPO

Un magico incontro ... ne ho raccontato qui: C'est la vie!




04 agosto 2015

Chi è Sri Tathata?



Tathata, maestro vivente nato in Kerala, nel Sud dell’India, è un libro aperto sull’Universo. Bastano gli occhi, quello sguardo proteso sull’infinito, uno sguardo senza fondo né appigli, che attinge a tutta la Bellezza del mondo, che trasborda di amore e sembra urlare, placido, un boato di compassione universale.

Tathata vuol dire “perfezione assoluta” e la perfezione è un processo intrinseco allo sviluppo della vita, all’evoluzione che tende sempre al suo fine più alto. Vivere secondo Natura, ricordandosi cioè di questo scopo evolutivo supremo, è il Dharma.

Tathātā è un sostantivo femminile sanscrito che indica "la vera natura delle cose", l'"autentica natura della realtà".

Dharma è accordarsi con le leggi cosmiche di progresso in tutte le sue fasi (creazione, mantenimento, distruzione, riposo, ri-creazione), è portare la vita al suo compimento massimo, cioè consentire la manifestazione divina (il fine superiore, il lato invisibile del visibile) in ogni cosa. Cominciando da noi, ovviamente.



L’aspirazione che ci può supportare nel passaggio evolutivo proprio dell’era che stiamo vivendo, è quella di portare allo sviluppo massimo le nostre facoltà mentali innescando la Consapevolezza in ogni processo che ci riguarda e a tutti i livelli (fisico, mentale, emotivo, spirituale). Non basta avere una mente che ci distingue dagli animali; questo è stato il grande passo evolutivo dell’era precedente. Ora è il momento di andare oltre, oltre persino alla mente stessa, oltre persino all’uomo stesso. Il tempo dell’“Uomo oltre l’Uomo” di nietzschana memoria e dell’Overmind, la “Supermente” di cui parlava Sri Aurobindo, il più grande maestro e  filosofo indiano  del  XX  secolo  con  cui  Tathata  ha  non  poche  affinità.  Questo  passaggio,  ovviamente,  non  può  essere  compiuto  né  dall’Io Individuale, né dalla personalità egoica, ma dall’Io Superiore, quell’Intelligenza intuitiva e creativa, quel maestro interiore (Aurobindo lo chiama essere psichico, Tathata lo chiama mahas), quell’anima scalpitante che chiede solo di essere ascoltata e che, indovinate dove risiede? Al centro del nostro petto, nel Cuore, il Sentiero di Mezzo che integra l’alto (spirituale) e il basso (materiale) portando a compimento lo sviluppo, appunto, dell’Uomo Integrale. Tathata, come molti maestri, parla di Insight, visione dall’interno.




E come si fa ad accedere a questo beatifico serbatoio di ispirazione e grazia senza filtri mentali da cui ricavare un flusso inarrestabile di energia, beatitudine e abbondanza? Innanzi tutto, bisogna volerlo (il potere dell’aspirazione, tapas, fuoco spirituale) e simultaneamente avere il coraggio di aprirsi totalmente.
Sembra una banalità, ma se non apriamo la porta, quello che c’è dietro la porta non può entrare. Spesso crediamo di essere in uno stato di apertura, invece siamo timorosi e attaccati così profondamente alle consuetudini (le famose “zone di comfort”), che riusciamo solo in minima parte a percepire cosa c’è dietro la porta. Se resistiamo al movimento che vuole farci crescere (perché non c’è altra certezza nella vita che questa: il cambiamento), sperimentiamo dolore e blocchiamo il naturale anelito evolutivo che si compie attraverso di noi
Noi siamo gli strumenti dell’evoluzione della Natura e dell’Universo, solo di questo dobbiamo assumerci pienamente la responsabilità. Non siamo ospiti per caso in questo piano di esistenza che ci troviamo a sperimentare, siamo agenti proattivi della trasformazione del mondo. In questo consiste la vera spiritualità, in un’occasione di crescita, non in un dogma o in un sistema di credenze (pur spirituali che siano). 
In questo consiste lo Yoga, non nel sapersi mettere a testa in giù e rimanerci per ore. Come Tathata ama ripetere spesso: “ Yoga è vita e la vita è Yoga”. 

Lo Yoga, l’Unione con la Coscienza Universale, è una Presenza, è un’esperienza di espansione da incrementare complessivamente, è un viaggio. E più si viaggia leggeri, più si va veloci. Più si mollano le zavorre di automatismi e schemi limitanti, più ci si diverte. Perché in questo viaggio, non c’è nulla di austero. E nuovamente, l’eco delle parole di Aurobindo “Che tutto in te sia gioia, questa è la tua meta”.


Da sinistra a destra, Sri Aurobindo e Sri Tathata





“Non ritirarti dal mondo, agisci nel mondo” è uno dei precetti dei Dharma Sutra di Tathata nonché la base dello yoga integrale di Sri Aurobindo il cui attivismo culturale, politico e sociale lo portò a sperimentare una vita tutt’altro che ascetica. Solo che, quando si entra in connessione con il flusso di energia cosmica (divina, spirituale, universale come ci piace più chiamarla, ma tanto esiste al di là di ogni definizione!), non sei più tu che agisci, ma lei attraverso di te, e dunque non c’è più attrito, nemmeno durante le difficoltà. Perché, affidandosi totalmente (Surrender, altra parola magica di Aurobindo e Tathata), niente alla fine ci appartiene più, e tutto scorre. Tutto va come deve andare, né più né meno. C’è in questo atto del Surrender, resa totale e abbandono, tutta la grandezza propria degli ossimori, perché è un morire (si sacrifica la personalità, si muore all’Ego, si svanisce nel darsi totalmente senza attaccamenti) e un rinascere a nuova vita. Una vita definitivamente libera.

“Quando il ricercatore spirituale riesce a collegarsi alla Coscienza Universale, la Presenza discende su di lui e, nel contempo, sulla Madre Terra. La Presenza spirituale rende completa sia la vita spirituale che la vita nel mondo. Il segreto di ogni cosa è in relazione con questa verità e l’accesso all’incommensurabile ricchezza dalla quale dovremmo poter attingere ne dipende.” (Sri Tathata)

“Per uscire dall’ego serve la forza di volontà, piuttosto che l’atteggiamento. Bisogna volerlo. E il mezzo più sicuro è darsi al Divino. Non tentare di attirare a sé il Divino, ma darsi.” (Sri Aurobindo)



Roma, 25-26 Luglio 2015



Sri Tathata ha avuto una nascita del tutto particolare: presentava tutti i segni che permettono di riconoscere un Bambino Divino. Ancora giovanissimo, lasciò la sua casa per ritirarsi in solitudine e dedicarsi alle intense pratiche spirituali ed austerità di numerosi anni d'ascesi. La Sua coscienza visse nella fusione completa con l'Assoluto per lunghi periodi e all'apice delle Sue ascesi, mentre si trovava in Samadhi (estasi Divina) Gli furono mostrate dalla Madre Divina, in una straordinaria visione, sia le infinite meraviglie dell'universo che le tremende sofferenze del mondo. Quando uscì dall'isolamento, Egli era pronto ad agire quale strumento perfetto della Volontà Divina.
Da quel giorno in poi Sri Tathata non ha mai smesso di operare per far discendere l'energia del Dharma dalla Sorgente suprema, radicarla e diffonderla nel mondo, istituendo anche un'iniziazione per aprire il cammino alle anime più mature.
Nel 1991 a Sarnath, vicino a Varanasi (Benares), Sri Tathata annunciò il Dharma dei nuovi tempi sotto forma di 49 versetti che portano il nome complessivo di Dharma Sutra. Poi intraprese la costruzione di un grande tempio voluto dal Divino, a Kollur, nello stato del Karnataka. Questo tempio di meditazione, il Dharma Pitha, è stato aperto al mondo il 6 Luglio del 2006. Oggi Sri Tathata si dedica a diffondere il Suo messaggio sia in Oriente che nel mondo Occidentale, ed inizia numerosi discepoli alla vita Divina. 


Roma, 25-26 Luglio 2015



Prendete rifugio nella luce interiore   

Ātma dīpa       
Ātma sarana     
Ananya sarana     
Dharma dīpa     
Dharma Sarana bhavatha  

Diventa la tua luce     
Diventa il tuo rifugio 
Non rifugiarti in nulla o nessun altro     
Trova nel Dharma la tua Luce     
Prendi rifugio nel Dharma     
Sii una luce per te stesso


Roma, 26 Luglio 2015 Dharma Snana


Se ami qualcuno, liberalo da te




Quante volte si gioca al compromesso di evitare qualcosa perché si pensa che la tal cosa possa dispiacere, nuocere, creare preoccupazione, deludere qualcun altro, quante volte si ascolta questa vocina che nulla ha a che vedere con il richiamo più autentico dell’anima. Se ami davvero qualcuno, non incatenarlo e non fare il suo gioco. Deciso ma in punta di piedi, accompagna il movimento più congeniale alla vita che è quello di essere il più integrali possibili. 


Quante volte si fanno cose per compiacere chi si ama o peggio ancora, non si fanno cose. Quante volte si gioca al compromesso di evitare qualcosa perché si pensa che la tal cosa possa dispiacere, nuocere, creare preoccupazione, deludere qualcun altro, quante volte si ascolta questa vocina che nulla ha a che vedere con il richiamo più autentico dell’anima.




Preoccuparsi eccessivamente di qualcuno al punto da limitare le proprie personali espressioni di creatività e gioia non è fare del bene, piuttosto è perpetuare un circolo vizioso di fondo alimentato dalle schermaglie limitanti dell’ego. No, questo non è amore, è presunzione, presunzione di sentirsi responsabili di qualcun altro quando l’unica responsabilità che si ha nei confronti della vita è quella di essere se stessi fino in fondo aderendo il più possibile al piano divino, alla missione, vocazione per la quale si è nati, lasciando che il nostro destino si compia in sinergia con le forze universali, ricordandoci che l’Universo si evolve attraverso di noi, e viceversa.

Se rinunciamo a qualcosa che ci rende gioiosi e appagati per sottometterci alle esigenze di qualcun altro, non stiamo celebrando la vita, ci stiamo solo convincendo che sia giusto così perché così ci hanno sempre insegnato (ma cosa è giusto e cosa è sbagliato?),  tralasciando il piccolo particolare che non c’è favore più grande che si possa fare a chi si ama, che renderlo davvero libero.

La paura che attanaglia qualcun altro non la si tiene a bada evitando a quella persona di provarla, la sofferenza degli altri non si sana trascurando la propria gioia o realizzazione personale. È una forma di ego inverso pensare di “sacrificarsi” per gli altri quando il sacrificio nasce da una pericolosa premessa mentale: difendere da qualcosa qualcuno. Non c’è nulla da cui dobbiamo difenderci e nulla da difendere. Il vero amore per gli altri non può che nascere da una totale resa all'amore per se stessi perché senza realizzazione integrale del proprio essere quello che si dona agli altri non può che essere una menzogna mascherata da altruismo.

Sacrificio è rendere sacro ogni momento della vita colmandolo di pienezza, creatività e gioia, offrirsi totalmente al compimento del proprio specifico destino che, al di là delle  singole propensioni individuali, ha un’unica musica di sottofondo che suona più o meno così: scopri ciò che ti dà più gioia fare, fallo il più a lungo possibile e condividilo con più persone possibili. La condivisione della  nostra bellezza è l’amore più grande che possiamo rendere al mondo, e alle persone che amiamo, e in questa semplice adesione alla beatitudine dell’anima risiede il vero amore incondizionato. E’ questo l’amore che interrompe i circoli viziosi alimentati dai più angusti veleni della mente che, subdoli, scorrono all'interno dei rapporti interpersonali: sensi di colpa, di possesso e di inadeguatezza, paure, attaccamenti …





Il sole che sorge al mattino si preoccupa forse di quel qualcuno che potrebbe scottarsi all'esposizione prolungata dei suoi raggi? Non è affar suo, la sua vocazione è di splendere e donare la vita alla terra con il suo calore che può avere anche effetti nefasti ma non se ne prende pena. Chi si scotta, ha un motivo per scottarsi, non è certo colpa del sole. Poteva prendere precauzioni e non l’ha fatto, meglio ancora l’esperienza della scottatura lo renderà più vigile per le prossime volte. In ogni caso, è una sua scelta. Il sole deve splendere con tutta la sua energia, niente di più e niente di meno. Ci dimentichiamo spesso che noi siamo come il sole, in quanto parte integrante dell’universo, e abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere di splendere. Se il sole smettesse di irradiare la sua luce vitale, non ci sarebbe più vita sulla terra. Immedesimatevi con il sole e capirete il danno che perpetuate se limitate la vostra espansione luminosa per difendere preventivamente qualcuno da qualche eventuale danno.


Non esistono errori nel piano cosmico dell’esistenza, esistono solo esperienze. Non esistono fallimenti, solo grandi opportunità. Se qualcuno che amiamo “soffre a causa nostra” è una sua scelta, e noi non lo aiutiamo pensando di difenderlo sminuendo chi siamo, stemperando i nostri impulsi più arditi, dimettendoci dalla nostra sacrosanta volontà di essere pienamente felici. Assecondare le paure degli altri imponendo alla nostra vita limitazioni mortificanti non aiuta nessuno. L’amore rende liberi, non schiavi. Se amate davvero qualcuno, liberatelo da voi. Se si scotta, magari si lamenterà e cercherà di farvela pagare ma poi … vi ringrazierà per l’abbronzatura che ha colorito la sua pelle. Per i nuovi colori che avete aggiunto alla sua vita. Se amate davvero qualcuno, non limitatevi a compiacerlo. Splendete come foste l’ultima luce rimasta sulla terra prima della fine del mondo.


Danziamoli, i nostri demoni!






"Vacuità e luminosità sono la natura propria della mente: 
riconoscendola come consapevolezza luminosa e vuota 
si dissolve spontaneamente nello stato originario e autentico. 
Non valuto se la meditazione é buona o cattiva. 
La mente lasciata inalterata é Felicità... 
Riconoscendo che la dualità di soggetto e oggetto non esiste, 
piacere e dolore si dissolvono ambedue in un'unica cosa, 
si dissolvono spontaneamente nello stato originario e inalterato"
(Milarepa)


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