29 settembre 2016

Le magiche nove notti di Navaratri: significato e pratiche





Navaratri, letteralmente le “Nove notti”, è una festività hindu dedicata all'adorazione della Devi o Shakti, la Madre divina o Grande Madre, l’espressione femminile di dio: la potenza generatrice della Forza Vitale senza la quale la pura Coscienza del maschile rappresentato da Shiva non potrebbe manifestarsi. Viene festeggiata due volte l’anno, nel mese di chaitra (aprile – maggio) e asvayuja (settembre – ottobre). Non a caso nei due periodi cruciali di cambiamento della natura: l’inizio della primavera e l’inizio dell'autunno.

Navratri è celebrata con grande devozione non solo in tutta l’India ma anche nel resto del mondo, in quanto il culto della dea quale divinità femminile primordiale è assai più antico di quello patriarcale, è presente in quasi tutte le mitologie ed è risalente al Neolitico se non addirittura al Paleolitico (a riguardo, vale la pena approfondire con le letture di Marija Gimbutas e Vicki Noble che riporto a fine articolo). 




Shiva è spesso rappresentato nell’iconografia indiana con i tratti di un ermafrodito, ardhavira, l’Androgino con la parte destra del corpo maschile e la parte sinistra femminile: i due sessi riuniti in un solo corpo ricostituiscono l’unità originaria e al tempo stesso evocano la simultanea presenza degli opposti nell’equilibrio cosmico. Simbolo delle nozze alchemiche o matrimonio mistico, in termini più sciamanici, l'unione con lo sposo/a celeste o sposo/a sotterranea. Due in Uno, distinti ma non separati. 



Nelle tradizioni dello Yoga è sicuramente il Tantra a dare rilievo maggiore se non assoluto all'aspetto femminile della divinità pur sempre nel rapporto imprescindibile Shiva-Shakti (maschile-femminile), identificata non solo come l’energia vitale generatrice sotto forma di Kundalini, ma anche con tutta una serie di figure femminili che assurgono a ruoli iniziatici molto significativi nel percorso del Tantrika (pensiamo alle Dakini, ad esempio). A riguardo come non citare la bellissima figura di Ma gCig, la mistica tibetana vissuta tra il 1055 e il 1145 che per la sua saggezza (legata soprattutto all'insegnamento e alla pratica del gCod (o Chod, il “Supremo metodo che recide i demoni”) e vita straordinaria (anche qui per gli approfondimenti rimando ai consigli di lettura) finì per essere identificata come l’incarnazione stessa della Madre. Il nome stesso di Ma gCig – Unica Madre – indica il suo essere tutt'uno con la saggezza, in particolare con la Saggezza della Vacuità che, nel sistema del tantra tibetano, è squisitamente femminile


Vacuità è il principio femminile, la Madre di ogni manifestazione.



I festeggiamenti di Navratri (o Navaratri) iniziano con l’arrivo della luna nuova del mese lunare di Ashvina (settembre-ottobre) e si protraggono per nove giorni. L’aspetto ritualistico della devozione al femminile divino comprende danze, canti, puja (cerimonie) con sfaccettature diverse a seconda dell’area geografica e delle usanze delle singole tradizioni e famiglie. Nel Nord dell’India, ad esempio, Navratri è conosciuta anche come Durgotsava, la festa di Durga, in cui si venerano le nove forme di Durga, Colei che è difficile da vincere. 



Durga, insieme a Kali, è uno degli aspetti “terrificanti” della Dea, a ricordarci che nella potenza e bellezza del femminile rientrano entrambe le dimensioni: quella dolce e amorevole (di cui Laksmi e Sarasvati sono le raffigurazioni iconografiche più frequenti), e quella aggressiva, distruttiva, terrifica, non meno importante dell’altra ai fini della rigenerazione vitale in piena sintonia con i ritmi della Natura e dei suoi cicli Vita/Morte/Vita. Questo sapere, dovere e potere incarnare Bellezze diverse e non tutte necessariamente rassicuranti e morbide, appartenenti all'integrità del femminile, è ben esemplificato nella bellissima leggenda di Thonban Hla, di cui ho accennato anche qui: Cos'è una relazione? Amore, androginia e anime gemelle.


Thonban Hla, la "dea tre volte bella" fa parte anche delle Carte dei Nat, uno strumento per dialogare con gli antenati elaborato da Selene Calloni Williams. Approfondisci con il libro "Le Carte dei Nat e le Costellazioni Familiari"



In qualsiasi modo si vogliano celebrare queste nove notti a forti tinte femminili, di sicuro vale la pena lasciarsi ispirare dalla figura archetipica della Madre in tutte le sue forme e manifestazioni e coglierne bellezza, potenza e forza il più profondamente possibile. E questo vale sia per gli uomini che per le donne, perché stiamo parlando di polarità energetiche che sono presenti in entrambi i sessi. 

Come ho approfondito in un altro articolo, la Supercoscienza è egualitaria, di natura unisessuale o androgina. Evidente che, in queste nove notti, le donne in particolare sono chiamate a tirare fuori tutta la loro deità, in forma di rinnovamento necessario affinché la pulsione creativa insita nel corpo femminile possa esprimersi concretamente in nuove manifestazioni, idee, progetti, cicli di vita più fecondi e armoniosi. 
Al termine delle nove notti, il decimo giorno, si celebra la festività nota come dasahara, “ciò che dissolve le dieci colpe o errori”, ma anche come vijayadashami, ovvero “il decimo giorno della vittoria”. 

Il decimo giorno, con la benedizione della Madre Divina, cominciamo una nuova vita, offrendo noi stessi in estremo Surrender alla Madre.

Profondamente convinta che non esistano errori ma solo esperienze né tantomeno colpe ma solo responsabilità, io personalmente accenderò la fiamma dell’ardore femminile in onore della vittoria, perpetuando la poetica invocazione cara a Yeshe Tsogyel, la Dakini danzatrice del cielo:


“Io che sono l’eterna non nata, 
mai creata, mai reale, mai irreale,
riconosco la mia anima, la mia essenza naturale, 
come splendente vacuità.
Non il nulla, ma la chiara luce dell’esistenza primaria.
Perciò senza esitazione 
io che sono pura luce nel vuoto
mi do’ alla luce 
riconoscendo nell'amore 
la sostanza unica di tutte le cose”.




"Non voglio aspettarmi nulla da me, dalla vita, da chi amo, voglio solo stare dentro alla più gioiosa delle passioni sperimentabili, godere della bellezza di una fusione che parte dall'anima e arriva nel corpo per poi sfidare tutti i livelli possibili di aderenza al divino, dakini che danza per il piacere di farlo, strumento di un potere infinitamente più grande, di una seduzione che non conosce vincoli perché occhieggia a quello spirito carnale che è dappertutto, perché il piacere che provo a darmi è direttamente proporzionale alla libertà che accompagna la mia unione amorosa. Il futuro è un corpo che ride, diceva Aurobindo. E' un corpo che fa l'amore. Il mio di futuro è un corpo libero di donna che si sposa con l'anima del mondo senza chiedere nulla in cambio. Perché ha già tutto. Perché è già tutto. ... Come il fiore che non può scegliere se profumare o no. Succede e basta!" 

(Cecilia Martino, Il mestiere del dare)


Il Mestiere del Dare
€ 8,00


Breve racconto poetico sull'arte del vivere e del morire ispirato a una storia vera. Testo e foto di Cecilia Martino.

 

                     Consigli di lettura 


"Il risveglio della dea" di Vicki Noble
"La dea doppia" di Vicki Noble
"Il Linguaggio della Dea" di Marija Gimbutas
"La Civiltà della Dea" di Marija Gimbutas
"Donne che corrono coi lupi" di Clarissa Pinkola Estés
"La danzatrice del cielo. La vita segreta e i canti di Yeshe Tsogyel" di Keith Dowman
"Canti spirituali" di MagCig
"Thonban Hla – La leggenda", di Selene Calloni Williams
"Il Sogno di Maria Maddalena", di Maria Sion Crucitti




PRATICA DEL SURRENDER ALLA MADRE 

Con l'esalazione si ha il giorno, con l'inspirazione si ha la notte.
Tutto io creo, tutto io distruggo. Io sono Tutto, io sono Niente. 



Per tutte le nove notti del Navaratri prova a fare questa semplice pratica.
La devi fare preferibilmente al mattino appena sveglia, appena sveglio, e alla sera subito prima di addormentarti: sono i momenti in cui si è più spontaneamente propensi a indugiare in una sorta di limbo, tra veglia e sonno, una dimensione "di passaggio" in cui la coscienza è più fertile ad accogliere nuovi stimoli poco filtrati dalla mente razionale. 


Iniziamo da quella della SERA, PRIMA DI ADDORMENTARTI: sei sul tuo letto, comodo, comoda, prova a portare l'attenzione al corpo, al respiro ma senza sforzo, semplicemente potresti sentire la piacevolezza del momento che precede il sonno, cioè l'abbandono delle membra e di tutte le tensioni. Segui questo abbandono semplicemente dicendo a te stesso, a te stessa, mentre inspiri: "So che sto per addormentarmi, mi abbandono a Te, io sono Niente", e mentre espiri: "So che sto per addormentarmi, mi abbandono a Te, io sono Tutto"... Inala ed esala dal naso (non dalla bocca), con soffio dolce, così come viene, non forzato. Non c'è nulla che tu debba modificare. Devi solo essere più consapevole possibile del momento. Ripeti questa formula per qualche minuto, potresti man mano passare alla versione corta: "Espiro, io sono Tutto", "Inspiro, io sono Niente" e poi affidati a ciò che succede, lasciati cullare dalle sensazioni e sprofonda nel tuo sonno se e quando arriva.

LA MATTINA, PRIMA DI ALZARTI: sei sul tuo letto, appena sveglio, appena sveglia, cerca di rimanere con le palpebre chiuse ma non serrate e di non fare subito qualche gesto seguendo l'impulso a muoverti. Rimani per qualche attimo distesa, disteso, e se ti affiorano immagini oniriche o pezzi di sogni della notte non cercare di interpretarli, respiraci semplicemente su, magari bisbigliando sottovoce "Vieni con me, vieni con me". Riprendi poi il respiro consapevole della sera (dalle narici, delicato, non forzato, spontaneo) e, mentre inspiri ripeti mentalmente: "So che sto sognando, mi abbandono a Te, io sono Niente" e mentre espiri: "So che sto sognando, mi abbandono a Te, io sono Tutto".


Ricordarsi di "stare sognando" è un modo per destrutturare la mente dalle sue illusioni (chitta maya) ricordandoci cioè che la sostanza di tutte le cose è sempre (sia di notte che di giorno, sia in stato di veglia che di sonno) anima, spirito, immagine, splendente Vacuità a cui offrirsi con fiducia e amore come tra le braccia di un amante, della Madre e dell'Universo intero. 

TUTTO E' SOGNO, MA CHE VUOL DIRE?


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Ascolta DISTINTI MA NON SEPARATI 
da "Il mestiere del dare"
 
 

"IL POETA NON SBAGLIA" 
CECILIA MARTINO
COME DARE SPAZIO ALL'INTUIZIONE

 

26 settembre 2016

Grecia: la struggente bellezza di Capo Sunio

"Abbiamo braccia abbastanza grandi ... ma, soprattutto, abbiamo ali" Capo Sunio, 13 Settembre 2016
L'orizzonte aperto sull'abbraccio infinito del mare e una vela cullata dal soffio di Eolo in lontananza: quasi un'eco di mortalità tra braccia immortali, le possenti braccia di Poseidone. Ne ho momentaneamente alle spalle il suo Tempio, mentre lascio che il mio sguardo anneghi nelle profondità del mare. A Capo Sunio (o Sounion) il sole è alto, il vento prorompente e la Terra sibila in ogni direzione e par di udire nel brusio scomposto del vento, lontane voci provenienti da mondi invisibili. La terra emerge dalle acque sotto i miei piedi nudi, ne sento la consistenza che mi solletica l'umore, la voglia insieme di camminare e di fermarmi a meditare... zolle di un angolo di mondo che, assiso sul trono del Re degli abissi, tuona melodiosi silenzi da depositarci il cuore. E il cuore è ciò che prende forma sbarazzandosi del superfluo, la Grande Madre me lo appunta sul suo ventre ruvido quando, ad occhi bassi ci finisco dentro in un sospiro. ... 
Va dove ti porta il cuore. 

Capo Sunio, Settembre 2016 - Va dove ti porta il cuore... Foto ©CECILIA MARTINO


"Che io possa divenire terra, che io possa divenire cielo, che io possa divenire la montagna, che io possa divenire il mare, che io possa crescere, allargando e allungando il mio corpo, fino a disperdermi nel Vuoto dell’Infinito"… è la prima melodia che recita l'anima selvaggia al cospetto di quel mare tanto vicino alle Origini della mia storia e di ogni storia, riconosco le mie testarde radici calabresi che mi fanno esultare quando sotto le piante dei piedi nudi mi brucia la terra arsa dal sole... Calabria, Magna Grecia


Capo Sunio, Tempio di Poseidone, 12 Settembre 2016
Sarà per questo che ora da quassù, a Capo Sunio, davanti a ciò che resta del Tempio di Poseidone e davanti a Poseidone stesso che ulula tra le raffiche di vento, mi par di dialogare ancora più da vicino con i miei avi e con le numerose donne della mia stirpe, mi par di sentirle come un paio d'ali dietro la schiena le mie prime bracciate nello Jonio blu all'età di un anno e forse meno, con i braccioli più grandi di me e con una gioia più grande di me. La Grandezza dell'infinitamente piccolo. 

Panorama da Capo Sunio - ©Foto CECILIA MARTINO



Dentro l'acqua sono sempre stata più felice che altrove. Il mare mi perseguita nei sogni, turbolento, perseverante, invadente, esorbitante, insistente... rende umidi i miei appigli, arrugginisce gli ormeggi ma non i sentimenti, quelli li nutre di selvatiche maree, la mia pelle olivastra ha trattenuto il sale di milioni di molecole marine e gli ulivi, le zagare e i gelsomini mi zampillano da lacrime e sudore... Davanti al mare perdo tutte le coordinate, in un risucchio di meraviglia divento vuota e mi si riempiono le ossa di acqua, divento mare all'istante, nuoto leggera partecipando al grande mistero universale. Lascio a Ulisse la sua voglia di tornare a casa, mi tengo la mia inspiegabile malia di sentirmi a casa in mezzo al mare... 

 "Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos'altro ti aspetti? Soprattutto, non affrettare il viaggio" (Kostantin Kavafis) Foto©CECILIA MARTINO



Apro le braccia al cielo e il respiro di salsedine ansima di tenerezza. Penso a Saffo e al suo marinaio Alceo - "ma non è facile per noi, uguagliare la bellezza delle dee" - la loro passione consumata con la complicità di barche divelte, ancore e vele da issare - "ora risplende tra le donne di Lidia come, quando il sole è tramontato, la luna dalla dita di rosa vince tutte le stelle; la sua luce si spande sopra il mare salato e sui campo fioriti; la bella rugiada si versa, fioriscono le rose, il tenero cerfoglio e i fiori del meliloto"... Canta Saffo, canta... che nulla vale più al mondo di ciò che si ama. E solo i canti di passione durano. 

"Eros ha scosso la mia mente, come il vento che giù dalla montagna si frange sulle querce" (Saffo) Foto ©CECILIA MARTINO


Capo Sunio, sacro promontorio di nostalgici tramonti e purpuree albe! Quale vertigine mi coglie nel precipizio che ti tiene sospeso tra terra, mare e cielo. La stessa che, probabilmente, colse il re di Atene, Egeo, l'attimo immediatamente prima di gettarsi in quelle acque che poi avrebbero preso il suo nome. Mar Egeo, finché morte non ci separi. Mi sporgo quel tanto che mi serve per farmi assaporare l'istante in cui è più facile morire, quando hai l'amore così vicino a te che tutto si riduce a un brivido esistenziale di indifeso stupore. Nell'istante in cui sei pronto a morire, la vita è tutta lì.

Con Selene a Capo Sunio, Tempio di Poseidone -  13 Settembre 2016



Per partecipare ai Viaggi del fare anima 
con Nonterapia e Voyages Illumination: 
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Sempre dalla Grecia











Amore che vivi 
tra le fragranze recondite di lidi lontani
con orizzonti saturi di mistero
lascia che io ti viva 
appassionatamente vicina a ciò che più mi è caro: 
la tua partenza in ogni mio ritorno 
il tuo ritorno in ogni mia partenza
Abbiamo braccia abbastanza grandi
per poterci circuire 
senza sazietà di rimanere
Abbiamo braccia abbastanza grandi ... 
Ma, soprattutto, abbiamo ali. 


23 settembre 2016

Grecia: Sifnos, l'amore trionfa sull'Isola dei Poeti

Sifnos, mare di Platis Yialos©Foto CECILIA MARTINO
Dimenticatevi il caos di Santorini e la ridondanza di Mykonos, e tirate un profondo respiro: sull'Isola dei Poeti, le Cicladi scrivono sul foglio bianco del silenzio i versi più belli che possiate immaginare. Da spartire in dolce compagnia di voi stessi e tutt'al più con qualche pescatore che, mansueto armeggia con gli strumenti del mestiere, completamente immerso nella sua missione. La sua missione: il mare. Il mar Egeo sulla spiaggia di Platis Yialos (o Aigialos o Gialos), tappa del mio soggiorno a Sifnos, alla mattina presto è trasparente come la mente dopo le pratiche di meditazione svolte all'albeggiare, ha venature di luce che sembrano volerti insegnare l'arte della prospettiva impermanente su cui posare lo sguardo, e il cuore. 

Vista dall'Alexandros Hotel, Platis Yialos, Sifnos ©Foto CECILIA MARTINO


All'orizzonte prende il largo il paesaggio brullo delle colline e piccole valli, le cupole blu delle tipiche costruzioni elleniche, gli sprazzi di bianco come macchie di vernice adamantina, tipici delle case locali. Il primo sorso di tè a colazione, accompagnato da una fetta di pane integrale con olive nere e pomodori del posto è una carezza dell’anima, mi arriva tutto il sapore della Terra, il canto degli ulivi e le mani callose dei contadini chini sulle sementa in qualche campo dove non ci può fermare, ma solo transitare… Credo di non avere mai mangiato con tanto gusto pane e crema di olive nere per tanti giorni di seguito senza mai provare un senso di sazietà. 


La vista dal Ristorante Maiolica, sulla spiaggia di Platis Yialos, Sifnos ©Foto CECILIA MARTINO


E credo di non aver mai mangiato così bene, tra i vari ristoranti provati sul posto, come da Maiolica, che segnalo con molto piacere. Qui, infatti, la selezione delle materie prime è al primo posto e nel menu ci sono molte alternative vegane che, ovviamente, ho molto apprezzato. Sul podio dei miei piatti preferiti gustati in questo buen retiro di gusto direttamente sulla spiaggia con vista splendida sul mare: Hummus con grigliata di verdure; involtini “Raw Vietnamese Style” con verdure e una sfiziosa e rinfrescante salsa al lime di accompagnamento; Insalata Tabbouleh con bulgur biodinamico. Per farvi un’idea – anche della cura estetica con cui vengono presentati i piatti, date un’occhiata al sito e alla Pagina Facebook.

Ogni tuo passo è un respiro dell'Universo. Sifnos, Settembre 2016 

Lungo la spiaggia si susseguono locali, ristoranti e botteghe artigianali dove trovare souvenir in stile cicladico, soprattutto gli oggetti di ceramica di Sifnos dai colori sgargianti, impossibile resistere (salvo riuscire a portarli intatti a casa!). A punteggiare l’orizzonte dalla “spiaggia ampia” del luogo (questo significa letteralmente il toponimo “platis aigialos”, il monastero ottocentesco della Madonna della Montagna (Panagias tou Vounou), la Torre Bianca (Aspros Pirgos), la più famosa delle 55 torri antiche dell’isola e poi… nient’altro che blu, verde acqua, turchese. Mare. Intorno a Sifnos, infatti, non esistono isolette più piccole, tranne l’isoletta non abitata e deserta Kitriani, in direzione sud, vicino al braccio di terra Kontos. 


Dalla mia camera presso l'Alexandros Hotel, Platis Yialos, Sifnos 



Il respiro dell’anima selvaggia fluisce morbido tra un’ode all'amore ispirata direttamente da Afrodite spumeggiante tra le onde del mare e le forme fluide, sinuose a abbondanti dei vasi di terracotta e ceramica ovunque sparsi come decoro nelle strutture alberghiere, ma anche nell’immaginario del ritorno alla Grande Madre, il ritorno a Casa

ENTUSIASMO. Dal greco: avere il dio dentro ... "come di quel poeta che ispirato divinamente raggiunge l'estasi
Sifnos, Settembre 2016



Celebro la missione dell'anima come un’offerta da deporre sulla terra degli dei per eccellenza, dentro al cerchio sciamanico aperto sotto un albero sulla spiaggia di Sifnos e chiuso tra i crinali lievi del Parco dell’Acropoli di Atene sotto il Partenone all'imbrunire: momenti speciali che prendono vita come fulminee ispirazioni, ignari di qualsiasi programmazione prestabilita. 
Il ritiro sull’Isola di Sifnos, allo scoccare dei miei 40 anni di età, è stata forse una delle poesie migliori che potevo scrivere vivendo, con la complicità universale. Vi hanno preso parte demoni e dei, dee, amanti, antenati e soprattutto antenate, avi e spiriti esausti forse un po’ grotteschi ma pur sempre cantori ineccepibili della mia storia personale. Ho calpestato l’arenile con lo stesso tremore estatico di uno Zorba danzante, e ho mescolato sangue a palo santo con la stessa corroborante rinuncia di una madre partoriente. L’Amazzone che è in me ha teso coraggiosamente le mani sull'ultima frontiera da esplorare, Medea ha deposto le armi sacrificali e salvato i suoi figli. Tutto è perfetto… e l’Amore non è mai stato così irresistibile. 


"Una storia è bella, finché non se ne racconta un'altra" (Esopo)

Orizzonte chimerico
non bellezza, ma incanto
quell’essere infinitamente sospesa
tra il non ancora e il mai più. 
Eppure, così presente.
Mistero di onnipresenza
ti porgo, indomita, il mio Amore
che è sempre qui
e sempre altrove


"Finché avrò fiato nei polmoni, Amerò. E anche dopo." (Saffo) - 10 settembre 2016

Sempre dalla Grecia


Benvenuta Selvatichezza! Sulla spiaggia a Platis Yialos, Settembre 2016

21 settembre 2016

Grecia: Delfi, l'ombelico del mondo e della Grande Madre

Tempio di Apollo, Delfi - 11 Settembre 2016

Delfi, il cuore oracolare della Terra antico oltre 2000 anni, continua a proferire i suoi vaticini a chi ha orecchie per sentire e occhi per vedere, al di là delle folle di turisti e della manualistica accademica, dentro un silenzio che si respira con la pratica dell'attenzione. 

Lo spirito di Delfi risuona con la bellezza di Apollo, qui si trova il maggiore santuario dedicato a lui, avvenente dio amante della musica e delle arti – sembra quasi di vederlo in diletto con le sue Muse tra le creste selvatiche del Parnaso! – contornato da una miriade di simboli legati alla sua mitologia: delfino, alloro, tripode, l’amore nella forma spirituale (l’apollinea tensione estetica cui corrisponde l’opposto fervore estatico dionisiaco). Quell'AMORE che, sempre e da sempre, smuove il mondo, onnipresente forza da cui scaturiscono tutti gli eventi e le vicissitudini, anche sull’Olimpo. 

Amare ed essere amati, in sostanza, è il nucleo essenziale della vita, un amore privo di attaccamenti, pregiudizi e aspettative che può compiersi solamente nel ritrovamento interiore, quella voce che ha tutte le risposte, quell'abbraccio che ha tutta la potenza dell’universo intero, quel centro perfetto di sé da cui si diramano le trame del mistero a cui darsi incessantemente.  

Gnothi seauton! 
Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’universo!


Per darsi, occorre superare tutti i confortevoli appigli mentali e precipitare nel regno imponderabile dell’invisibile e dell’inatteso. Solo questo vuol dire amare. Delfi, terra di misteri, oracoli e vaticini, luogo sacro più importante dell´antica Grecia, ce lo ricorda ad ogni passo. 


COSA HA DA DIRCI L'ORACOLO DI DELFI

La rupe chiamata Hyampeia, sul Parnaso, davanti al Tempio di Apollo, dove – secondo Plutarco – trovò la morte il favolista Esopo, accusato di sacrilegio dagli abitanti di Delfi. Foto ©Cecilia Martino
La rupe chiamata Hyampeia, sul Parnaso, davanti al Tempio di Apollo, dove – secondo Plutarco – trovò la morte il favolista Esopo, accusato di sacrilegio dagli abitanti di Delfi. Foto ©Cecilia Martino

La Pizia (la quale veniva scelta tra le donne meno colte del popolo) proferiva i suoi responsi in stato di trance, masticando foglie di alloro (simbolo del dio di cui si faceva tramite) e inalando i vapori eccitanti (etilene) scaturenti dalla fessura del suolo che di sicuro contribuivano all'effetto esilarante, ma il punto è: non servono nozioni intellettualistiche per dialogare con l’anima, l’anima non ha bisogno di idee, ma di spazio. Lo spazio dell’intuizione e della creatività. La divinità si concede se sei in grado di andare fuori controllo e non servono gas esilaranti o sostanze allucinogene, ma un’attitudine certa a morire a se stessi e al proprio ego. Ci vuole purezza di intenzioni (e vergine doveva essere la Pizia, oltre che poco colta). La Pizia partoriva sentenze incomprensibili (che poi venivano “tradotte” dai sacerdoti del tempio), selvaggiamente scomposta nel suo sacrum facere come le sciamane di ogni tempo che vengono possedute da spiriti e forze naturali a cui offrono il corpo per potersi fare tramite di messaggi oracolari che non chiedono di essere interpretati, analizzati, compresi con la mente. Le voci degli oracoli, degli sciamani, dei mistici sono canti a cui affidare piuttosto il cuore. Sono la Poiesis direttamente in azione, occorre solo aprirsi con fiducia ad essi.
La Pizia, Oracolo di Delfi

La Pizia nella sua estasi vaticinante è l’elemento femminile da cui scaturisce il caos della creazione, il fermento di ogni nuova vita, possibilità di rigenerazione costante, il tremore stesso della Madre nel suo atto di puro piacere creativo, l’ombelico centro vitale, quell’omphalós (vaso a forma di uovo) che spicca ancora oggi tra le rovine del sito archeologico di Delfi. Da lì, cioè direttamente dal ventre della Madre Terra, l’ombelico sacro del mondo, la profetessa riceveva l’ispirazione. Lì seduta su un calderone sacrificale chiuso da un coperchio e poggiato su un tripode.
L'omphalos di Delfi - Foto ©Cecilia Martino
L’omphalos di Delfi – Foto ©Cecilia Martino



A tentare di interpretare i messaggi della Pizia per restituirne una sorta di senso ai richiedenti venuti fin lì da ogni dove, non poteva che essere l’elemento maschile, i Sacerdoti, non solo uomini ma anche religiosi, rivestiti cioè di un ruolo ben preciso all’interno del tempio (la corporazione sacerdotale). La Pizia è una outsider per eccellenza. Ci richiama al senso autentico del sacrum facere, quello non filtrato dalla religione, che non chiede dogmi a cui credere ma esperienze dirette per celebrare la vita in tutta la sua integrità. Il rito sta al corpo come l’analisi sta alla mente. Nel corpo che diventa veicolo di contatto e dialogo con l’anima si sedimenta la conoscenza diretta del divino, quella intuitiva che si sperimenta fin dentro le cellule. Il corpo nella sua immobilità meditativa o nella sua scomposta trance estatica è il simbolo per eccellenza del viaggio verso l’invisibilità, che è il darsi al mondo degli spiriti, al divino, all’anima mundi. Corpo in greco si dice soma e con soma nello yoga si indica anche l’amrita, l’elisir divino, il nettare dell’immortalità. La cerimonia oracolare a Delfi prevedeva anche l’offerta sacrificale di una capra che precedeva la consultazione della Pizia. A livello simbolico, l’offerta del corpo quale cibo per gli dei, è sempre un morire a se stessi, de-personalizzare la realtà vedendone la sostanziale impermanenza di fondo quale immagine, sogno, pura apparizione. Il rito del Chöd (offerta del corpo) propria del misticismo tantrico tibetano è in tal senso esemplare.

Vale la pena meditare sul fatto che l’oracolo
non dà mai risposte certe, anzi.
E che forse dovremmo smettere di cercarle.
All’anima che si svela e che tutto contiene
non servono conclusioni, ma ispirazioni.

“L’oracolo non dice né nasconde: dà segni” 
(De Pythiae oraculis, Plutarco)



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