19 settembre 2024

Essere, essere è felicità | Bellissimo brano di Milan Kundera


Agnes si ricordò uno strano momento vissuto quel pomeriggio, prima della partenza, quando per l'ultima volta si era messa a vagare per il paesaggio. Era giunta a un ruscello e si era stesa sull'erba. Era stata sdraiata lì a lungo, con la sensazione che la corrente entrasse dentro di lei e lavasse via tutti i dolori e le sporcizie: il suo io. Strano, indimenticabile momento: aveva dimenticato l'io, aveva perso l'io, era senza io; e in questo stava la felicità.

Ricordando quel momento, ad Agnes viene in mente un pensiero, vago, fuggevole, eppure così importante, forse il più importante di tutti, tanto che cerca di coglierlo con le parole:

Quel che nella vita è insostenibile non è essere, ma essere il proprio io. Il Creatore con il suo computer ha fatto entrare nel mondo miliardi di io con le loro vite. Ma oltre a questa quantità di vite, è possibile immaginare un essere più fondamentale che era qui ancor prima che il Creatore iniziasse a creare, un essere sul quale egli non ha avuto e non ha influenza. Oggi, mentre era stesa sull'erba ed entrava in lei il canto monotono del ruscello, che lavava via il suo io, la sporcizia dell'io, Agnes partecipava di quell'essere fondamentale che si manifesta nella voce del tempo che scorre e nell'azzurro del firmamento; ora sa che non c'è niente di più bello.

La strada statale, sulla quale era uscita lasciando l'autostrada, è silenziosa e sopra ad essa brillano stelle lontane, infinitamente lontane. Agnes si dice:

Vivere: nel vivere non c'è alcuna felicità. Vivere: portare il proprio io dolente per il mondo.

Ma essere, essere è felicità. Essere: trasformarsi in una fontana, in una vasca di pietra, nella quale l'universo cade come una tiepida pioggia.

(Milan Kundera, L'immortalità)

Aperture all'essere - Yoga al tramonto presso Agriturismo Hornos (AN), 1 settembre 2024 

L'illusione di avere una missione nella vita | Achhan Sumedho

State dove siete, non cambiate nulla! Jean Klein e la non-direzione

Georges Ivanovitch Gurdjieff | In sua presenza percepivo un'altra possibilità di ESSERE


INCONTRI DI YOGA 2024-2025 

RICONNETTERSI ALL'ESSERE

DATE ORARI E INFO


Quando sarò libero? 

Quando la tua egoità 

sarà scomparsa e la tua volontà

si sarà fusa con quella divina

(Sri Ramakrishna)


12 settembre 2024

Poesia Lord Shiva Nataraja (il trionfo della Bellezza)



Questi versi sgorgati stamattina dal cuore, come i grani di un rosario e semi di Rudraksha, hanno il profumo di storace e copal, e la carezza del Maha Mrityunjaya Mantra (Om Trayambakam), il sacro mantra per la guarigione e la protezione.



E Tu arrivi danzando
E Tu arrivi giocando
E Tu arrivi creando
all’insaputa del mondo

E tu arrivi pulsando
E Tu arrivi ruotando
E Tu arrivi piacendo
all’insaputa del mondo

E Tu arrivi cantando
E Tu arrivi fluttuando
E Tu arrivi scuotendo
all’insaputa del mondo

E Tu arrivi gioendo
E Tu arrivi destando
E Tu arrivi benedicendo
all’insaputa del mondo

E Tu arrivi arrivando
E Tu arrivi andando
E Tu arrivi restando
all’insaputa del mondo

Possano saperlo i molti e i pochi
in un solo istante imbevuto di Te
che la Bellezza salverà il mondo
e che tutto si compie da Sé.

(Cecilia Savitri)

Questi versi sgorgati stamattina dal cuore, come i grani di un rosario e semi di Rudraksha, hanno il profumo di storace e copal, e la carezza del Maha Mrityunjaya Mantra (Om Trayambakam), il sacro mantra per la guarigione e la protezione.
Om Shivoam 

Ogni massimo bene per chiunque li leggerà ....
Meglio se ad alta voce, poi sussurrati, poi mentalmente! 




INSTAGRAM CECILIA SAVITRI
CANALE YOUTUBE CECILIA MARTINO


PROGETTO ITINERANTE 




Poesie di Cecilia Martino




Un grande viaggio di iniziazione, 
forti emozioni, poesia 
e una piccola-grande chiave 
per trasformare la paura di morire. 


30 agosto 2024

La prima volta che si sperimenta il corpo vuoto

"Quando cogli la spazialità luminosa del tuo corpo che irradia in tutte le direzioni, ti liberi dalla dualità e ti fondi nello spazio" (Vijnanabhairava tantra) 

Spaziosità e Vuoto sono le "esperienze fondamentali" nello yoga della tradizione non duale. E della vita intera. Farsi spazio allarga visuali e geometrie del corpo, concede erranze gioiose nella dimora dell'essere, la nostra vera natura. "L'uomo è il pastore dell'essere" vaticinava il filosofo poetante Heidegger mentre si domandava: "Si tratta ora di capire come l'uomo è nello spazio e non è nello spazio come un corpo. L'uomo dispone dello spazio. Diciamo infatti "fare spazio" per lasciare libero e, cedendo del proprio spazio, facciamo essere qualcun altro. L'uomo non ha un corpo e non è un corpo, bensì vive il suo corpo vivente."

A dispetto di quanto la mente concettuale potrebbe indurre a pensare, non si tratta di esperienze che astraggono, al contrario, conducono al risveglio della sensibilità integrale di ampiezze sconfinate, radicando nella Realtà organica e cosciente, l'unica che resta quando si dissolve il senso dell'io personale (ahamkara), che è la radice di ogni astrazione psichica e fantasia di separazione.



IL CORPO - ERIC BARET
Non ci concediamo molto tempo per sentire il corpo.
Ad un certo punto,
invece di riflettere sulla tua vita affettiva, sulla spiritualità o altro,
ti concedi uno spazio durante la giornata, dove sei presente sensorialmente:
magari esplori un movimento
del dito,
del polso,
del respiro...
Sei presente.
Le tue domande vengono fatte in modo tattile,
come un musicista che fa domande uditive.
Così, poco a poco, le zone addormentate riprendono coscienza.
Devi essere gentile, essere paziente.
Lo scopo della vita è iniziare ad osservare gli ostacoli.
Non guardiamo verso un obiettivo, ma verso il sentito che l'ostacolo genera per sentire le zone del corpo che bloccano e impediscono raggiungimento dell'obiettivo.
Diventiamo disponibili agli automatismi e alle reazioni psicologiche, all'insoddisfazione,
al rifiuto,
all'amarezza,
al fallimento,
al dubbio,
all'agitazione.
Attraverso la sensibilità decodifichiamo il modo in cui questi elementi si sovrappongono costantemente al nostro sentito.
La reazione della nostra psiche attraverso le reazioni del corpo è il cuore del lavoro.
Ciò che accade è necessario,
che sia tristezza o gioia,
che sia estasi o difficoltà,
e ad un certo punto c'è questo ascolto,
che sarà sempre più lì,
dove divento ascolto di ciò che accade.
L'enfasi non è su ciò che si presenta,
su ciò che ascoltiamo,
ma sul sentire.
È normale che la prima volta che si sperimenta il corpo vuoto,
una vibrazione molto forte,
si provi una sorta di gioia.
Non ci incolperemo perché siamo felici di sentire finalmente la vibrazione,
ma ad un certo punto non c'è più questo elemento psicologico,
stiamo ascoltando e ciò che si ascolta passa in secondo piano.
Il processo di ascolto del corpo rifletterà sempre più la Coscienza.
È l'insegnamento tradizionale, che viene fatto prima di tutto sul corpo.
Il corpo è il simbolo della vita.
Il rapporto con il corpo è quello che abbiamo con il mondo.
Il modo in cui tratti il ​​tuo corpo è il modo in cui tratti il ​​mondo.
Il disagio del corpo è il disagio che si ha nei confronti del mondo.
Quando il corpo diventerà Coscienza, il mondo diventerà Coscienza.
Il mondo è una proiezione del corpo.
Ci relazioniamo al mondo esattamente come ci relazioniamo al corpo.
È molto importante rendere consapevole questo processo.


Yoga davanti al mare - Rigenerazione Gratitudine Respiro - Estate 2024 Porto Recanati



IL MANTO DI SPAZIO - JEAN ABSAT

Accogli tutto in te, sin dalle più distanti contrade di questo infinito cosmo. Quando poi sentirai che è giunto il momento, discendi infine nello spazio del tuo corpo. Percepisci ora come lo spazio occupato dal tuo corpo, in realtà, in nulla sia diverso dallo spazio in cui risiedono tutte le cose che sono attorno a te. Lo spazio che accoglie le montagne, i mari e i continenti tutti. Lo spazio che ospita la terra, gli astri e tutto quanto esiste. Tu, oh uomo fatto di spazio, fonditi ora nell'immenso e illimitato spazio che è madre di ogni cosa e che, prima di ogni cosa, esiste. SPAZIO CHE SI VERSA NELLO SPAZIO. INFINITO CHE SI MESCOLA AD INFINITO. Questo tu sei. In questo sconfinato spazio dimora. (Tratto da "Corpo e Preghiera. Nobiltà di un filo d'erba")




LO SPAZIO SI FA SPAZIO - MARTIN HEIDEGGER
Lo spazio fa spazio. 
Fare spazio significa sfoltire e render libero, liberare un che di libero, un che di aperto. Solo quando lo spazio fa spazio e rende libero un che di libero, lo spazio accorda, grazie a questo libero, la possibilità di contrade, di vicinanze e lontananze, di direzioni e limiti, le possibilità di distanze e di grandezze.
Si tratta ora di capire come l'uomo è nello spazio e non è nello spazio come un corpo. L'uomo dispone dello spazio. Diciamo infatti "fare spazio" per lasciare libero e, cedendo del proprio spazio, facciamo essere qualcun altro. 
L'uomo non ha un corpo e non è un corpo, bensì vive il suo corpo vivente. 
L'uomo vive, vivendo come-corpo, e così è ammesso all'aperto dello spazio e da lì soggiorna in una relazione col prossimo e le cose. 
Il fare-spazio è la libera donazione del luogo dove si manifesta Dio, da dove gli dei sono scappati, luogo in cui il manifestarsi del divino a lungo ritarda. 
In ogni caso gli spazi profani sorgono sullo sfondo di spazi sacri.

... E come non udire l'eco dei versi del poeta Rainer Maria Rilke
"La nostra pienezza si compie da lontano, nello splendore degli sfondi" 




"Yatha pinde tatha brahmande
Yatha brahmande tatha pinde"




17 agosto 2024

Perché pratichiamo lo yoga | Gérard Blitz Un maestro del nostro tempo


La domanda che noi possiamo porci è di sapere perché pratichiamo lo yoga. La risposta  a questa domanda è semplice: lo yoga è un mezzo per permetterci di apprezzare meglio la vita. Lo yoga  è un mezzo concreto. Chiaro e preciso. Non vi è  nessun mistero in questa pratica. Non vi è alcun posto per l’ immaginazione. Sappiamo che facendo una determinazione azione otteniamo un determinato effetto.
La scienza moderna, quella legata alla fisiologia e la neurofisiologia , conferma quanto già detto dai grandi Maestri dello Yoga del passato. Essenzialmente lo yoga equilibra le nostre funzioni. Facilita, regola, coordina il funzionamento estremamente complesso del corpo. È con l’equilibrio del corpo, con l’equilibrio fisiologico che creiamo l’equilibrio psicologico e psichico che ci manca.  Ecco la ragion d’essere dello Yoga.


C’è effettivamente un segreto nel yoga. È quello della sua trasmissione. È iniziatica. Avviene da una persona ad un’altra persona. La difficoltà è data dal fatto che l’esperienza è sempre differente, sempre rinnovata. Non ci sono due esperienze che sono identiche.
La stessa persona è diversa ogni giorno. Inoltre, non si tratta inizialmente di una conoscenza. Nello yoga, la conoscenza nasce da un’esperienza.

Si scopre ciò che già esiste.

Si sviluppa coscienza per potere situarsi a livello estremamente sottile del funzionamento di corpo.

Ecco l’essenziale.

L’unità (Yoga) di cui s’intende riguarda il corpo ed il mentale.

Siamo prigionieri degli automatismi del circuito mentale. Della dipendenza a memoria.
La nostra vita è programmata perché il nostro cervello è programmato. 
La pratica di yoga consiste nel liberarci da questa dipendenza. Di trovare la libertà del pensiero e dell’azione. Di trovare la creatività e l’amore. Cioè la disponibilità agli altri.

Occorre cancellare un malinteso. Si pensa generalmente che lo Yoga sia legato ad una forma che si dovrebbe cercare di copiare. Quando si dice “Yoga„ l’immagine che si presenta è quella di una persona seduta, le gambe incrociate e gli occhi chiusi. Ripensandosi...

Yoga è uno stato.
Ecco ciò che ci rende perplessi. Uno stato può soltanto sperimentarsi. Viversi.

Non si può apprendere. Non possiamo conoscerlo passando attraverso  il significato delle parole, con la lettura, con l’accumulo del sapere intellettuale.

Vedete ora  in cosa lo Yoga è originale? 
In cosa il suo approccio  è così particolare?

Non si tratta neppure nel Yoga di isolarsi. Ecco ancora un’idea falsa.
Lo yoga non è una scienza astratta o teorica.
Non è neppure un sistema.
Lo Yoga non è legato ad un metodo.

Lo yoga consiste nello sviluppare, amplificare, approfondire la coscienza. Questo è l’opposto della dispersione e della confusione. Ciò che illumina. Ciò che semplifica. Ciò che decondiziona. Ciò che permette di vivere la vita pienamente, di istante in istante.

I mezzi che abbiamo, lo ripeto, sono semplici e concreti. Accurati. Chiunque può praticare yoga poiché lo yoga si pratica a partire da ogni individuo, partire dalla propria personalità, dalla propria  morfologia. Vengono forniti mezzi precisi che lo permettono.

È grazie a questa libertà nella pratica, grazie a questa scoperta ininterrotta che fa ciascun  individuo, che si trova interesse e gioia nelle nostra pratica. Lo Yoga è buono per tutti. È un preliminare a tutto. Decondiziona. Dà accesso alla spontaneità, alla creatività.

Permette di ricevere. Di ricevere gli altri. Di ricevere Dio.

La pratica del yoga non è legata particolarmente ad una cultura. All’origine era indiano. Ora è anche occidentale. Diventa per noi sempre più occidentale.

Siamo coscienti che per giudicare l’opportunità di praticare lo Yoga, dobbiamo ragionare a partire da ciò che siamo.

(PHILOSOPHIE PREAMBULE AU YOGA, Gérard Blitz, tratto dalla Rivista “Les Chemins du Yoga n.43, mars 1999)


“Per accedere all’esperienza dello Yoga (uno stato che non può essere descritto dalle parole) è indispensabile partire da voi stessi, accettando di praticare ed esprimervi secondo le vostre possibilità fisiche, emotive eccetera… È una regola fondamentale! Il vostro vissuto è unico, non ha nulla a che fare con quello della persona che pratica vicino a voi! Non c’è nulla da copiare o imitare. Solo la vostra personale esperienza si inscriverà in voi e, come diceva il Budda, ‘senza di essa nessun progresso è possibile’. Nello Yoga, ognuno è unico. È lo Yoga che si adatta a ogni individuo e non il contrario. Dobbiamo renderci conto che ciò che si insegna non è una tecnica, ma qualcosa che aiuta l’allievo a scoprire ciò che già esiste in lui”.


Zinal 1980, Gérard Blitz, Swami Satchitananda https://ifry.yoga/gerard-blitz/



Gérard Blitz (Anversa 1912 – Parigi 1990) dopo aver fondato il Club Méditerranée, si avvicina al buddhismo zen e alla pratica dello yoga. Ordinato monaco zen dal Maestro Taisen Deshimaru, divenne maestro di yoga seguendo l’insegnamento di T.K.R. Krishnamacharya. Amico di Krishnamurti e di T.K.W. Desikachar, ha trasmesso in Occidente uno yoga che ha il suo fondamento negli yoga sutra di Patanjali, elaborando una pedagogia basata su principi chiari e semplici, adatta a ogni individuo. Fu fondatore e presidente dell’Unione Europea delle Federazioni di Yoga. 



Portiamo in noi
due “regimi” diversi
che coabitano e funzionano insieme
Uno è volontario
ci spostiamo nello spazio
pensiamo parliamo
L’altro non è volontario
qualcosa in noi
agisce a nostra insaputa
aziona i nostri organi
equilibra la nostra posizione nello spazio
coordina regola corregge
Questo “qualcosa” è intelligente

Questa intelligenza è diversa
più profonda
complementare alla prima
che chiamiamo mentale

Il ruolo dell’Hațha Yoga
è quello di insegnare all’uomo a creare le condizioni
in cui quest’altra intelligenza
che è in lui
possa manifestarsi e partecipare
alle sue azioni  al suo pensiero alla sua parola
Quando queste condizioni esistono
siamo nello stato di Yoga

(Gérard Blitz, Il filo dello yoga. Gli a capo sono nell'originale)


Il Filo dello Yoga

L'esperienza del gruppo di Milano
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Sentire il corpo di luce durante la pratica yoga

State dove siete, non cambiate nulla! Jean Klein e la non-direzione

Il valore dello yoga per l'umanità


Corpo e Preghiera
Nobiltà di un filo d'erba
Voto medio su 1 recensioni: Da non perdere
€ 15,00

La Naturalezza dell'Essere
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Eric Baret - 250 Domande sullo Yoga
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20 luglio 2024

Istanbul Una poesia di mare e cemento


Appunti poetici di un viaggio a Istanbul di una remota estate del 2012 ... 


Luna sul Bosforo

Chissà se lo sapeva, quel pescatore sul porticciolo
e quel signore tuffatosi clamorosamente in mare
e il passante con il pane del Ramadan tra le mani
e la coppia che si scambiava effusioni nell’angolo più nascosto della banchina…

Chissà se lo sapevo io, 
che osservavo la vita delle otto e mezza di una sera d’estate a Istanbul
fare chiasso nel molo dei pescatori 
- odor di pesce fritto e ciambelle caramellate -

chissà se lo sapevamo, noi tutti di passaggio
in un barlume di provvisorietà
che lo strascico più avvolgente di un plenilunio
stava per  fare breccia tra le acque del Bosforo, 
sui tetti divelti e i minareti sinuosi, 
a consegnare in un baleno
l’emozione di uno sguardo che si immola per così tanta bellezza

E noi spettatori prematuri di un abbandono pittoresco 
che ci stordisce poco alla volta per poi amarci
definitivamente




Certi momenti a Istanbul

Il richiamo del muezzin, questa poesia sonora
che sospende il flusso dei pensieri quotidiani
nel turbinio scrosciante di veli 
e nell’accidia innocente dei colori di spezie profumate
trapassa la mia voglia di guardare avanti, 
per le strade trafficate, affumicate, acciottolate
e mi soffermo con gli occhi al cielo 
dove la luna araba ruota in tutte le direzioni
le cupole delle moschee diventano mantelli di stelle
che centrifugano i più bei colori del mondo per restituirli
ancora più brillanti tra medaglioni d’oro e baci di madre perla
nelle litanie di un sacro a monosillabi che vibrano nell’aria
e tra le onde dello stretto del Bosforo
dove lo sguardo si dilegua quasi a non voler tradire
le timbriche sonore dell’invito di Allah

In quei momenti, mi sei apparsa nuda e cruda, 
nella confusione che ti rende frenetica ed eccitante
audace intarsio di oriente ed occidente, 
una lacrima a forma di volo d’uccello, 
uno sbadiglio stordito sul dondolio del Ponte di Galata, 
un abbraccio estenuante tra il cemento e il mare.

Mai fosti così bella e incomprensibile, Istanbul


Tramonto dal Ponte di Galata

Finalmente ci sono dentro
al caldo umido che inzuppa i vestiti
all’odore intenso del cibo di strada fumante
ai suoni aspri dell’alfabeto arabo che si incastrano
tra gli assembramenti di Sultanamhet 
che poi dirompono al calar del sole in un unico
grido collettivo nel nome del Ramazan

Il boato dei battelli e delle navi che attraversano il Bosforo
ha la stessa sacralità del richiamo del muezzin,
fende l’aria scura di fumo, densa di calore
e di puzzo di fogna e pesce fritto
tra le smagliature suadenti dei minareti della Moschea Nuova
che incombe sulle profondità del Bosforo
come un presagio che non lascia tregua.

Da qui, senza soluzione di continuità, l’universo si ispessisce
con le fragranze improvvise delle spezie: e l’aria in un baleno
trasuda di zafferano turco e foto da scattare 


Mercato Egiziano delle spezie


La convinzione che Istanbul sia infinita e senza centro

“Dove sta il segreto di Istanbul? Nella miseria che vive accanto alla sua grande storia, nel suo condurre segretamente una vita chiusa di quartiere e di comunità, nonostante fosse così aperta agli influssi esterni, oppure nella sua vita quotidiana costituita di rapporti infranti e fragili, dietro la sua chiara bellezza monumentale?”


Cercavo la tristezza nei riflessi dello Stretto del Bosforo e nel Mar di Marmara, nel punto cruciale di due lembi di terra che si spartiscono una comune sorte in due continenti diversi: l’Asia esaudisce ciò che l’Europa promette, l’esotismo di sapere come prenderti, Istanbul. Cercavo la tristezza nel mio viaggio iniziato con la lettura di Orhan Pamuk e con la luna piena la prima sera, una luna calda, gialla e gongolante tra le cupole della Moschea Blu. La notte già avida fremeva con le luci e i rituali impazienti del Ramadan. Ti ho vista e immediatamente riconosciuta, nell’imperfezione che circonda la tua mistica bellezza e il tuo senso di smarrimento, ho sfiorato la tristezza ma come si sfiora accidentalmente la mano di un passante : un tocco che non esaudisce desideri. Invece tu, con la brezza del Bosforo tra i ghirigori appuntiti dei minareti in lontananza, hai alitato su di me l’intransigente fantasia di un incantesimo … 


Da queste tracce poetiche è nato l'articolo:

ALLA RICERCA DELLA TRISTEZZA PERDUTA

Pubblicato su LA STAMPA VIAGGI - Settembre 2012


Cupola della Moschea Aya Sofia

Tram a Cemberlitas con la cosiddetta "colonna bruciata",
uno dei più antichi monumenti della città

Uno dei dolci tipici di Istanbul, il macun

Moschea Blu e Ramadan all'Ippodromo di Istanbul, Sultanahmet

Piastrelle di Iznik, rinomate e prestigiose, adornano moschee e palazzi imperiali 

Ponte sul Bosforo fotografato dal battello

Panchina-Libro 


16 luglio 2024

Viaggio in Andalusia: Ronda, la città emblematica di Rilke


Quando Rilke intraprende il suo viaggio verso e attraverso la Spagna, non ha mai sentito parlare di Ronda. Qui vi giunge quasi per caso e qui questo “caso” si disegna ben presto come una grande rivelazione per il poeta e per la sua intimità sia personale che artistica. 

L’impatto del paesaggio è la prima mossa invisibile del destino di Rilke a Ronda, cittadina situata nell’estremo sud della Spagna, non lontano da Gibilterra: la maestosità delle montagne che “si aprono per intonare salmi”, “l’aria forte e magnifica” che scorre in “una delle città spagnole più antiche e amene… arroccata sopra un pianoro e così aperta sopra l’abisso che nessuna finestra osa insinuarsi”. E ancora – scrive Rilke: 

“Sono completamente certo che la incomparabile immagine della città incastrata sopra due enormi blocchi di pietra affilati e separati dal profondo e stretto burrone con il fiume, corrisponda alla perfezione con l’immagine della città evocata nei sogni. Lo spettacolo della città è indescrivibile, una selvaggia valle domina l’ambiente occupato da terrazzamenti, querce e olivi, mentre davanti, come prendendosi un respiro, la pura sierra, montagna dopo montagna, configura una molto illustre lontananza ...” 

Ronda, veduta dell'orrido sopra il fiume Guadalevín Foto ©CECILIA MARTINO

L’ATTESA E LA NUOVA ISPIRAZIONE CREATIVA

Questa “città evocata nei sogni” appare fulminea quasi come un sospiro di sollievo, tanto che Rilke decide di fermarsi un po' di tempo; una sosta che si dilaterà oltre ogni previsione, come oltre ogni previsione era stato l’approdo e la “apparizione” di questo luogo così insolito agli occhi del poeta.
Rilke trascorrerà nella città malagueña il periodo che va dal dicembre del 1912 fino a febbraio 1913, vivendo nell’anonimato come turista in un hotel praticamente vuoto (l’hotel Reina Victoria), leggendo il Corano e conciliando così quel suo momento di introspezione che lo stava mettendo a dura prova dopo la perdita di ispirazione susseguita al periodo di Duino.
Il luogo gli sembra un balsamo ottimale anche per sostenere il suo stato di salute cagionevole. 


“Dopo essere stato a Cordoba e Sivilla, finalmente mi sono fermato in questa piccola e antica città inerpicata su una roccia nel mezzo di un circolo di montagne; qui continuo ad attendere quello che ancora deve arrivare”. […] “E quello che ancora deve arrivare mi è totalmente sconosciuto” …

Ronda, la città dell’attesa di “ciò che ancora deve arrivare”. Un presagio di compimento.

La direzione da prendere per la sua opera poetica a una sorta di bivio è quanto si configura a Ronda, in maniera spontanea, quasi per perfetta similitudine di rispondenza tra l’interiorità del poeta e l’esteriorità della città spagnola come sospesa nel tempo e nello spazio. Ronda si palesa come una sorta di soglia, una sospensione protesa tra abissi profondissimi e altrettante alture, la dimensione umbratile dove gli opposti (vita/morte, visibile/invisibile, “welthaft-irdisch” cosmico e terrestre) si svelano come paradossi esistenziali salvifici e risolutivi. Proprio da questa dimensione numinosa, da questa arcana "città della soglia", per così dire, giungerà a Rilke una nuova, insperata effusione di creatività - quasi una folgorazione - dalla quale emergerà con sempre maggiore fulgida necessità una figura tanto cara a Rilke: l’angelo. Da questo momento in poi la trama dell’umbratile sarà irreversibilmente impressa nell’animo e nell’opera rilkiana. 

Vista dalla passeggiata interna all'Hotel Reina Victoria, dove Rilke soggiornò durante la sua permanenza a Ronda - Foto ©CECILIA MARTINO

Dal soggiorno a Ronda prenderanno corpo una serie di “esperimenti poetici” come le tre poesie della Trilogia Spagnola e altri componimenti significativi, tra cui i primi versi di quella che diventerà in seguito la Sesta delle Elegie Duinesi, la poesia All’Angelo, L’Assunzione di Maria (ispirata a un quadro di El Greco), La resurrezione di Lazzaro, Ariel lo spirito (scritta dopo una lettura de La Tempesta di Shakespeare), Mandorli in fiore.

ANGELI E PASTORI: RONDA TRA LA TERRA E IL CIELO

Ponte Nuovo di Ronda - Foto ©CECILIA MARTINO 

Rilke scrive nel diario datato gennaio 1913, durante il viaggio in Andalusia:

“Io, che mi sono abituato così bene alle cose di questo mondo, io devo certamente (ed è ciò che mi è molto difficile in questi anni) sorpassare gli esseri umani ed andare subito (imparando) dagli angeli.” 

L’urgenza interiore del poeta si fa sempre più evidente: egli vuole esprimere l’invisibile. Ciò si vede anche nelle prime due Elegie, dove questa realtà compare con gli angeli e dove vita e morte sono un’unica cosa. Con questo oltrepassa anche il mondo umano.
Il viaggio in Spagna germina da questo terreno di scoperta, tormentato da certa mancanza di ispirazione ma mai di slancio interiore, di spinta verso quella che Rilke evoca – difendendola senza riserve – come la sua “propria natura” senza intermediari.

“Tra me e Dio non c’è bisogno del prete, quanto meno c’è bisogno del medico; sostengo fisicamente la mia natura, come sostengo spiritualmente Dio, infinitamente immediato. Anche se è più difficile così, ma è più preciso, per vita e morte.” 

E se proprio di un intermediario si fa carico la sua attesa a Ronda, è senz’altro l’Angelo a ricoprire questo ruolo o, meglio, la visione dell’angelo sopra il paesaggio notturno della città andalusa. 

Ponte di Ronda, veduta notturna ©willian-justen-de-vasconcellos/Spain.info


“A Ronda Rilke ebbe una visione del potenziale dell’essere angelico” – scrive Anthony Stephens nella Introduzione al libro En Ronda Cartas y poemas.
“Gli si apre un campo di significati che egli ancora doveva esplorare e che rimarrà incompleto fino alla sua morte, pertanto i testi di Ronda, equiparabili alle due prime elegie di Duino, sono solo l’inizio di un progetto inconcluso”.

La poesia All’Angelo gli viene incontro quasi come un appuntamento mentre "camminava nel prato" -  come scrive Rilke a Lou Andreas-Salomè, il 14 gennaio 1913.. Si possono trovare somiglianze tra questa poesia e la prima Elegia Duinese. 

[...] “Angelo, mi lamento, mi lamento? 
Ma come sarebbe il mio lamento? 
Ahimé, grido, batto con due bacchette 
e credo di non essere udito. 
Il mio rumore non aumenta in tua presenza, 
se tu non mi senti, perché sono
Illumina, illumina! Fammi diventare più visibile 
tra le stelle. Perché io sto scomparendo.” [...]

D’altro canto, la figura del pastore, protagonista della Trilogia ed elemento così tipico del paesaggio bucolico di Ronda che il poeta osservava tanto intensamente giorno e notte, evoca una sorta di anti-eroe che riposa totalmente immerso nella vita di tutti i giorni, nel suo destino pastorale, per così dire, incurante delle trascendenze angeliche. Il destino dell’integrazione si sta dischiudendo …

“ […] nada más que de mí y de lo que ignoro, / haz una sola cosa, haz la cosa, Señor, / cósmica y terrestre, igual que un meteoro, sí: la cosa / cuyo peso no es más que la suma del vuelo, / nada más que llegada...”

“niente più di me e di quanto ignoro, / fai una cosa, fai la cosa, Signore, / cosmica e terrestre, proprio come una meteora, sì: la cosa / il cui peso non è più della somma del volo, / nient’altro che l’arrivo…”

SU RILKE E LA SESTA ELEGIA PUOI LEGGERE ANCHE QUESTO APPROFONDIMENTO

Come attualizzare la potente visione poetica di Rilke – Elegia VI – Il “puro segreto” del fico

Tipico paesaggio rurale di Ronda Foto ©CECILIA MARTINO


TRILOGIA SPAGNOLA

Di sicuro il conseguimento più importante e significativo di Rilke duranti i mesi trascorsi a Ronda è la Trilogia Spagnola: tre poesie che vanno a definire un corpus unico in cui emerge la massima profondità del sentimento rilkiano in bilico tra alienazione dell’io rispetto al mondo e suo superamento in una prospettiva non annichilente ma risolutiva e salvifica, assimilabile a quell’Uno nel molteplice di tanta mistica orientale. 
Forse il senso di tale movimento interiore legato ai versi della Trilogia può essere chiarificato meditando sulle stesse profondissime parole di Rilke, tratte da un commento incluso in una lettera che il poeta scriverà nel 1923:

“Così che la vita ha sempre un lato occulto che non è il suo contrario, piuttosto un supplemento verso il perfezionamento, la completezza, la illesa e integra circonferenza o sfera dell’essere”. 

La strada che conduce all'Hotel Reina Victoria è stata intitolata al poeta Rilke 
Foto ©CECILIA MARTINO


Qui di seguito altre immagini del mio viaggio a Ronda, il 21 luglio 2022.

 

Tipico vicolo di Ronda

Passeggiata all'interno dell'Hotel Reina Victoria

Statua di Rilke all'interno dell'Hotel Reina Victoria, omaggio dello scultore Nicomedes, anno 1966



Il mobilio della stanza numero 208 dove ha soggiornato Rilke, insieme ad altri cimeli legati al poeta, è oggi visibile nel Rilke Museum all'interno dell'Hotel Reina Victoria 



Dalla mia pagina Facebook, 24 luglio 2022: 

Porfin, lo tengo... Un libro prezioso, "En Ronda Cartas y poemas" scritto da Rilke durante il suo soggiorno a Ronda... Un libro introvabile in Italia (non volendo utilizzare il circuito online della grande distribuzione... ), così ho confidato sin dall'inizio di questo viaggio che il destino me lo facesse trovare sul cammino. E così è stato, il destino è fatto di persone e relazioni umane, dunque la complicità universale si è risolta grazie a Janet, anima meravigliosa custode della libreria indipendente Luces di Malaga, che ha preso a cuore la mia ricerca e mi ha fatto reperire il libro in tempo utile prima del mio rientro in Italia, confermandomi la rarità del libro: reperibile solo in 6 librerie indipendenti in tutta la Spagna! Che dire. Io non solo ho trovato il libro, ma anche una persona speciale come Janet e la sua libreria, i suoi consigli per visitare i dintorni di Málaga, scritti  a mano su un fogliettino, come una volta, con la calligrafia che dona qualcosa di intimo al trasmettere informazioni, lasciando tracce di anima nell'inchiostro. E poi il segnalibro con il disegno del Mago e la dedica con mucho cariño che mi porterò dentro al libro come valore aggiunto ai versi di Rilke che, in fondo, a Ronda ha ritrovato la sua ispirazione riconnettendosi con un respiro insondabile fatto di amore per il mistero della vita e della condizione umana. 

E, ancora una volta, la conferma che, cercando i libri del cuore, si incontrano persone.

Grazie Rilke, mio spirito guida da tempo immemorabile, grazie Andalusia luogo dell'anima da tempo altrettanto immemorabile, grazie Janet e la Librería Luces  grazie universo e grazie Vita! 

Con Janet Armenteros della Libreria Luces di Malaga
Il segnalibro che tiene in mano Janet e che mi ha regalato raffigura un Mago...
altra figura archetipica che si delinea nell'ispirazione poetica di Rilke proprio a Ronda,
prendendo vita nella poesia qui composta Ariel lo spirito ... Una coincidenza?


Ariel lo spirito (dopo una lettura de La Tempesta di Shakespeare)
Averlo un giorno, in qualche luogo, liberato,
con quella scossa con cui ragazzo, fosti
al maturare trascinato, privo di ogni riguardo.
E, guarda, lui allora era docile; e da allora ti servì,
sempre orientato, dopo ogni azione, alla sua libertà
E un po’ imperioso, e un po’ insieme, vergognoso,
fargli presente che, per questo ancora e questo,
si ha bisogno di lui, e tornare a dire spesso
quanto lo si aiutò. E tuttavia sentire
come tutto ciò che sta con lui,
manca ora all’aria. Dolce pensiero e quasi seducente:
lasciarlo andare – e poi, senza più magie,
abbandonato al fato come gli altri,
sapere che l’aerea sua amicizia,
senza tensioni ormai, né costrizioni ovunque,
eccedenza allo spazio di questo respiro,
nell’elemento agisce spensierata.
Da ora indipendente, né destinato oltre
a modellar la sorda bocca a quel richiamo
a cui accorreva in picchiata. Povero, senescente, spossessato
ma in grado di inalarlo come essenza
disseminata inconcepibilmente lontano
che sola porta l’invisibile a pienezza.
Sorridere a pensare di potergli far cenno,
così a suo agio in così enorme ambiente.
Forse, anche, piangere, a pensare quanto amava,
ma andarsene voleva: entrambi, insieme.
(L’ho già lasciato?... Ora mi spaventa quest’uomo,
che torna Duca. Con che delicatezza
il filo tira alla sua testa e si appende
fra gli altri personaggi, e per l’avvenire chiede
misericordia al Dramma… Quale Epilogo
di consumata padronanza. Smettere, nudo stare lì,
con niente altro che la propria forza:
«ed è poca»

(Ronda, inizio del 1913)