C'era una volta una bambina che spesso, le domeniche, andava a trovare alcuni suoi parenti in una grande casa che ospitava anche tanti altri bambini come lei. C'erano pure molti cani di cui uno in particolare, una femmina di dobermann dal pelo nerissimo, le metteva un pò di soggezione. Si chiamava Lula. Poi c'era Furia, un cane vecchissimo che, invece, non provocava alcun effetto su di lei se non tenerezza per la sua camminata arrancante e goffa. I cani abbaiavano sempre non appena il cancello d'ingresso al giardino della casa si apriva. L'abbaiare dei cani era il primo suono familiare che alla bambina faceva presagire l'incontro con i suo cari, in particolare con la zia che aveva la gestione dell'intera casa. Una zia importante di cui tutti avevano sommo rispetto e quasi timore reverenziale, e di cui lei portava il nome. La zia era la sua madrina di battesimo. Il pulmino che la conduceva in questa grande casa era guidato da una suora ed era di colore beige. Oltre a lei, che amava sedersi sempre vicino al finestrino per appiccicarci il viso e osservare a più non posso di fuori, nel pulmino c'erano anche i suoi genitori e suo fratello.
Ma, non appena la bambina si sedeva nel suo posto vicino al finestrino e sentiva accendersi il motore e il pulmino iniziava a mettersi in movimento, per lei non c'era più nessuno su quel mezzo ambulante, tutto attorno svaniva, tanto l'osservazione del mondo fuori dal finestrino la rapiva. Non era un rapimento da imbambolamento però. La bambina, infatti, si ritrovava ad osservare così attentamente ogni singolo dettaglio della visione che metteva a fuoco di volta in volta, che spesso perdeva la cognizione della realtà ordinaria, entrando in uno stato di coscienza che dall'esterno poteva senz'altro apparire ipnotico. Eppure la bambina era cosciente, e lucida, e si divertiva a rimanere in quello stato. Ma poi subentrava un momento, una frazione di secondo, un lasso di tempo non quantificabile in cui all'osservazione concentrata di ogni cosa colpisse il suo sguardo subentrava una sorta di eccitante sgomento, a seguito di uno spontaneo lampo di coscienza (come chiamarlo, altrimenti?) in cui la bambina - occhi fissi e mente concentrata sui suoi oggetti di contemplazione - entrava nel mistero della parola "VITA".
Ci entrava letteralmente, perché era come se quella parola si ripetesse da sola come un ritornello (oggi mi piacerebbe chiamarlo mantra) nella testa, senza distoglierla però dalla sua attenzione primigenia. Vita, vita, vita, vita, vita, vita… Era come se la ripetizione silenziosa di quelle quattro lettere la facesse andare ancora più oltre il vortice di osservazione che già tanto la attanagliava, coinvolgendola. Allora si ritrovava a domandarsi: "ma da dove vengono tutte queste persone? E queste macchine? E questi semafori? E questi alberi? E il cielo? E le nuvole?".
Qualsiasi cosa entrasse nel suo campo visivo, diventava punto di domanda e andava a perdersi nei meandri di chissà quali sentimenti, percezioni, ricordi ancestrali, sogni. Fatto sta che la bambina, a quel punto, provava una sorta di vertigine, un'apertura che le faceva trattenere il fiato fintantoché la sensazione durava. Ma non durava tanto. La filastrocca sulla “vita”, così come era venuta se ne andava, dal nulla si diluiva nel nulla e la bambina ci provava a rallentare quella fuga, a trattenere quel ritmo nella sua mente affinché la facesse perdurare in quello stato così strano, intenso, ineffabile. Ma… niente da fare, tutto svaniva. E, proprio come un incantesimo, anche la bambina “ritornava”. Da dove non lo sapeva, ma sentiva che era stata in un luogo prezioso, in un punto indefinibile senza tempo né spazio in cui la sua stessa immaginazione (oggi la chiamerei Presenza) era stata portatrice di realtà più vere di qualsiasi altra esperienza stesse vivendo in quel momento. Più vere del pulmino beige, della suora che lo guidava, dei suoi genitori, di suo fratello e persino di quella bambina seduta con il viso appiccicato al finestrino.
Ma, non appena la bambina si sedeva nel suo posto vicino al finestrino e sentiva accendersi il motore e il pulmino iniziava a mettersi in movimento, per lei non c'era più nessuno su quel mezzo ambulante, tutto attorno svaniva, tanto l'osservazione del mondo fuori dal finestrino la rapiva. Non era un rapimento da imbambolamento però. La bambina, infatti, si ritrovava ad osservare così attentamente ogni singolo dettaglio della visione che metteva a fuoco di volta in volta, che spesso perdeva la cognizione della realtà ordinaria, entrando in uno stato di coscienza che dall'esterno poteva senz'altro apparire ipnotico. Eppure la bambina era cosciente, e lucida, e si divertiva a rimanere in quello stato. Ma poi subentrava un momento, una frazione di secondo, un lasso di tempo non quantificabile in cui all'osservazione concentrata di ogni cosa colpisse il suo sguardo subentrava una sorta di eccitante sgomento, a seguito di uno spontaneo lampo di coscienza (come chiamarlo, altrimenti?) in cui la bambina - occhi fissi e mente concentrata sui suoi oggetti di contemplazione - entrava nel mistero della parola "VITA".
Foto da Wikimedia Creative Commons |
Qualsiasi cosa entrasse nel suo campo visivo, diventava punto di domanda e andava a perdersi nei meandri di chissà quali sentimenti, percezioni, ricordi ancestrali, sogni. Fatto sta che la bambina, a quel punto, provava una sorta di vertigine, un'apertura che le faceva trattenere il fiato fintantoché la sensazione durava. Ma non durava tanto. La filastrocca sulla “vita”, così come era venuta se ne andava, dal nulla si diluiva nel nulla e la bambina ci provava a rallentare quella fuga, a trattenere quel ritmo nella sua mente affinché la facesse perdurare in quello stato così strano, intenso, ineffabile. Ma… niente da fare, tutto svaniva. E, proprio come un incantesimo, anche la bambina “ritornava”. Da dove non lo sapeva, ma sentiva che era stata in un luogo prezioso, in un punto indefinibile senza tempo né spazio in cui la sua stessa immaginazione (oggi la chiamerei Presenza) era stata portatrice di realtà più vere di qualsiasi altra esperienza stesse vivendo in quel momento. Più vere del pulmino beige, della suora che lo guidava, dei suoi genitori, di suo fratello e persino di quella bambina seduta con il viso appiccicato al finestrino.
“Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare”.
(Arthur Conan Doyle)
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una bimba che scopre,come spesso accade a qualcuno di loro che hanno occhi per guardare, ciò che riusciamo a perdere quando si diventa grandi,saper vedere la bellezza della vita
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