30 agosto 2014

Imparare a svanire: e se dopo la morte non ci fosse assolutamente nulla?
















E se dopo la morte non ci fosse assolutamente nulla? 
Se lo spirito fosse nel corpo una sola medesima cosa destinata semplicemente a svanire? Fermatevi un momento a percepire che sensazioni suscitano in voi queste domande, retoriche o no che siano.
A prescindere dall'esistenza o meno di una risposta, o di una “verità universalmente riconosciuta” a cui appellarsi per uscire da questa impasse, è la reazione all’
idea di scomparire che ciascuno di noi esperisce anche solo con una semplice domanda a trabocchetto, il dato davvero interessante, il punto da cui partire per  liberarsi eventualmente da quell’horror vacui su cui la cultura occidentale con le religioni escatologiche a seguito, ha fondato, legittimandolo, così tanta parte del suo potere. Potere di controllo fondato sulla paura. 

Paura di cosa? Di morire, appunto. 
Svanire, perdere tutto, perdersi
Perdere il controllo delle situazioni, le persone care, i beni materiali, e la lista sarebbe ancora lunga. Ma per perdere qualcosa, bisogna possederla e bisogna percepire quella cosa come “reale”.



E se sperimentaste che non esiste nulla, ma proprio nulla, di davvero reale, o quantomeno di così oggettivo e materiale? E se sperimentaste che non siamo altro che natura, che  partecipiamo della stessa sostanza del mondo naturale condividendo in tutto e per tutto le sue leggi, inclusa quella dell’inevitabile dissolvimento che procede alle due precedenti fasi di creazione e conservazione? E che niente ci appartiene veramente perché tutto è semplicemente proiezione di un sogno, di un’immagine, di una visione spontaneamente tendente all'armonia, alla bellezza e al ritmo che sono le uniche regole che la natura impone?
Che effetto vi fa pensare di potervi liberare da tutte le categorie di bene e di male, giusto e sbagliato, bello e brutto, che appesantiscono le teorie, tutte le teorie, incluse quelle new age o di ultima tendenza spirituale? Anche la riconciliante teoria dell’Uno è un fardello fintantoché rimane una teoria nella nostra dimensione esistenziale. 

Il punto è : c’è bellezza nelle nostre vite? 


C’è armonia (attenzione! Ho detto armonia, non bene né male: ci può essere armonia anche sperimentando la sofferenza…).
C’è ritmo? Oppure resistiamo ai cambiamenti sentendoci vittime di circostanze che ci soffocano?
In tutte queste domande non ci sono risposte in cui l’ego possa trovare alcun tipo di gratificazione, dunque se qualche tremito di smarrimento unito a una insondabile vertigine di vuoto si è anche solo insinuata in voi facendo sussultare il cuore e mettendo a tacere l’ultimo neurone in stato di difesa, bene… fate un grosso respiro, quella è la strada per la libertà. E ci siete già…


Mi trovo davanti a una tazza di caffè d’orzo fumante quando mi tornano alla mente queste parole: “questa ossessione di dover continuare per forza, di vita in vita, questa ostinazione nella ricerca della continuità, in fondo, cela la paura di svanire”. 
Svanire. Svanire. Svanire.
Ho lasciato risuonare a lungo la vibrazione di tale parola, richiamando alla memoria eco di beatitudini legate a un puro stato dell’esseresenza sforzo. Si può chiamarlo in molti modi: satori, samadhi, nirvana, medesimezza. Per viverlo, per vivere, bisogna saper morire.
Chi intraprende un percorso di autorealizzazione spirituale sa bene l’importanza del concetto del non attaccamento, ma qui si tratta di fare un balzo in avanti (anzi, in tutte le direzioni) direttamente nell'abisso della vacuità… Che è ben altra cosa!

Per non tirarla troppo alle lunghe, mi permetto di suggerire a chiunque leggerà queste righe di “lavorare” per i prossimi giorni con le sensazioni che la parola 
SVANIRE suscita in lui/lei e di leggere più volte le domande da cui sono partita, senza giudicare o giudicarsi, semplicemente ascoltandosi.















Perché Colui che ha creato il mondo
preferisce servirsi della tragedia per scrivere il libro del destino?”
Le urla di Elia riecheggiarono nella valle
e gli ritornarono alle orecchie.
“Tu non sai quello che dici”, rispose l’angelo.
“Non c’è nessuna tragedia, ma l’inevitabile.
Tutto ha la sua ragione d’essere:
devi solo saper distinguere fra ciò che è transitorio
e ciò che è definitivo.”
“Che cos’è transitorio?” domandò Elia.
“L’inevitabile”.
“E che cos’è definitivo?”
“Le lezioni dell’inevitabile
(Monte Cinque, Paulo Coelho)

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