Isole Cicladi. Siamo nel cuore di un luogo dove la religione di natura dominava su qualsiasi altra interpretazione della realtà, dove l’anima si nutriva di segreti incentrati su tecniche estatiche come la trance degli sciamani, degli oracoli tantrici e, in questo caso, delle pizie di Delfi o dei misteri eleusini. Il tempio oracolare di Delo, luogo di nascita di Apollo e Artemide, i gemelli della Grecia classica, era il centro sacro formato dalle Isole Cicladi, da cui trassero il loro nome. Al lato della montagna di Delo si trova un santuario dell’età del Bronzo ricavato da una formazione rocciosa naturale dove probabilmente le sacerdotesse-sciamane di Artemide devono aver proferito i loro primi oracoli.
Tutto in questo luogo parla un altro linguaggio, evoca potenti visioni e trasporta in altre dimensioni spazio-temporali. Le Cicladi sono la testimonianza vivente di un’umanità che aveva un altro mito, un altro modo di vedere la realtà, il corpo e le forme stesse del corpo.
Tra le espressioni più emblematiche dell’arte cicladica ci sono le statue delle cosiddette “donne-violino”.
Statue delle "Donne-violino" fotografate al Museo di Arte Cicladica Goulandris di Atene - Settembre 2016 |
Statue di donne e dee legate al culto della Grande Madre fotografate al Museo di Arte Cicladica Goulandris di Atene- Settembre 2016 |
LE DONNE VIOLINO DELLE CICLADI
Sono state chiamate "donne-violino" perché la forma esile in alto e abbondantemente tondeggiante verso il basso, ricorda linee e curvature dello strumento musicale. Nella fiorente iconografia del periodo cicladico (III millennio) troviamo anche statuette in cui predomina invece l’aspetto spigoloso e atletico, con robuste spalle squadrate, seno e triangolo pubico ben delineano e le braccia unite ma non conserte, una sopra l’altra tenute al di sotto del petto. La gran parte dei reperti, degli oggetti rituali, delle statue, dei vasi risalenti al periodo cicladico evidenziano la presenza inequivocabile del “linguaggio della Dea” e di una leadership femminile intimamente connessa al culto della Madre.
Oltre alle donne-violino la cui abbondanza di curve richiama nemmeno troppo velatamente alle qualità femminili della procreazione, femminilità, nutrimento, fertilità (corpo-vaso, vaso della vita) e alle donne spigolose più atletiche collegabili al linguaggio delle saltatrici di tori non senza richiami alle Amazzoni, si può notare una presenza massiccia di spirali raffigurate un po’ ovunque su vasi e oggetti rituali. Spirali e ocra rossa sono correlati all’antica religione della Dea in tutto il mondo. La maggior parte di queste opere può essere ammirata soprattutto al Museo Goulandris di Arte Cicladica di Atene.
Il segno della spirale è altrettanto importante nel linguaggio della Dea e già la sua forma circolare con i movimenti sinuosi ad indicare sempre un flusso di energia ininterrotto che richiama i cicli naturali della Vita/Morte/Vita, Creazione e Distruzione, suggerisce l’uscita dalla concezione di un tempo lineare proprio della visione patriarcale logocentrica ed egocentrica. La visione lineare tende a categorizzare, dividere (prima, dopo, bene, male, alto e basso) e interpretare la realtà per poterla controllare, mentre la visione circolare unifica, accoglie, ingloba, ritualizza la vita all’unico scopo di amare il Tutto nella sua integrità.
In una visione matristica legata alla terra, quale era quella della civiltà cicladica, l’unico tempo possibile era quello del mito, cioè l’eterno presente in cui vige l’essenzialità del dono di sé alla Madre, cioè all’invisibile, allo spirito del mondo, alla divinità immanente in ogni cosa. Questa riduzione all’essenziale è in fondo ciò che rimanda anche la spiccata schematizzazione delle statuine cicladiche la cui forma immaginativo-astratta ridotta all’estremo indica una regressione alla spiritualità e all’essenzialità propria del mondo degli spiriti e dei morti.
La Madre Primordiale è un costante richiamo alla morte ma si tratta di una concezione della morte ben diversa da quella intrisa di senso del peccato, di paura e di colpa che le religioni escatologiche a matrice patricentrica hanno contribuito a inculcare.
Nella visione animica e animista della Grande Madre primordiale non esiste la morte almeno quanto non esista la vita nel senso che una è contenuta nell’altra e, soprattutto, nel senso che l’unica realtà davvero esistente è solo la relazione tra il visibile e l’invisibile: tutto è sogno, simbolo, immagine e darsi a questo sogno, cioè all’aspetto spirituale della vita, è l’unico sacrificio ammissibile (sacrum facere), il rito supremo da celebrare. E il tempo del rito non può che essere quello mitico del Kairos (non quello lineare di Kronos), il tempo cioè che si compie nell’infinita possibilità dell’attimo presente. Non sorprende pertanto la grande quantità di oggetti rituali cultuali legati al mondo degli inferi, propri della civiltà cicladica e il fatto che i beni funerari delle tombe cicladiche femminili siano molto più numerosi di quelli maschili.
Il culto della Dea richiama a una visione universale dove il dialogo con il mondo invisibile (dei, spiriti, demoni, morti, eidola) è l’unica via certa per darsi al Grande Mistero vivendo la più totale delle libertà possibili. Che altro, infatti, può rendere davvero liberi che la resa incondizionata al divino che non sia frutto di un’interpretazione mentale (che lo vede lontano e irraggiungibile Onnipotente nell’alto dei Cieli) ma che vibri e risuoni in ogni cellula del corpo il quale corpo a sua volta è un tutt’uno con la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco, l’etere, sacro tabernacolo di un incessante rito all’amore?
“È negli abissi della terra e quindi del nostro corpo, cioè nelle profondità della natura, nel ventre della Madre, che il mistero della nostra esistenza è nascosto, come un seme o, come direbbe Hillman, come una ghianda, la quale contiene in sé il progetto dell’intera quercia. per ritrovare la ghianda dobbiamo vincere il corso del tempo, scendere nella Morte per risalire a quel tempo mitologico che ha preceduto il nostro concepimento. Il grande viaggio va fatto con il corpo, proprio come lo fanno le tigri e le tartarughe marine. Il punto è comprendere che il corpo è un simbolo e ciò è difficile nella nostra cultura che non conserva immagini convincenti di ciò” (Selene Calloni Williams, James Hillman il cammino del “fare anima e dell’ecologia profonda).
Di sicuro le immagini che ci restituiscono le Cicladi non sono solo più convincenti, ma sono poeticamente fatali.
SEMPRE DALLA GRECIA
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