Il fuoco e l'acqua sono senz'altro i suoi elementi più significativi, eclatanti, visibili... Il fuoco delle pire per le cremazioni, il fuoco dei rifiuti, il fuoco delle puja (cerimonie) con la luna piena, e l'acqua laboriosa, instancabile, imperturbabile della "Madre Ganga", "il fiume sacro che impone la sua reverenza all'India come una apoteosi senza scampo ... quel grembo maturo e malleabile così gravido di responsabilità".
Ma poi c'è tutto l'universo condensato qui, a Varanasi, una delle città più emblematiche dell'India, la città dai molti nomi, tra cui Kashi che deriva da kash (brillare): la splendente Kashi, "mokha prakashika Kashi", "città della luce, che illumina la liberazione"; ma anche Avimukta "la mai abbandonata", la dimora che mai il Signore Shiva avrebbe lasciato essendone parte costituente - si dice "le stesse pietre di Kashi sono Shiva"... e Shiva è della Trimurti indiana (Brahma/Vishnu/Shiva) l'energia che distrugge per trasformare, per consentire l'eterna danza della creazione universale.
Città shivaita per eccellenza e, dunque, inesorabilmente trasmutatrice di quanto deve essere lasciato andare: a Varanasi tutto brucia come un fuoco e tutto scorre come l'acqua del fiume Gange, e la mente dualistica è necessariamente messa alla prova, il ragionamento dei contrasti che si escludono a vicenda turbina fino a non trovare alcuna via d'uscita se non nelle stesse indicazioni che la città osa offrire a chi vi si reca con cuore umile, puro e aperto.
A queste indicazioni mi sono totalmente arresa durante il viaggio a Varanasi che racconto nel libro recentemente pubblicato in versione cartacea Un qualsiasi giorno a Varanasi, di cui riporto un breve estratto qui a seguire.
"Varanasi all’incedere dell’aurora è una nuvola di ovatta pronta a esplodere da un momento all’altro. Il silenzio è irreale, i suoni di questa città sono così incisivi e persistenti che la loro quietanza momentanea restituisce all’atmosfera qualcosa di soprannaturale, un inquietante ma seducente stato di sospensione in cui le dimensioni più sottili si condensano e assumono quasi una tattilità direttamente esperibile, un silenzio atroce in cui gli spiriti del luogo dialogano sotto forma di impercettibili fluorescenze che dal cielo si catapultano nello sguardo interiore scavalcando qualsiasi pretesa di controllo o comprensione.
Davvero non c’è nulla da sapere, sono tutt’uno con questa muta trepidante attesa, con il cielo ancora scuro e il suolo maleodorante che sostiene ogni mio passo, incondizionatamente. La mia attenzione è catalizzata dall’andare verso il fiume là dove prende forma e si dissolve contemporaneamente ogni pensiero di me e di ciò che mi sta accadendo. Abbiamo l’appuntamento con l’imbarcatore e c’è già una manciata di persone che attende, da lontano sembrano ombre riflesse nell’acqua sul manto sabbioso dell’Assi Ghat, inconsistenti come la proiezione di un sogno ad occhi aperti.
L’aurora inizia a far accorrere i celebranti di Shiva al cospetto di Maha Ganga per il rituale di ringraziamento. Ed eccolo il suono primordiale, il mantra Om accarezzato da lievi ritmi di accompagnamento, che sancisce l’incedere di un nuovo giorno, quando l’albeggiare è alle porte e il sole fuoriesce dall’acqua preoccupandosi solo di splendere, e pare che dai fondali emani fuoco vivo per quanto l’acqua si tinge di tonalità arancioni, rosse, violacee, rosate. Allora lo sguardo si alterna tra le sponde, quella sinistra dove sta per prendere vita il brulicare quotidiano consacrato dai rituali shivaiti, e quella destra solitamente deserta, da dove sta sorgendo il sole..." (Tratto dal capitolo Alba sul Gange)
Alba sul Gange, foto scattata a Varanasi, marzo 2015 |
Varanasi che brucia arde la fiamma del fuoco psichico, come alchimia senza vie di fuga: brucia il karma del tempo personale, le convinzioni, le idee fisse, i preconcetti, la paura di vivere e di morire per restituirti, nudo, rarefatto e trasparente all'a-temporalità della vita senza ego, senza ammassi di memorie, senza accumuli di ingombrante personalità.
Varanasi che scorre benedice ogni gesto, a cominciare dal respiro, quell'offerta interiore che soffia vitalità se non si arresta sui pensieri. L'acqua che non ristagna, fluisce, come le emozioni non represse o respinte, come le molteplici impressioni della mente, latenti (vasanas), fluttuanti e insidiose solo per chi non le sa guardare con equanimità.
"Sputo lacrime, muco e polvere, e mi garantisco così l’ingresso a pieno titolo nella ritualità di Varanasi perché qui sputare è necessario almeno quanto respirare a fondo, possibilmente con il naso, se non si vuole ingoiare fino all’inverosimile la densa polverosa sporcizia che tinge l’aria con i suoi odori e dissapori".
Varanasi è una dimensione della Coscienza, un luogo dell'anima che produce humus fertile alla comprensione integrale degli opposti, la riappacificazione totale che non può avvenire a mezzo della logica mentale. Arrendendosi alla vastità dell'infinito inconcepibile dall'intelletto ma comprensibile dal Cuore, ci si conferma particelle universali del divino. Shivoam! Il Beato Tremendo, un paradosso che non si può spiegare.
Shiva, dal corpo cosparso simultaneamente da olio di sandalo e ceneri dei morti, la ricongiunzione degli opposti nella Coscienza dell'Uno.
Shiva, il Lingam senza inizio nè fine, la colonna portante dell'estasi luminosa (Jyotir-lingam) che qui a Varanasi ciascuno può riconoscere mantenendosi sveglio al linguaggio inusuale proprio degli dei: dall'oscurità dell'ignoranza alla luce della conoscenza e alla consapevolezza divina del nostro Sé.
LIBRO DI POESIE IL MESTIERE DEL DARE
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