La lingua portoghese custodisce una parola bellissima dalle sfumature intraducibili: saudade. Semplificando, in italiano suona più o meno come malinconia o nostalgia.
Esiste una saudade per ogni viaggio, anzi per ogni cosa, per ogni cosa che vive di abbandono (Surrender), che è poi l’arte della magia. Il “mal d’Africa”, in sintonia con gli accordi della saudade, è un accento che risuona in ogni latitudine del mondo, sconfina dai limiti di geografie da mappamondo, compenetra la pelle del viandante che abbia anche solo accennato a un inchino davanti all’oceano – qualsiasi oceano, o sulle pieghe dorate di una duna del deserto – qualsiasi deserto, o davanti alla finestra (se c’è!) della dimora che ospita il suo passaggio, che custodisce i sogni rivelatori delle notti nomadi, quei sogni che si addormentano la sera con le stelle cadenti e al risveglio hanno le ali di un rapace gracchiante. Quelli più potenti e decisivi, perché senza appigli, che si lasciano cullare dall’ebbrezza di ciò che inizia senza durare… Come il vento caldo dell’estate, quella bolla d’aria che ti sospinge a ridosso di cieli impenetrabili eppure tutto sembra così leggero, aggraziato, evanescente.
Nella malinconia dell’errante non c’è nulla di tutto questo.
Non c’è paura, ma coraggio.
Non c’è attrazione ma seduzione, non c’è repulsione ma amorevole distanza.
C’è la straziante poesia di un’anima che gode della bellezza succinta di un tramonto, o di un’alba o di un stretta di mano sul molo di un porto di mare, o di una rueda gitana attorno al fuoco tremolante di un falò accanto a una pista di atterraggio o a un autogrill.
C’è la voglia di continuare il viaggio senza memoria, senza vanità, senza controllo, con tutti i simboli scolpiti nel corpo, forse qualche cicatrice in più e un diario di bordo con molte pagine bianche, perché non usa troppe parole l’amante quando fa l’amore.
Fondersi con l’Anima del mondo è un urlo silenzioso che fa lacrimare gli occhi prima ancora di sapere che si sta piangendo per qualcosa, o per qualcuno.
E’ non c’è gioia più maestosa di questo struggimento senza meta, senza nome, senza voglia di durare, perfino senza senso.
Capo Verde Terra de Sodade, Boa Vista no stress. Makein mushkil, no problem. Eccoli, gli unici appunti del mio ultimo viaggio, il mantra che mi ha accompagnato da Capo Verde a Marrakech, in un coacervo di lingue (creolo, portoghese, francese, spagnolo, inglese, arabo, tuareg) che alla fine ha creato un linguaggio atipico assolutamente individuale. Improponibile e irripetibile. Senza senso? Sì. Ne sono uscita fuori più morta che viva, e dunque pronta a ricominciare. E con un nuovo nome: Aisha (... ma questa è un'altra storia).
(Arthur Schnitzler)
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