06 settembre 2014

Ladakh: Lamayuru, il monastero e la luna piena

Monastero di Lamayuru - Foto ©Cecilia Martino



C’era la luna piena, era il 7 settembre del 2006.
Le pietre con le incisioni dei mantra impresse come graffiti alchemici parevano risuonare ed effondere nell’aria arcane vibrazioni. Il monastero tibetano di Lamayuru imponeva la sua sagoma nell’alto della montagna quasi fosse un’apparizione, un’allucinazione e un sogno frutto dell’incontinenza immaginale che a quelle altitudini probabilmente stavo spontaneamente sperimentando.



Sulla via per Lamayuru, attraversando la valle dell'Indo e la Moon Land, la valle della Luna         
Foto ©Cecilia Martino





Altitudini spaziali e mentali
. L’aria rarefatta impone respirazioni più lente e profonde, i movimenti tendono a decelerare, è come se avvenisse un naturale allentamento delle difese. Senza sforzo, per l’ottimizzazione delle energie nel corpo, il corpo stesso si arrende e la mente fuoriesce dalle sue ordinarie percezioni senza troppi convenevoli.
L’Himalaya è stato il mio primo tappetino naturale in cui praticare yoga senza nemmeno accorgermi di farlo.


Monastero di Lamayuru - Foto ©Cecilia Martino



Mi trovo a quasi 3500 metri, posseduta dalle sensazioni che tante ore di fuoristrada lungo la valle dell’Indo con la meravigliosa attraversata della Valle della Luna avvenuta a 3990 metri lungo la strada che porta in Kashmir, hanno attecchito in chissà quali strati di profondità dell’essere.
Non so se sono più sfiancata o eccitata, fatto sta che ho gli occhi sbarrati nella notte e la luna piena che sembra più grande del dovuto, pare quasi entrare dalla finestra per indugiarvi a lungo e riempire con il suo bagliore lattiginoso tutto lo spazio della mia piccola camera nell’unica Guesthouse presente a Lamayuru (almeno otto anni fa era così): Moon Land.


 

Il corpo è elettrizzato pur nella spossatezza, sento incombere con una certa insondabile gravità la presenza del Lama Yung Drung, il monastero che avremmo visitato la mattina dopo e che ho appreso essere uno dei più grandi e antichi conventi buddisti di tradizione tibetana su tutto il suolo indiano. Il suo nome significa la “Svastica del lama” e pare sia stato fondato intorno all’anno 1000 dal mistico Naropa che, come mi viene spiegato durante il viaggio, è uno dei grandi maestri dello yoga sciamanico di matrice tantrica che risuona insieme a nomi quali Abhinavagupta, Ma Gcig, Yeshe Tsogyel, Padmasambhava e soprattutto, Tilopa (suo maestro) e Marpa (suo discepolo).



Tutti nomi accomunati da una propensione che scoprirò presto essermi congenita e congeniale, quella al linguaggio mitopoietico, creativo, analogico, metaforico, che rompe gli schemi descrittivi della logica per restituire all’espressione verbale un’inflessione più simile all’indescrivibile. La poesia è la cosa più vicina al silenzio. Tutti i più grandi mistici furono anche poeti, e mai come durante questo viaggio sono potuta entrare in risonanza con una vocazione di cui peraltro al tempo ero ancora all’oscuro.  Non tanto quella alla scrittura poetica, che ho sempre riconosciuto sin da piccola, mi riferisco a inclinazioni più mistiche e spirituali.

Pietre con incisi i mantra- Foto ©Cecilia Martino





























C’erano dei fenomeni, però, che mi accadevano al tempo e che si riproposero proprio durante quel viaggio e, in particolare, durante la notte a Lamayuru, con la luna piena sul guanciale sporco di sangue essiccato della mia “cella” di passaggio e le pietre colorate con le incisioni sanscrite che salmodiavano senza sosta il Re dei mantra: Om Mani Padme Hum, il mantra più recitato e conosciuto anche dai non buddhisti, dal significato che può essere poeticamente reso così: c'è un diamante nel fiore di loto (per il significato spirituale rimando direttamente alle parole del Dalai Lama)



Pietre con incisi i mantra e sullo sfondo il monastero di Lamayuru- Foto ©Cecilia Martino


Il fenomeno, di cui parlo la mattina dopo anche a Selene, è questo: sento il corpo farsi improvvisamente molto pesante, sono in uno stato di dormiveglia ma più che altro di sonno lucido, avverto che c’è qualcosa che sta per avvicinarsi a me ma non riesco a spostarmi, a compiere alcun movimento, ho il corpo come congelato e mi è impossibile qualsiasi mossa, dunque, mi arrendo a ciò che deve accadere, e succede in una manciata di secondi: mi sento attraversare il corpo da sibili luminosi che mi scuotono, come se un soffio di vento simile a spiritelli fruscianti mi penetrasse entrando e uscendo dal mio corpo. E poi tutto finisce.



La sensazione espressa in una sola parola è quella di attraversamento. Mi sento attraversata, compenetrata e penetrata come se il mio corpo fosse una porta e “qualcuno” ci passasse attraverso causando una sorta di sussulto e scuotimento alle mie membra. Di tutto questo processo io rimango cosciente dall’inizio alla fine. Oggi ho imparato a convivere con questo fenomeno che ogni tanto si ripropone e che non riesco a far accadere a mio piacimento. Semplicemente, a volte, accade. Quando sento che sta per succedere, ormai, mi rilasso e … mi godo lo spettacolo, anche perché ultimamente esso è propedeutico a un altro tipo di esperienza che poi si attiva dopo l’attraversamento: la fluttuazione della mia coscienza fuori dal corpo. Ma questa è un’altra storia.


Interni del monastero di Lamayuru- Foto ©Cecilia Martino




























Tornando a Lamayuru, in un balzo temporale di otto anni che implode senza soluzione di continuità nella medesimezza in cui mi accingo a compiere questo narrare rimembrando un viaggio che in realtà sta continuando ancora, dopo la notte insonne trascorsa in compagnia delle più svariate entità invisibili (dagli spiriti lunari a quelli sibilanti…), è tempo di visitare il famoso monastero. Scrigno di tesori inestimabili, ne colgo oggi la portata e il significato per la mia personale evoluzione: facevo il mio ingresso trionfale nel regno della forza rivoluzionaria del tantrico “andare controcorrente”, con la complicità della più potente energia che abbiamo a disposizione (l’energia sessuale, Shakti) e il benestare dell’universo intero.



L’immagine della svastica (termine sanscrito derivante da svasti che significa prosperità, benessere, abbondanza, successo) con rotazione inversa che fa capolino in vari angoli del monastero, è il simbolo psichico da cui la mia immaginazione irresistibilmente attratta inizierà a nutrirsi per la redenzione dell’anima, un po’ indotta dalle pratiche insegnate durante il viaggio, un po’ spontaneamente lasciando fluire le sotterranee intuizioni del momento.


La grotta originale dove meditò Naropa. Al suo interno sono state poste le statue raffiguranti Tilopa, Naropa e Milarepa, i tre maggiori yogin della tradizione del buddismo tantrico diffuso in Ladakh. In verità non si poteva fotografare, essa è gelosamente custodita con tanto di chiusura a chiave. 
Foto ©Cecilia Martino



Mi troverò di fronte alla grotta dove ha meditato Naropa, il grande maestro realizzato che diffuse in Tibet le dottrine del Mahamudra, il Grande Sigillo. Ne assorbirò le energie, i misteri, i silenzi che ancora oggi rimbombano quando sento che non ne posso più di qualcosa.  E mi riportano all’essenza da dove far ripartire, intatta, la mia pura gioia.


  “Il Vuoto non ha bisogno di appoggio,
la Mahamudra non si appoggia a nulla.
Senza alcuno sforzo,
ma rimanendo sciolti e naturali,
si può rompere il giogo
ottenendo così la Liberazione


(da “Il Canto della Mahamudra di Tilopa” in “Insegnamenti di Yoga Tibetano”






Leggi anche LADAKH: UN VIAGGIO LUNGO 8 ANNI 

Il piccolo monaco "custode" della chiave della grotta di Naropa,
una bellissima immagine con lettura simbolica per chi la vuole leggere.
La chiave della Liberazione … - Foto ©Cecilia Martino

1 commento:

  1. purtroppo, pur avendo messo lil nome e l'URL in modo corretto non è comparso il commento---Paganini non ripete e tanto meno "brezza" :)

    RispondiElimina