Il cuore non è l'organo della circolazione sanguigna, è situato nella parte destra del petto, non a sinistra. Può essere contattato e risvegliato nella meditazione profonda.
Andare al cuore delle cose, della realtà essenziale, penetrare il cuore della vita non è in fondo il modo metaforico con cui si indica intuitivamente una sorgente pura di coscienza?
Mettersi una mano sul cuore non è forse un gesto simbolico e letterale con cui si allude a una sincerità totale, scevra da condizionamenti o fini egoistici, invocando la "buona fede" dell'impronta della mano sul petto e una sensibilità umana che parla dritta all'anima dell'interlocutore?
Ebbene, il linguaggio poetico non sbaglia mai.
Nell'antica sapienza dello Yoga, la qualità della percezione che sgorga dal cuore sfociando in un sentimento non egoistico di quiete, pacificazione totale con l'esistenza, armonia e compassione universale è il punto focale. La stessa definizione dello Yoga data dal saggio Patanjali - "yoga chitta vritti nirodhah" - indica la cessazione (nirodhah) dei movimenti vorticosi (vritti) del sentimento egoistico (chitta, sostanza mentale inconscia, forme-pensiero condizionate) per far emergere il silenzio della pace interiore, un sentimento pervaso di coscienza unitiva e armoniosa (yoga) che profonde dal cuore.
Che si percorra la via della devozione (Bhakti Yoga), dell'azione (Karma Yoga), della Conoscenza discriminante (Jnana Yoga), della meditazione (Raja Yoga) o dell'integrazione di tutte le vie (Purna Yoga), non si tratta di alimentare il cuore esaltato da un sentimentalismo sfrenato, da una cieca devozione ritualistica fine a se stessa, dalla frenesia del servizio altruistico a tutti i costi o dal fanatismo intellettuale che scambia l'ardore per un ideale - sia pure nobile - con il fuoco spirituale che abbraccia ogni cosa unificandola in un senso più ampio ed equanime dell'esistenza. E' questa una sottigliezza fondamentale, perché l'ego scambia facilmente le suggestioni emotive personali che fanno battere il cuore con esperienze mistiche di scoperta del Sé autentico impersonale e assoluto.
Il paradiso supremo brilla nel loto del cuore (Kaivalya Upanishad)
36. La concentrazione può essere anche ottenuta fissando la mente sulla Luce Interiore, che è al di là del dolore (Yoga Sutra, Patanjali)
Per gli antichi yogi esiste un centro di coscienza spirituale chiamato il "loto del cuore" situato fra l'addome e il torace, che può essere trovato dal praticante nella meditazione profonda.
Asserivano che avesse la forma di un loto e che brillasse di luce interna.
Si diceva che fosse "al di là del dolore" poiché coloro che lo sperimentavano, vedendolo con la vista interiore, erano colmati da un senso straordinario di pace e di gioia.
Fin dai primi tempi, i maestri dello Yoga davano molta importanza alla meditazione sul loto del cuore. In contemplazione, nel silenzio mentale tenendo una posizione seduta meditativa comoda con la spina dorsale eretta, si "entra" nel loto del cuore ponendo l'attenzione sulla relativa area corporea grossolana corrispondente (tra addome e torace) in attitudine ricettiva, vigile e abbandonata e si medita sulla presenza del Brahman: il puro, l'infinito, pieno di beatitudine.
Nella Chandogya Upanishad si legge:
"Nella città del Brahman, che è il corpo, c'è il cuore, e nel cuore c'è una piccola casa. Questa casa ha la forma di un loto, e in esso dimora ciò che deve essere ricercato, richiesto e realizzato".
L'universo che si trova nel loto del cuore è tanto vasto quanto l'universo che si trova all'esterno, macrocosmo nel microcosmo e viceversa.
Nella Mundaka Upanishad si legge:
"Egli dimora nel loro del cuore, dove si incontrano tutti i nervi come i raggi di una ruota. Meditate su di lui come OM e potrete attraversare facilmente l'oceano dell'oscurità. Nel loto splendente del cuore dimora il Brahman, indivisibile e senza passioni. Egli è puro. Egli è la luce di tutte le luci. I conoscitori del Brahman lo raggiungono".
Scrivono Swami Prabhavananda e Christopher Isherwood nel libro Aforismi Yoga di Patanjali - Alla Ricerca di Dio:
"Questo metodo di meditazione è utile perché localizza l'immagine della coscienza spirituale verso cui ci dirigiamo. Se si pensa al corpo come a una città affaccendata e rumorosa, allora possiamo immaginare che nel mezzo di questa città esista un piccolo tempio e che nel tempio sia presente l'Atman, la nostra natura reale. Non importa quel che accade nelle strade di fuori, noi possiamo sempre entrare in quel tempio per trovarvi la pace e per l'adorazione. È sempre aperto".
Ramana Maharshi, nei suoi insegnamenti di saggezza vedantina dedica al "Cuore" tali strofe rischiaranti (ne riporto alcune, tratte dal libro "Consigli per la pratica spirituale"):
Il cuore non è l'organo della circolazione sanguigna. Hridayam significa "questo è il centro". Perciò è sinonimo del Sé.
Il Cuore è situato nella parte destra del petto, non a sinistra. La luce della coscienza sale dal cuore attraverso il canale della Sushumna fino al Sahasrara.
…
L'intero universo è nel corpo, e l'intero corpo è nel cuore. Perciò l'universo è contenuto nel cuore.
Il cuore è per il corpo ciò che il sole è per il mondo.
Come il sole illumina la luna, il cuore illumina la mente.
Il mortale che è assente al suo cuore vede solo la mente, così come di notte, quando il sole è tramontato, si vede solo la luce della luna.
La mente del conoscitore che dimora nel cuore è fusa con la coscienza del cuore come la luce della luna nella luce del giorno.
Anche se il significato letterale della parola prajnana è intelligenza, mente, i saggi sanno che in realtà indica il cuore. Il Supremo è solo il cuore.
La distinzione tra il vedente e il visto è solo nella mente. Per coloro che dimorano nel cuore, la percezione è unitaria.
Nell'istante di un improvviso arresto dei pensieri, come accade nello svenimento o nel sonno, in un eccesso di gioia, di dolore, di paura, e così via, la mente torna alla sorgente, al cuore.
Questa fusione è inconscia, e la persona non ne è consapevole. Se invece si entra consciamente nel cuore, è detta samadhi. Perciò si chiama diversamente.
Nel centro della caverna del cuore risplende il solo Brahman. E' la sensazione del Sé sperimentato direttamente come "io-Io". Entra nel cuore attraverso la ricerca del Sé, la fusione o il controllo del respiro, e prendi radici come Quello.
Nessuno nega che l'organo fisico sia a sinistra, ma il cuore di cui parlo è a destra. Questa è la mia esperienza, e non devo appoggiarmi a nessuna autorità. Potete trovarne conferma in un testo ayurvedico in lingua malayam e nella Sita Upanishad.
Tu cerchi la vera coscienza. Dove la puoi trovare? Puoi forse trovarla al di fuori di te? Devi trovarla dentro di te. Perciò rivolgiti all'interno. Il cuore è la sede della coscienza, o la coscienza stessa.
Il cuore è il centro dell'esperienza spirituale, come testimoniano i saggi. Il centro spirituale del cuore non è l'organo fisico. Tutto ciò che si può dire è che esso è il nucleo del vostro essere, ciò a cui siete identici da svegli, nel sonno e nel sogno, sia che stiate lavorando o siate immersi nel samadhi.
Chi domanda sulla posizione del cuore ammette la propria esistenza corporea. E' solo da questo punto di vista che si può fare un riferimento a un corpo fisico. Ciò che indico è la posizione del cuore rispetto alla nostra vera identità.
… Solo la verità su se stessi merita di essere esaminata minuziosamente e conosciuta. Concentrando su di essa la propria attenzione, va conosciuta appassionatamente nel cuore. La conoscenza di se stessi si rivelerà solo alla coscienza silenziosa, sgombra e libera dalle attività della mente inquieta e sofferente. Riconosci la coscienza che splende ininterrottamente nel cuore come il Sé privo di forma, l'Io. La si conosce rimanendo in silenzio, senza classificare niente come esistente o non esistente.
…
Praticando la ricerca del Sé raggiungerai il cuore che è il Sé.
Vai direttamente alla sorgente, e non dipendere da espedienti presi a prestito. La sorgente è il Cuore, il Sé.
L'apertura del cuore è un richiamo cruciale anche nella Sadhana (pratica spirituale) dello Yoga Integrale (Purna Yoga) di Sri Aurobindo. Scrive il maestro nel suo libro Lights on Yoga:
nella nostra sadhana le due cose più importanti sono la apertura del centro del cuore e le aperture dei centri della mente a tutto ciò che è dietro e sopra di loro [… ] Le aperture si ottengono con la concentrazione. Di solito la coscienza si spande e corre da per tutto. Per eseguire qualsiasi cosa d'una certa importanza, ci si deve concentrare, nella testa o nel cuore, secondo se ci si concentra su d'un pensiero o su d'un sentimento.
Nel nostro yoga la concentrazione va fatta nel cuore (là ove i fisiologi hanno posto il plesso cardiaco), oppure in un punto qualsiasi del cervello. La prima apertura (concentrazione nel cuore) si attua con un appello al Divino perché si manifesti in noi e perché, tramite chaitya purusha (il centro di noi stessi, o psychic being, la parte più profonda in noi, ciò che è presente dietro ogni manifestazione e lo sostiene ndr) s'impadronisca dell'intera nostra natura e la diriga. L'aspirazione, la preghiera, la bhakti, l'amore, la dedizione, sono i principali sostegni di questa parte della sadhana … Nel nostro yoga insistiamo sulla necessità di "aprirsi" alla parte più profonda in noi, verso il chaitya purusha. Per aprirsi il miglior mezzo è samarpana (in inglese surrender, ossia sommissione, dedizione, consacrazione, dono di sè) che significa consacrare al Divino tutto ciò che si è e che si ha … Solo chaitya purusha sa come consacrarsi.
Yoga davanti al mare - Rigenerazione Gratitudine Respiro Porto Recanati Estate 2022 |
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