Virginia Woolf non ha mai scritto poesie nè promosso il genere poetico per una "elezione stilistica" ben argomentata. Eppure la Poesia non ha potuto fare a meno di lei, e viceversa…
Il terzo raggio del Mandala delle 5 esse che evoca in 5 parole-seme (sinonimo tutte di Apertura) l’essenza della Poesia – e della Poesia come Meditazione – è SENSIBILITA’.
La poesia è un invito a tornare a sentire più che a capire: è un processo di risveglio di forze latenti, non una chiusura in un sapere concettuale.
“Dio, quanto soffro!
Che spaventosa capacità di sentire intensamente, la mia!”
Tornare a sentire. Sentire non cosa, ma come?
C’è un sentire affettivo, personale e personalistico, carico di vissuto (personale, sociale, culturale, familiare, etc.) e un sentire più ampio (impersonale, unitivo) che ci denuda da ogni maschera e ci restituisce alle braccia dell’infinito in una trasparenza in grado di riconsegnarci alla libertà dell’essere. Una trasparenza salvifica (le cose sono divinamente nude, ci sussurra Marguerite Yourcenar!)
Due tipi di sensibilità, dunque… La stessa sottigliezza di sfumature dei Due tipi di Intelligenza evocati dal poeta mistico sufi Rumi. Una che ti "colloca davanti o dietro gli altri", l'altra che straripa come "una sorgente dal suo alveo … una freschezza al centro del petto".
Possiamo riconoscere senz’altro, affinando il nostro ascolto con la facoltà dell'intuizione, la qualità differente di questo sentire di primo livello o di secondo livello.
Perché questa salvezza non è accaduta a molti poeti?
Forse non c'è scrittrice più emblematica in tal senso, di Virginia Woolf.
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Illustrazione di Francesco Ruggero Vercesi, 2021 |
La sensibilissima Virginia nel suo scrivere in prosa si serve di “aperture poetiche”, evocate come imperscrutabili Moments of Being (Momenti d’Essere), cioè momenti rari e preziosi di grande intensità e percezione, misteriose istantanee di esistenza, squarci d'interiorità nitida e onnicomprensiva da ricevere più che da afferrare, come fossero attimi di inestimabile grazia a cui arrendersi e aprirsi sperando di poterne in qualche modo ricordare la traccia.
Come scrittrice, Virginia Woolf era interessata a dare voce al mondo interiore dell’essere umano, concependone la coscienza come un flusso continuo di emozioni e impressioni.
Alla Virginia donna non interessava l'ordine cronologico delle storie da narrare, bensì la vivacità interiore del mondo psichico dei personaggi, pur rimanendo estremamente fedele al rigore logico e grammaticale che alla Virginia scrittrice stava così a cuore. Tanto a cuore da renderle insostenibile la scelta stilistica della poesia (come precisa nelle sue Lettere a un giovane poeta).
Nonostante fosse divenuta scomoda "preda" della sua stessa fervida immaginazione – al punto di non riuscire più a vivere nel mondo, ma solo nel “suo mondo” – in certi momenti un sentire più ampio le si spalancava davanti soffiando nel cuore grato di tanta abbondanza d'Essere, l'intenso respiro poetico che possiamo incontrare nei suoi versi pur all’interno di romanzi.
Questa “seconda vista” che è la Poesia (come la definisce Ralph Emerson e i mistici di ogni tempo accoppiandola al termine Verità), la percezione del carattere simbolico-universale delle cose, l'abilità di unificare in una interezza ciò che sembra separato, questa visione interiore o interiorizzata con una portata salvifica straordinaria, rimane distaccata dalla vita incarnata di Virginia, talmente distaccata da renderle sempre più insostenibile la vista ordinaria. Una scissione letteralmente configurata nella sua malattia mentale (bipolarismo).
A fronte di tale “chiusura” di cui anche il rigore stilistico della scrittrice sembra farsi portavoce, Virginia sceglie di salutare l’insostenibile mondo della vista ordinaria dandosi all’elemento più rappresentativo del mondo fluido delle emozioni e della vita stessa: la morte per acqua. Per Virginia Woolf l’acqua rappresenta armonia, pace, tranquillità, ma anche la possibilità di risolvere terribili conflitti interiori.
Nei suoi scritti abbondando le metafore legate al mondo acquatico, oceanico, marino, fluido, ritmico… Un richiamo irresistibilmente poetico a quell'ondeggiare che sradica la mente da ogni controllo, dalla possibilità di lasciarsi andare in una vastità senza regole del già noto. "Sono radicata, ma fluttuo" (I am rooted, but I flow) scrive Virginia nel romanzo Le onde, donandoci un'immagine intrisa di una carica evocativa magistrale, che racchiude in sole quattro parole forse il tormento più grande che un'anima possa vivere: sentirsi in uno stesso oceanico lampo di vita sia l'ancora sia il mare aperto.
Le radici organiche della Poesia | 5 spunti di incarnazione poetica
“L’essenza del ritmo è qualcosa di molto profondo, ben più recondito delle parole. Uno sguardo o un’emozione creano quest’onda nella mente ben prima che sorgano le parole adatte ad esprimerla; e nella scrittura (tale è la mia convinzione attuale) bisogna ricreare quest’onda, e farla agire (il che in apparenza non ha niente a che vedere con le parole), e poi, quando irrompe e precipita nella mente, trovare le parole che le si confacciano. (A Vita Sakwille- West, 16 marzo 1926).
Questo scritto trae spunto dal terzo incontro di "Poesia e Meditazione: 5 Dialoghi con l'Infinito" tenutosi presso H'olla - Un mare di benessere a Porto Recanati l'11 febbraio 2023. Altri spunti:
Primo Incontro: Poesia e Meditazione | "Una freschezza al centro del petto"
Secondo Incontro: Poesia e benessere | L'ascolto intuitivo espande i confini
FRASI E BRANI TRATTI DA EPISTOLARI E ROMANZI DI VIRGINIA WOOLF
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Virginia Woolf, foto di George Charles Beresford, 1902 |
Non sarò mai famosa, grande.Continuerò ad azzardare, a cambiare,
ad aprire la mente e gli occhi,
rifiutando di lasciarmi incasellare e stereotipare.
Ciò che conta è liberare il proprio io:
lasciare che trovi le sue dimensioni,
che non abbia vincoli.
L’arte è libertà da ogni predicazione,
le cose in sé stesse, la frase bella in sé stessa;
mari sconfinati;
narcisi selvatici che appaiono
prima che la rondine osi
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Il non essere è simile all’ovatta,
in cui sono avvolte le nostre giornate.
Tutto il problema dell’esistenza consiste
nel cogliere i momenti in cui le cose si fanno trasparenti
e si trova la traccia.
Come se, per uno squarcio improvviso,
il fondo dell’essere divenisse visibile e la poesia si facesse realtà.
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Mi serve un po’ della lingua che usano gli amanti.
Non ho bisogno di parole. Di niente di preciso.
Ho bisogno di un ululato, di un grido.
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C’è chi si rivolge ai preti, chi alla poesia;
io ai miei amici, al mio cuore, a cercare tra le frasi e i frammenti
qualcosa di intatto.
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Gli esseri umani non procedono tenendosi per mano
per tutto il cammino della vita.
C’è una foresta vergine in ciascuno di noi,
un campo di neve dove anche l’impronta delle zampe d’uccello è sconosciuta.
Qui ci addentriamo da soli e preferiamo che sia così.
Avere sempre la solidarietà,
essere sempre accompagnati,
essere sempre compresi,
sarebbe intollerabile.
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Guardare la vita in faccia sempre,
guardare la vita in faccia e conoscerla per quel che è.
Al fine conoscerla, amarla per quel che è,
e poi metterla da parte.
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Da Gita al Faro
INCIPIT Sì, certo, se domani fa bel tempo» disse la signora Ramsay. «Però dovrai essere in piedi con l'allodola» aggiunse. A suo figlio queste parole comunicarono una gioia straordinaria, come se fosse stabilito che la spedizione avrebbe avuto luogo senz'altro, e l'incanto cui aveva agognato, per anni e anni gli pareva, fosse, dopo il buio di una notte e la traversata di un giorno, a portata di mano. Egli apparteneva, già all'età di sei anni, a quella grande categoria di persone che non riescono a tenere le emozioni separate le une dalle altre, ma lasciano che le prospettive future, con le loro gioie e dolori, annebbino ciò che effettivamente è, perché per tali persone fin dalla prima infanzia qualsiasi oscillazione della ruota delle sensazioni ha il potere di cristallizzare e trafiggere il momento dal quale dipendono la tristezza o la radiosità. Così James Ramsay, seduto sul pavimento a ritagliare le figure del catalogo illustrato dei Magazzini dell'Esercito e della Marina, quando sua madre parlò, sulla figura di un frigorifero riversò beatitudine paradisiaca. Era contornata di gioia. La carriola, la falciatrice, la musica dei pioppi, foglie biancheggianti prima della pioggia, cornacchie gracchianti, ginestre sbatacchianti, vestiti frusciami: tutto era così nitido e colorato nella sua mente che egli aveva già il suo codice privato, la sua lingua segreta, anche se appariva il ritratto del rigore assoluto e incorruttibile, con la fronte alta e gli occhi blu fieri, perfettamente candidi e puri, leggermente accigliati al cospetto dell'umana fragilità, tanto che sua madre, osservandolo mentre guidava le forbici con precisione intorno al frigorifero, lo immaginò in una Corte vestito di porpora ed ermellino oppure alla guida di un'impresa complessa e decisiva in qualche crisi della vita pubblica.
[…] La vita non è una serie di lampioncini disposti simmetricamente; la vita è un alone luminoso, un involucro semitrasparente che ci racchiude dall’alba della coscienza fino alla fine. […]
Da Una stanza tutta per sé
Ancora mancava un’ora per la colazione, che cosa potevo fare? Passeggiare per i campi? Sedere accanto al fiume? Certo era un bel mattino d’autunno; le foglie rosse scendevano ondeggiando a terra; la prima possibilità mi attirava tanto quanto la seconda. Ma una musica mi raggiunse. Ci doveva essere una funzione o celebrazione religiosa. Quando passai davanti alla cappella, l’organo magnificamente si lamentava. In quell’aria serena, perfino il dolore del cristianesimo sembrava più il ricordo di un dolore che non il dolore stesso; perfino i gemiti del vecchio organo sembravano avvolgersi nella pace.
Da Orlando
Il senso di tutte quelle frasi era che mentre la Fama ostacola e costringe l’uomo, l’oscurità lo avvolge come una nebbia; l’oscurità è cupa, vasta e libera; l’oscurità permette allo spirito di seguire la propria via senza impacci. Sull’uomo oscuro, l’ombra distende il proprio velo misericordioso. Nessuno sa dove va, né donde viene. A lui è concesso di cercare la verità, e di dirla; lui solo è libero; lui solo è sincero; lui solo è in pace. Così, all’ombra della quercia, sprofondò in una calma dolce, e la durezza delle radici, a fior di terra, gli era quasi un conforto. Orlando rimase lungo tempo a meditare sui pregi dell’oscurità e la gioia di non avere un nome, di essere come l’onda che ritorna nel profondo corpo del mare. L’oscurità, pensava, libera l’animo dall’assillo dell’invidia e del rancore; fa scorrere libere nelle vene le acque della generosità e della magnanimità; e permette di dare e prendere senza ringraziamenti né lodi; questa dev’essere stata la vita di tutti i grandi poeti, immaginava (ma la sua conoscenza del greco non era sufficiente a confermarlo in questa opinione); Shakespeare, pensava, deve avere scritto così, e i costruttori di cattedrali devono aver costruito così, anonimi, senza bisogno di riconoscenza o di fama, ma solo di lavorare il giorno, e forse di un bicchiere di birra la sera.
[…] Voi mi domandate se i vostri versi siano buoni. Lo domandate a me. L’avete prima domandato ad altri. Li spedite a riviste. Li paragonate con altre poesie e v’inquietate se talune redazioni rifiutano i vostri tentativi. Ora (poiché voi m’avete permesso di consigliarvi) vi prego di abbandonare tutto questo. Voi guardate fuori, verso l’esterno e questo soprattutto voi non dovreste fare. Nessuno vi può consigliare e aiutare, nessuno. C’è una sola via. Penetrare in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s’essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore, confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi si negasse di scrivere. Questo anzitutto: domandatevi nell’ora più silenziosa della vostra notte: devo io scrivere? Scavate dentro voi stesso per una profonda risposta. E se questa dovesse suonare consenso, se v’è concesso affrontare questa grave domanda con un forte e semplice «debbo», allora edificate la vostra vita secondo questa necessità. La vostra vita fin dentro la sua più indifferente e minima ora deve farsi segno e testimonio di quest'impulso. Poi avvicinatevi alla natura. Tentate come primo uomo al mondo di dire quello che vedete e vivete e amate e perdete. […]
Virgina Woolf, da Lettere a un giovane poeta
[…] Tutto ciò che ti serve è stare alla finestra e lasciare che il tuo senso del ritmo, si apra e si chiuda, coraggioso e libero, fino a quando una cosa non si fonderà nell’altra, fino a quando i taxi non danzeranno con le giunchiglie, fino a quando non verrà a crearsi un’unità da tutti questi frammenti separati. […] raccogli tutto questo tuo coraggio, impiega tutta la tua cautela, invoca tutti i doni che la Natura è stata indotta a concederti. Poi lascia che il tuo senso del ritmo si snodi tra gli uomini e le donne, gli autobus, i passeri − qualunque cosa si muova lungo la strada − fino a quando non li avrà legati insieme in un tutto armonioso. Questo forse è il tuo compito: trovare la relazione fra le cose che sembrano incompatibili eppure hanno una misteriosa affinità. […]
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