25 novembre 2024

Varanasi la città che brucia... | Libri per viaggi d'anima


Il fuoco e l'acqua sono senz'altro i suoi elementi più significativi, eclatanti, visibili... Il fuoco delle pire per le cremazioni, il fuoco dei rifiuti, il fuoco delle puja (cerimonie) con la luna piena, e l'acqua laboriosa, instancabile, imperturbabile della "Madre Ganga", 
"il fiume sacro che impone la sua reverenza all'India come una apoteosi senza scampo ... quel grembo maturo e malleabile così gravido di responsabilità". 

Ma poi c'è tutto l'universo condensato qui, a Varanasi, una delle città più emblematiche dell'India, la città dai molti nomi, tra cui Kashi che deriva da kash (brillare): la splendente Kashi, "mokha prakashika Kashi", "città della luce, che illumina la liberazione"; ma anche Avimukta "la mai abbandonata", la dimora che mai il Signore Shiva avrebbe lasciato essendone parte costituente - si dice "le stesse pietre di Kashi sono Shiva"... e Shiva è della Trimurti indiana (Brahma/Vishnu/Shiva) l'energia che distrugge per trasformare, per consentire l'eterna danza della creazione universale. 

Città shivaita per eccellenza e, dunque, inesorabilmente trasmutatrice di quanto deve essere lasciato andare: a Varanasi tutto brucia come un fuoco e tutto scorre come l'acqua del fiume Gange, e la mente dualistica è necessariamente messa alla prova, il ragionamento dei contrasti che si escludono a vicenda turbina fino a non trovare alcuna via d'uscita se non nelle stesse indicazioni che la città osa offrire a chi vi si reca con cuore umile, puro e aperto.
A queste indicazioni mi sono totalmente arresa durante il viaggio a Varanasi che racconto nel libro recentemente pubblicato in versione cartacea Un qualsiasi giorno a Varanasi, di cui riporto un breve estratto qui a seguire. 



"Varanasi all’incedere dell’aurora è una nuvola di ovatta pronta a esplodere da un momento all’altro.  Il silenzio è irreale, i suoni di questa città sono così incisivi e persistenti che la loro quietanza momentanea restituisce all’atmosfera qualcosa di soprannaturale, un inquietante ma seducente stato di sospensione in cui le dimensioni più sottili si condensano e assumono quasi una tattilità direttamente esperibile, un silenzio atroce in cui gli spiriti del luogo dialogano sotto forma di impercettibili fluorescenze che dal cielo si catapultano nello sguardo interiore scavalcando qualsiasi pretesa di controllo o comprensione. 

Davvero non c’è nulla da sapere, sono tutt’uno con questa muta trepidante attesa, con il cielo ancora scuro e il suolo maleodorante che sostiene ogni mio passo, incondizionatamente. La mia attenzione è catalizzata dall’andare verso il fiume là dove prende forma e si dissolve contemporaneamente ogni pensiero di me e di ciò che mi sta accadendo. Abbiamo l’appuntamento con l’imbarcatore e c’è già una manciata di persone che attende, da lontano sembrano ombre riflesse nell’acqua sul manto sabbioso dell’Assi Ghat, inconsistenti come la proiezione di un sogno ad occhi aperti.

L’aurora inizia a far accorrere i celebranti di Shiva al cospetto di Maha Ganga per il rituale di ringraziamento. Ed eccolo il suono primordiale, il mantra Om accarezzato da lievi ritmi di accompagnamento, che sancisce l’incedere di un nuovo giorno, quando l’albeggiare è alle porte e il sole fuoriesce dall’acqua preoccupandosi solo di splendere, e pare che dai fondali emani fuoco vivo per quanto l’acqua si tinge di tonalità arancioni, rosse, violacee, rosate. Allora lo sguardo si alterna tra le sponde, quella sinistra dove sta per prendere vita il brulicare quotidiano consacrato dai rituali shivaiti, e quella destra solitamente deserta, da dove sta sorgendo il sole..." (Tratto dal capitolo Alba sul Gange)

Alba sul Gange, foto scattata a Varanasi, marzo 2015

Varanasi che brucia arde la fiamma del fuoco psichico, come alchimia senza vie di fuga: brucia il karma del tempo personale, le convinzioni, le idee fisse, i preconcetti, la paura di vivere e di morire per restituirti, nudo, rarefatto e trasparente all'a-temporalità della vita senza ego, senza ammassi di memorie, senza accumuli di ingombrante personalità. 

Nella polvere dell’umana presenza, il piccolo fuoco diventa grande - leggo tra le pagine del mio taccuino - sulle sponde dei sadhu e dei mendicanti macchie di colori a schernire lo sguardo che da curiosità diventa certezza. Mi accingo a ricordare quello che non finisce dove si arrendono gli dèi”.

Varanasi che scorre benedice ogni gesto, a cominciare dal respiro, quell'offerta interiore che soffia vitalità se non si arresta sui pensieri. L'acqua che non ristagna, fluisce, come le emozioni non represse o respinte, come le molteplici impressioni della mente, latenti (vasanas), fluttuanti e insidiose solo per chi non le sa guardare con equanimità. 

"Sputo lacrime, muco e polvere, e mi garantisco così l’ingresso a pieno titolo nella ritualità di Varanasi perché qui sputare è necessario almeno quanto respirare a fondo, possibilmente con il naso, se non si vuole ingoiare fino all’inverosimile la densa polverosa sporcizia che tinge l’aria con i suoi odori e dissapori".

Varanasi è una dimensione della Coscienza, un luogo dell'anima che produce humus fertile alla comprensione integrale degli opposti, la riappacificazione totale che non può avvenire a mezzo della logica mentale. Arrendendosi alla vastità dell'infinito inconcepibile dall'intelletto ma comprensibile dal Cuore, ci si conferma particelle universali del divino. Shivoam! Il Beato Tremendo, un paradosso che non si può spiegare. 



Shiva, dal corpo cosparso simultaneamente da olio di sandalo e ceneri  dei morti, la ricongiunzione degli opposti nella Coscienza dell'Uno.
Shiva, il Lingam senza inizio nè fine, la colonna portante dell'estasi luminosa (Jyotir-lingam) che qui a Varanasi ciascuno può riconoscere mantenendosi sveglio al linguaggio inusuale proprio degli dei: dall'oscurità dell'ignoranza alla luce della conoscenza e alla consapevolezza divina del nostro Sé.

Shiva lingam con Yoni (la base - il femminile ricettivo - su cui è appoggiata la
forma fallica - il maschile creativo), circondato da altri lingam 
dalla forma di "uovo cosmico" (brahmanda) e una vacca simbolo di prosperità.
Il Lingam a un livello più interiore e profondo rappresenta il Sé Universale,
la forma senza forma dell'Adi-guru, maestro interiore, nè maschio nè femmina, al di là degli opposti
e dell'apparente dualità, che risiede nella caverna del Cuore.
Foto scattata a Varanasi, marzo 2015, contenuta nel libro Un qualsiasi giorno a Varanasi


"Dedico questo racconto a tutti coloro che lo leggeranno. 
Om Lokah Samastah Sukhino Bhavantu
Che tutti gli esseri siano felici e liberi"




Un grande viaggio di iniziazione, 

forti emozioni, poesia 

e una piccola-grande chiave 

per trasformare la paura di morire. 



LIBRO DI POESIE IL MESTIERE DEL DARE

28 ottobre 2024

Libro Un qualsiasi giorno a Varanasi | Edizione cartacea 2024



Un libro da tenere tra le mani aggiunge alle parole l'intimità del calore. Ho sempre sentito che il mio ebook Un qualsiasi giorno a Varanasi fosse vivo solo a metà. Adesso è interamente al mondo, disponibile anche in versione cartacea in edizione aggiornata.

"Dedico questo racconto a tutti coloro che lo leggeranno. 
Om Lokah Samastah Sukhino Bhavantu
Che tutti gli esseri siano felici e liberi"



Un grande viaggio di iniziazione, 

forti emozioni, poesia 

e una piccola-grande chiave 

per trasformare la paura di morire. 




"Quando sono partita per Varanasi, non sapevo quello a cui andavo incontro, nemmeno che sarei finita sul giornale. Non sono mai stata davvero pronta a tutte le cose più importanti della vita, e loro sono accadute con una disinvoltura molto più talentuosa di me e che ha fatto sempre il resto. Per questo ormai ho smesso di prepararmi, perché ho compreso che il mistero non lo posso anticipare, sarebbe come credere di essere pronta a conoscere l’inconoscibile. È una menzogna. Non ci vuole nessun talento particolare per andare incontro alla Vita e viverla pienamente, ma coraggio sì, tanto. L’unico coraggio richiestomi, quello di essere me stessa fino in fondo, aperta e sensibile alle circostanze. Per vedere cosa ha in serbo la vita per noi - che spesso non è esattamente ciò che ci fa più comodo - è necessario prima di tutto vedere. Avere occhi innamorati che aprono all’altro, ai cambiamenti, al beneficio del dubbio e non binocoli sui vicoli ciechi dei pregiudizi e delle fissazioni mentali. 

Ringrazio ogni volta che, del tutto impreparata a qualcosa, ho avuto fiducia nella parte più profonda di me, in quelle “abissali profondità dove il nostro essere si conserva come oro nella roccia”, citando il poeta Rilke a me così caro". 

(Estratto da Un qualsiasi giorno a Varanasi, edizione cartacea 22 ottobre 2024)




19 settembre 2024

Essere, essere è felicità | Bellissimo brano di Milan Kundera


Agnes si ricordò uno strano momento vissuto quel pomeriggio, prima della partenza, quando per l'ultima volta si era messa a vagare per il paesaggio. Era giunta a un ruscello e si era stesa sull'erba. Era stata sdraiata lì a lungo, con la sensazione che la corrente entrasse dentro di lei e lavasse via tutti i dolori e le sporcizie: il suo io. Strano, indimenticabile momento: aveva dimenticato l'io, aveva perso l'io, era senza io; e in questo stava la felicità.

Ricordando quel momento, ad Agnes viene in mente un pensiero, vago, fuggevole, eppure così importante, forse il più importante di tutti, tanto che cerca di coglierlo con le parole:

Quel che nella vita è insostenibile non è essere, ma essere il proprio io. Il Creatore con il suo computer ha fatto entrare nel mondo miliardi di io con le loro vite. Ma oltre a questa quantità di vite, è possibile immaginare un essere più fondamentale che era qui ancor prima che il Creatore iniziasse a creare, un essere sul quale egli non ha avuto e non ha influenza. Oggi, mentre era stesa sull'erba ed entrava in lei il canto monotono del ruscello, che lavava via il suo io, la sporcizia dell'io, Agnes partecipava di quell'essere fondamentale che si manifesta nella voce del tempo che scorre e nell'azzurro del firmamento; ora sa che non c'è niente di più bello.

La strada statale, sulla quale era uscita lasciando l'autostrada, è silenziosa e sopra ad essa brillano stelle lontane, infinitamente lontane. Agnes si dice:

Vivere: nel vivere non c'è alcuna felicità. Vivere: portare il proprio io dolente per il mondo.

Ma essere, essere è felicità. Essere: trasformarsi in una fontana, in una vasca di pietra, nella quale l'universo cade come una tiepida pioggia.

(Milan Kundera, L'immortalità)

Aperture all'essere - Yoga al tramonto presso Agriturismo Hornos (AN), 1 settembre 2024 

L'illusione di avere una missione nella vita | Achhan Sumedho

State dove siete, non cambiate nulla! Jean Klein e la non-direzione

Georges Ivanovitch Gurdjieff | In sua presenza percepivo un'altra possibilità di ESSERE


INCONTRI DI YOGA 2024-2025 

RICONNETTERSI ALL'ESSERE

DATE ORARI E INFO


Quando sarò libero? 

Quando la tua egoità 

sarà scomparsa e la tua volontà

si sarà fusa con quella divina

(Sri Ramakrishna)


12 settembre 2024

Poesia Lord Shiva Nataraja (il trionfo della Bellezza)



Questi versi sgorgati stamattina dal cuore, come i grani di un rosario e semi di Rudraksha, hanno il profumo di storace e copal, e la carezza del Maha Mrityunjaya Mantra (Om Trayambakam), il sacro mantra per la guarigione e la protezione.



E Tu arrivi danzando
E Tu arrivi giocando
E Tu arrivi creando
all’insaputa del mondo

E tu arrivi pulsando
E Tu arrivi ruotando
E Tu arrivi piacendo
all’insaputa del mondo

E Tu arrivi cantando
E Tu arrivi fluttuando
E Tu arrivi scuotendo
all’insaputa del mondo

E Tu arrivi gioendo
E Tu arrivi destando
E Tu arrivi benedicendo
all’insaputa del mondo

E Tu arrivi arrivando
E Tu arrivi andando
E Tu arrivi restando
all’insaputa del mondo

Possano saperlo i molti e i pochi
in un solo istante imbevuto di Te
che la Bellezza salverà il mondo
e che tutto si compie da Sé.

(Cecilia Savitri)

Questi versi sgorgati stamattina dal cuore, come i grani di un rosario e semi di Rudraksha, hanno il profumo di storace e copal, e la carezza del Maha Mrityunjaya Mantra (Om Trayambakam), il sacro mantra per la guarigione e la protezione.
Om Shivoam 

Ogni massimo bene per chiunque li leggerà ....
Meglio se ad alta voce, poi sussurrati, poi mentalmente! 




INSTAGRAM CECILIA SAVITRI
CANALE YOUTUBE CECILIA MARTINO


PROGETTO ITINERANTE 




Poesie di Cecilia Martino




Un grande viaggio di iniziazione, 
forti emozioni, poesia 
e una piccola-grande chiave 
per trasformare la paura di morire. 


30 agosto 2024

La prima volta che si sperimenta il corpo vuoto

"Quando cogli la spazialità luminosa del tuo corpo che irradia in tutte le direzioni, ti liberi dalla dualità e ti fondi nello spazio" (Vijnanabhairava tantra) 

Spaziosità e Vuoto sono le "esperienze fondamentali" nello yoga della tradizione non duale. E della vita intera. Farsi spazio allarga visuali e geometrie del corpo, concede erranze gioiose nella dimora dell'essere, la nostra vera natura. "L'uomo è il pastore dell'essere" vaticinava il filosofo poetante Heidegger mentre si domandava: "Si tratta ora di capire come l'uomo è nello spazio e non è nello spazio come un corpo. L'uomo dispone dello spazio. Diciamo infatti "fare spazio" per lasciare libero e, cedendo del proprio spazio, facciamo essere qualcun altro. L'uomo non ha un corpo e non è un corpo, bensì vive il suo corpo vivente."

A dispetto di quanto la mente concettuale potrebbe indurre a pensare, non si tratta di esperienze che astraggono, al contrario, conducono al risveglio della sensibilità integrale di ampiezze sconfinate, radicando nella Realtà organica e cosciente, l'unica che resta quando si dissolve il senso dell'io personale (ahamkara), che è la radice di ogni astrazione psichica e fantasia di separazione.



IL CORPO - ERIC BARET
Non ci concediamo molto tempo per sentire il corpo.
Ad un certo punto,
invece di riflettere sulla tua vita affettiva, sulla spiritualità o altro,
ti concedi uno spazio durante la giornata, dove sei presente sensorialmente:
magari esplori un movimento
del dito,
del polso,
del respiro...
Sei presente.
Le tue domande vengono fatte in modo tattile,
come un musicista che fa domande uditive.
Così, poco a poco, le zone addormentate riprendono coscienza.
Devi essere gentile, essere paziente.
Lo scopo della vita è iniziare ad osservare gli ostacoli.
Non guardiamo verso un obiettivo, ma verso il sentito che l'ostacolo genera per sentire le zone del corpo che bloccano e impediscono raggiungimento dell'obiettivo.
Diventiamo disponibili agli automatismi e alle reazioni psicologiche, all'insoddisfazione,
al rifiuto,
all'amarezza,
al fallimento,
al dubbio,
all'agitazione.
Attraverso la sensibilità decodifichiamo il modo in cui questi elementi si sovrappongono costantemente al nostro sentito.
La reazione della nostra psiche attraverso le reazioni del corpo è il cuore del lavoro.
Ciò che accade è necessario,
che sia tristezza o gioia,
che sia estasi o difficoltà,
e ad un certo punto c'è questo ascolto,
che sarà sempre più lì,
dove divento ascolto di ciò che accade.
L'enfasi non è su ciò che si presenta,
su ciò che ascoltiamo,
ma sul sentire.
È normale che la prima volta che si sperimenta il corpo vuoto,
una vibrazione molto forte,
si provi una sorta di gioia.
Non ci incolperemo perché siamo felici di sentire finalmente la vibrazione,
ma ad un certo punto non c'è più questo elemento psicologico,
stiamo ascoltando e ciò che si ascolta passa in secondo piano.
Il processo di ascolto del corpo rifletterà sempre più la Coscienza.
È l'insegnamento tradizionale, che viene fatto prima di tutto sul corpo.
Il corpo è il simbolo della vita.
Il rapporto con il corpo è quello che abbiamo con il mondo.
Il modo in cui tratti il ​​tuo corpo è il modo in cui tratti il ​​mondo.
Il disagio del corpo è il disagio che si ha nei confronti del mondo.
Quando il corpo diventerà Coscienza, il mondo diventerà Coscienza.
Il mondo è una proiezione del corpo.
Ci relazioniamo al mondo esattamente come ci relazioniamo al corpo.
È molto importante rendere consapevole questo processo.


Yoga davanti al mare - Rigenerazione Gratitudine Respiro - Estate 2024 Porto Recanati



IL MANTO DI SPAZIO - JEAN ABSAT

Accogli tutto in te, sin dalle più distanti contrade di questo infinito cosmo. Quando poi sentirai che è giunto il momento, discendi infine nello spazio del tuo corpo. Percepisci ora come lo spazio occupato dal tuo corpo, in realtà, in nulla sia diverso dallo spazio in cui risiedono tutte le cose che sono attorno a te. Lo spazio che accoglie le montagne, i mari e i continenti tutti. Lo spazio che ospita la terra, gli astri e tutto quanto esiste. Tu, oh uomo fatto di spazio, fonditi ora nell'immenso e illimitato spazio che è madre di ogni cosa e che, prima di ogni cosa, esiste. SPAZIO CHE SI VERSA NELLO SPAZIO. INFINITO CHE SI MESCOLA AD INFINITO. Questo tu sei. In questo sconfinato spazio dimora. (Tratto da "Corpo e Preghiera. Nobiltà di un filo d'erba")




LO SPAZIO SI FA SPAZIO - MARTIN HEIDEGGER
Lo spazio fa spazio. 
Fare spazio significa sfoltire e render libero, liberare un che di libero, un che di aperto. Solo quando lo spazio fa spazio e rende libero un che di libero, lo spazio accorda, grazie a questo libero, la possibilità di contrade, di vicinanze e lontananze, di direzioni e limiti, le possibilità di distanze e di grandezze.
Si tratta ora di capire come l'uomo è nello spazio e non è nello spazio come un corpo. L'uomo dispone dello spazio. Diciamo infatti "fare spazio" per lasciare libero e, cedendo del proprio spazio, facciamo essere qualcun altro. 
L'uomo non ha un corpo e non è un corpo, bensì vive il suo corpo vivente. 
L'uomo vive, vivendo come-corpo, e così è ammesso all'aperto dello spazio e da lì soggiorna in una relazione col prossimo e le cose. 
Il fare-spazio è la libera donazione del luogo dove si manifesta Dio, da dove gli dei sono scappati, luogo in cui il manifestarsi del divino a lungo ritarda. 
In ogni caso gli spazi profani sorgono sullo sfondo di spazi sacri.

... E come non udire l'eco dei versi del poeta Rainer Maria Rilke
"La nostra pienezza si compie da lontano, nello splendore degli sfondi" 




"Yatha pinde tatha brahmande
Yatha brahmande tatha pinde"




17 agosto 2024

Perché pratichiamo lo yoga | Gérard Blitz Un maestro del nostro tempo


La domanda che noi possiamo porci è di sapere perché pratichiamo lo yoga. La risposta  a questa domanda è semplice: lo yoga è un mezzo per permetterci di apprezzare meglio la vita. Lo yoga  è un mezzo concreto. Chiaro e preciso. Non vi è  nessun mistero in questa pratica. Non vi è alcun posto per l’ immaginazione. Sappiamo che facendo una determinazione azione otteniamo un determinato effetto.
La scienza moderna, quella legata alla fisiologia e la neurofisiologia , conferma quanto già detto dai grandi Maestri dello Yoga del passato. Essenzialmente lo yoga equilibra le nostre funzioni. Facilita, regola, coordina il funzionamento estremamente complesso del corpo. È con l’equilibrio del corpo, con l’equilibrio fisiologico che creiamo l’equilibrio psicologico e psichico che ci manca.  Ecco la ragion d’essere dello Yoga.


C’è effettivamente un segreto nel yoga. È quello della sua trasmissione. È iniziatica. Avviene da una persona ad un’altra persona. La difficoltà è data dal fatto che l’esperienza è sempre differente, sempre rinnovata. Non ci sono due esperienze che sono identiche.
La stessa persona è diversa ogni giorno. Inoltre, non si tratta inizialmente di una conoscenza. Nello yoga, la conoscenza nasce da un’esperienza.

Si scopre ciò che già esiste.

Si sviluppa coscienza per potere situarsi a livello estremamente sottile del funzionamento di corpo.

Ecco l’essenziale.

L’unità (Yoga) di cui s’intende riguarda il corpo ed il mentale.

Siamo prigionieri degli automatismi del circuito mentale. Della dipendenza a memoria.
La nostra vita è programmata perché il nostro cervello è programmato. 
La pratica di yoga consiste nel liberarci da questa dipendenza. Di trovare la libertà del pensiero e dell’azione. Di trovare la creatività e l’amore. Cioè la disponibilità agli altri.

Occorre cancellare un malinteso. Si pensa generalmente che lo Yoga sia legato ad una forma che si dovrebbe cercare di copiare. Quando si dice “Yoga„ l’immagine che si presenta è quella di una persona seduta, le gambe incrociate e gli occhi chiusi. Ripensandosi...

Yoga è uno stato.
Ecco ciò che ci rende perplessi. Uno stato può soltanto sperimentarsi. Viversi.

Non si può apprendere. Non possiamo conoscerlo passando attraverso  il significato delle parole, con la lettura, con l’accumulo del sapere intellettuale.

Vedete ora  in cosa lo Yoga è originale? 
In cosa il suo approccio  è così particolare?

Non si tratta neppure nel Yoga di isolarsi. Ecco ancora un’idea falsa.
Lo yoga non è una scienza astratta o teorica.
Non è neppure un sistema.
Lo Yoga non è legato ad un metodo.

Lo yoga consiste nello sviluppare, amplificare, approfondire la coscienza. Questo è l’opposto della dispersione e della confusione. Ciò che illumina. Ciò che semplifica. Ciò che decondiziona. Ciò che permette di vivere la vita pienamente, di istante in istante.

I mezzi che abbiamo, lo ripeto, sono semplici e concreti. Accurati. Chiunque può praticare yoga poiché lo yoga si pratica a partire da ogni individuo, partire dalla propria personalità, dalla propria  morfologia. Vengono forniti mezzi precisi che lo permettono.

È grazie a questa libertà nella pratica, grazie a questa scoperta ininterrotta che fa ciascun  individuo, che si trova interesse e gioia nelle nostra pratica. Lo Yoga è buono per tutti. È un preliminare a tutto. Decondiziona. Dà accesso alla spontaneità, alla creatività.

Permette di ricevere. Di ricevere gli altri. Di ricevere Dio.

La pratica del yoga non è legata particolarmente ad una cultura. All’origine era indiano. Ora è anche occidentale. Diventa per noi sempre più occidentale.

Siamo coscienti che per giudicare l’opportunità di praticare lo Yoga, dobbiamo ragionare a partire da ciò che siamo.

(PHILOSOPHIE PREAMBULE AU YOGA, Gérard Blitz, tratto dalla Rivista “Les Chemins du Yoga n.43, mars 1999)


“Per accedere all’esperienza dello Yoga (uno stato che non può essere descritto dalle parole) è indispensabile partire da voi stessi, accettando di praticare ed esprimervi secondo le vostre possibilità fisiche, emotive eccetera… È una regola fondamentale! Il vostro vissuto è unico, non ha nulla a che fare con quello della persona che pratica vicino a voi! Non c’è nulla da copiare o imitare. Solo la vostra personale esperienza si inscriverà in voi e, come diceva il Budda, ‘senza di essa nessun progresso è possibile’. Nello Yoga, ognuno è unico. È lo Yoga che si adatta a ogni individuo e non il contrario. Dobbiamo renderci conto che ciò che si insegna non è una tecnica, ma qualcosa che aiuta l’allievo a scoprire ciò che già esiste in lui”.


Zinal 1980, Gérard Blitz, Swami Satchitananda https://ifry.yoga/gerard-blitz/



Gérard Blitz (Anversa 1912 – Parigi 1990) dopo aver fondato il Club Méditerranée, si avvicina al buddhismo zen e alla pratica dello yoga. Ordinato monaco zen dal Maestro Taisen Deshimaru, divenne maestro di yoga seguendo l’insegnamento di T.K.R. Krishnamacharya. Amico di Krishnamurti e di T.K.W. Desikachar, ha trasmesso in Occidente uno yoga che ha il suo fondamento negli yoga sutra di Patanjali, elaborando una pedagogia basata su principi chiari e semplici, adatta a ogni individuo. Fu fondatore e presidente dell’Unione Europea delle Federazioni di Yoga. 



Portiamo in noi
due “regimi” diversi
che coabitano e funzionano insieme
Uno è volontario
ci spostiamo nello spazio
pensiamo parliamo
L’altro non è volontario
qualcosa in noi
agisce a nostra insaputa
aziona i nostri organi
equilibra la nostra posizione nello spazio
coordina regola corregge
Questo “qualcosa” è intelligente

Questa intelligenza è diversa
più profonda
complementare alla prima
che chiamiamo mentale

Il ruolo dell’Hațha Yoga
è quello di insegnare all’uomo a creare le condizioni
in cui quest’altra intelligenza
che è in lui
possa manifestarsi e partecipare
alle sue azioni  al suo pensiero alla sua parola
Quando queste condizioni esistono
siamo nello stato di Yoga

(Gérard Blitz, Il filo dello yoga. Gli a capo sono nell'originale)


Il Filo dello Yoga

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Sentire il corpo di luce durante la pratica yoga

State dove siete, non cambiate nulla! Jean Klein e la non-direzione

Il valore dello yoga per l'umanità


Corpo e Preghiera
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Voto medio su 1 recensioni: Da non perdere
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La Naturalezza dell'Essere
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20 luglio 2024

Istanbul Una poesia di mare e cemento


Appunti poetici di un viaggio a Istanbul di una remota estate del 2012 ... 


Luna sul Bosforo

Chissà se lo sapeva, quel pescatore sul porticciolo
e quel signore tuffatosi clamorosamente in mare
e il passante con il pane del Ramadan tra le mani
e la coppia che si scambiava effusioni nell’angolo più nascosto della banchina…

Chissà se lo sapevo io, 
che osservavo la vita delle otto e mezza di una sera d’estate a Istanbul
fare chiasso nel molo dei pescatori 
- odor di pesce fritto e ciambelle caramellate -

chissà se lo sapevamo, noi tutti di passaggio
in un barlume di provvisorietà
che lo strascico più avvolgente di un plenilunio
stava per  fare breccia tra le acque del Bosforo, 
sui tetti divelti e i minareti sinuosi, 
a consegnare in un baleno
l’emozione di uno sguardo che si immola per così tanta bellezza

E noi spettatori prematuri di un abbandono pittoresco 
che ci stordisce poco alla volta per poi amarci
definitivamente




Certi momenti a Istanbul

Il richiamo del muezzin, questa poesia sonora
che sospende il flusso dei pensieri quotidiani
nel turbinio scrosciante di veli 
e nell’accidia innocente dei colori di spezie profumate
trapassa la mia voglia di guardare avanti, 
per le strade trafficate, affumicate, acciottolate
e mi soffermo con gli occhi al cielo 
dove la luna araba ruota in tutte le direzioni
le cupole delle moschee diventano mantelli di stelle
che centrifugano i più bei colori del mondo per restituirli
ancora più brillanti tra medaglioni d’oro e baci di madre perla
nelle litanie di un sacro a monosillabi che vibrano nell’aria
e tra le onde dello stretto del Bosforo
dove lo sguardo si dilegua quasi a non voler tradire
le timbriche sonore dell’invito di Allah

In quei momenti, mi sei apparsa nuda e cruda, 
nella confusione che ti rende frenetica ed eccitante
audace intarsio di oriente ed occidente, 
una lacrima a forma di volo d’uccello, 
uno sbadiglio stordito sul dondolio del Ponte di Galata, 
un abbraccio estenuante tra il cemento e il mare.

Mai fosti così bella e incomprensibile, Istanbul


Tramonto dal Ponte di Galata

Finalmente ci sono dentro
al caldo umido che inzuppa i vestiti
all’odore intenso del cibo di strada fumante
ai suoni aspri dell’alfabeto arabo che si incastrano
tra gli assembramenti di Sultanamhet 
che poi dirompono al calar del sole in un unico
grido collettivo nel nome del Ramazan

Il boato dei battelli e delle navi che attraversano il Bosforo
ha la stessa sacralità del richiamo del muezzin,
fende l’aria scura di fumo, densa di calore
e di puzzo di fogna e pesce fritto
tra le smagliature suadenti dei minareti della Moschea Nuova
che incombe sulle profondità del Bosforo
come un presagio che non lascia tregua.

Da qui, senza soluzione di continuità, l’universo si ispessisce
con le fragranze improvvise delle spezie: e l’aria in un baleno
trasuda di zafferano turco e foto da scattare 


Mercato Egiziano delle spezie


La convinzione che Istanbul sia infinita e senza centro

“Dove sta il segreto di Istanbul? Nella miseria che vive accanto alla sua grande storia, nel suo condurre segretamente una vita chiusa di quartiere e di comunità, nonostante fosse così aperta agli influssi esterni, oppure nella sua vita quotidiana costituita di rapporti infranti e fragili, dietro la sua chiara bellezza monumentale?”


Cercavo la tristezza nei riflessi dello Stretto del Bosforo e nel Mar di Marmara, nel punto cruciale di due lembi di terra che si spartiscono una comune sorte in due continenti diversi: l’Asia esaudisce ciò che l’Europa promette, l’esotismo di sapere come prenderti, Istanbul. Cercavo la tristezza nel mio viaggio iniziato con la lettura di Orhan Pamuk e con la luna piena la prima sera, una luna calda, gialla e gongolante tra le cupole della Moschea Blu. La notte già avida fremeva con le luci e i rituali impazienti del Ramadan. Ti ho vista e immediatamente riconosciuta, nell’imperfezione che circonda la tua mistica bellezza e il tuo senso di smarrimento, ho sfiorato la tristezza ma come si sfiora accidentalmente la mano di un passante : un tocco che non esaudisce desideri. Invece tu, con la brezza del Bosforo tra i ghirigori appuntiti dei minareti in lontananza, hai alitato su di me l’intransigente fantasia di un incantesimo … 


Da queste tracce poetiche è nato l'articolo:

ALLA RICERCA DELLA TRISTEZZA PERDUTA

Pubblicato su LA STAMPA VIAGGI - Settembre 2012


Cupola della Moschea Aya Sofia

Tram a Cemberlitas con la cosiddetta "colonna bruciata",
uno dei più antichi monumenti della città

Uno dei dolci tipici di Istanbul, il macun

Moschea Blu e Ramadan all'Ippodromo di Istanbul, Sultanahmet

Piastrelle di Iznik, rinomate e prestigiose, adornano moschee e palazzi imperiali 

Ponte sul Bosforo fotografato dal battello

Panchina-Libro