“Mondo di sofferenza: eppure i ciliegi sono in fiore!” Questo haiku di Kobayashi Issa mi sembra quasi poter racchiudere il senso della compassione universale che affiora sul terreno di un paradosso evidente: c’è sofferenza e c’è bellezza al tempo stesso.
La sofferenza del “mondo” non impedisce ai ciliegi di fiorire e di effondere la loro commovente bellezza, seppur effimera, nella naturalità delle cose. In natura la bellezza è un processo inevitabile, inarrestabile, frutto di armonie invisibili a cui il corso naturale delle cose si arrende. Non c’è resistenza, a niente: ai temporali così come alle giornate di sole. L’ambiente naturale è uno spazio di minima resistenza alla vita che dona il massimo delle potenzialità vitali per sostenere processi di continua evoluzione.
Possiamo accogliere qualsiasi luogo di natura (la madre Terra) come simbolo di questa dimensione equanime dell’esistenza in cui lo spiraglio di un modo più esteso di vedere le cose dona un bagliore luminoso persino a quel “mondo di sofferenza”.
La fioritura dei ciliegi in un mondo di sofferenza mi evoca la bellissima immagine della dea tibetana della compassione, Tara, emblema dell’equanimità e invero aggraziata raffigurazione della Madre, la madre Terra che sostiene e nutre.
Secondo la tradizione del buddhismo tibetano, Tara nacque da una lacrima del Bodhisattva Chenrizy che piangeva a causa delle sofferenze presenti nel mondo. Mossa a profonda compassione, la dea si promise di aiutare non soltanto lui, ma ogni essere. Il suo corpo di luce verde smeraldo radioso e trasparente allude alla sua capacità di azione illuminata, ovvero di aiuto disinteressato e altruismo scevro da motivi egoici.
TARA, LA COMPASSIONEVOLE
Immagine dal Libro di Ph.d. Wooten, Rachael intitolato "Tara: The Liberating Power of the Female Buddha: 22 Meditations to Heal Ourselves and Repair Our World" |
Considerata la madre di tutti i Buddha, rappresenta l’energia femminile, qualità energetica intrisa di senso di accudimento, empatia e saggezza. È una delle dee più amate e venerate dagli appartenenti al “Veicolo di Diamante” (Vajrayana), la forma tantrica del buddhismo tuttora praticata in Tibet, in Mongolia e in tutta la regione himalayana. Personifica la materna ed amorevole sollecitudine dei buddha nel suo aspetto di intervento rapido ed efficiente per proteggere e salvare tutti gli esseri senzienti.
La sua stessa postura – nella maggior parte delle sue figurazioni - esprime tale propensione a proteggere e a prendersi cura degli esseri viventi (la gamba destra piegata protesa in avanti pronta per un sollecito aiuto) unita all’atteggiamento meditativo a simboleggiare l’illuminazione dell’essere dietro la sua compassione. Un impulso di amore non cieco bensì guidato dalla chiara visione di una mente che non si attacca a nulla, a monito del fatto che l’amore autentico non può che nascere da un distacco dai condizionamenti mentali ed emotivi che inquinano la visione pura della nostra vera natura essenziale.
Senza la possibilità di accogliere una prospettiva più ampia sull’esistenza grazie a una visione poeticamente e spiritualmente espansa, le cose del mondo ci influenzeranno sempre di più in una maniera eccessiva e distorta. L’equanimità è la qualità che, per eccellenza, ci connette a tale prospettiva più ampia, fa emergere il senso di interconnessione che ci lega alla nostra comune essenza umana e a tutti gli esseri viventi, nonché alle forze invisibili cosmiche universali che sostengono sottilmente la nostra evoluzione nel mondo relativo dei fenomeni e delle nostre vicissitudini personali.
Non necessariamente è possibile controllare la sofferenza che si presenta nel mondo, ma c’è sempre la scelta su come relazionarci ad essa: se resisterle provando avversione, oppure se non resisterle confidando in un’armonia invisibile che nega l’evidenza richiamandoci all’intuito di una fede più grande, assoluta e definitivamente conciliante.
L’inevitabilità del dolore può trovare nell’equanimità compassionevole non solo un rifugio, un balsamo, un antidoto, bensì una via concreta per la sua trasmutazione.
FORMULE DI MEDITAZIONE SULL’EQUANIMITA’ E AMOREVOLEZZA (METTA)
Le formulazioni verbali utilizzate nelle pratiche buddiste di meditazione e interiorizzazione sulla gentilezza amorevole (Metta) e sull’equanimità, hanno il profumo e i colori della fioritura dei ciliegi. Emanano quel senso di quieta ineluttabilità, paziente fiducia nel corso delle cose e, in definitiva, resa totale (Surrender) a un piano di intelligenza superiore a cui affidare il senso di impotenza che a volte può affliggerci di fronte alla sofferenza, nostra e altrui.
Proprio come i versi di una poesia dal potere rischiarante se lasciati vibrare in qualche attimo quieto di silenzio meditativo, queste frasi possono incoraggiare la connessione con un punto di vista non ordinario che può donare sussurri di leggerezza a ondate sempre più convincenti.
Un esempio di tali invocazioni:
“Possa io accettare le cose come sono”.
“Le cose non vanno a modo mio. Lascio andare la mia idea di come dovrebbero andare. La mia percezione di ‘me’ e ‘mio’ deve ampliarsi”.
“Vi auguro felicità e benessere, ma non posso fare scelte per voi, e neppure controllare o mutare il corso delle cose”.
“Come io voglio essere libero dalla sofferenza, possano tutte le creature essere libere dalla sofferenza” .
(La pratica estesa di Metta è spiegata nel prezioso libro di Thich Nhat Hanh: Paura. Superare la tempesta con la saggezza)
MANTRA DI TARA: IL RISVEGLIO DELLA FORZA DELLA MADRE
Quando siamo sopraffatti da sentimenti negativi o da un eccessivo senso di smarrimento per la sofferenza che percepiamo in noi e nel mondo esterno, possiamo sempre rivolgerci a quella parte saggia e amorevole di noi che l’archetipo di Tara simboleggia con i suoi colori e dettagli allettanti, indumenti di seta celestiale e ornamenti stupendi che vogliono incoraggiare la fede in chi ne è privo e aumentarla in chi già la possiede. Evoca la bellezza incarnata dal piano di coscienza risvegliato e sorride con amore emanando empatia nonostante il “distacco” dato non dall’insensibilità al mondo, ma dalla visione espansa su quella parte di mondo illusorio creata dai condizionamenti mentali.
L’immagine di Tara propone un ideale a cui aspirare, la fusione tra sentimento ed equanimità, tra sensibilità di cuore e amorevole distacco di una mente discriminante che – intrisa di saggezza spirituale impersonale - trascende il piano della verità relativa connessa alla visione ordinaria, personale, psicologica, delle cose.
Il risveglio della forza della Madre dentro di noi, richiama la discesa di un potere di fede totale che ti fa dire “Tutto è perfetto” quando invece tutto attorno a te sembra volerti convincere del contrario. Si tratta di uno sblocco di nevrosi basato sulla paura e diffidenza atavica molto potente. Una sfida lungo un sentiero inesorabile e paradossale così ben tracciato da Chogyam Trungpa, erede e maestro di meditazione dei lignaggi di Milarepa e Padmasambhava, nel suo libro La pazza saggezza.
Nella sua raffigurazione più comune, Tara dal colore verde è rappresentata seduta su di un trono di loto con la mano sinistra che regge un utpala (loto blu, simbolo dello scioglimento dei suoi blocchi di energia negativa) ed ha il palmo rivolto verso l’esterno, all’altezza del cuore, col pollice e l’anulare uniti e con le altre tre dita erette. La mano destra poggia sul ginocchio destro e anche il suo palmo è proteso verso l’esterno, ma col pollice e l’indice che quasi si toccano a formar e un cerchio, mentre le altre dita sono rivolte verso il basso in direzione del suolo: è questo il gesto simboleggiante il potere protettore e la suprema generosità.
NON SFORZO, MA PAZIENZA
Così come non si può rallentare né affrettare la fioritura di un ciliegio, nè la trasformazione di un bruco in farfalla, di un girino in rana e di qualsiasi altro processo in natura, così vanno rispettati i tempi di maturità e maturazione interiore di ciascun essere su questo pianeta. L’umiltà di accogliere le fasi di un processo, mantenendo salda l’aspirazione a protendersi verso il mistero della vita con occhi nuovi, può già stimolare un senso di compassione che “mantiene caldo il cuore”.
Mi viene sempre in mente che nella lingua spagnola “intuizione” si dice “corazónada”, la qualità del creare oltre sé stessi (il superamento dell’ego e la profondità intuitiva dell’essere) ha la radice nel cuore (corazón).
Il cuore è il grande trasformatore, il fuoco liberatore, qui è insito il potere di amare, il potere più rivoluzionario che ci sia.
Prendiamoci a cuore la nostra vita, nessuno al posto nostro potrà farlo, nemmeno Tara, che vuole solo spronarci a liberare le nostre energie spirituali latenti, specie quando la gravità delle cose terrene sembra volerci seppellire e disumanizzare!
Alla bellissima dea, però, possiamo rivolgere il mantra che la onora, facendo vibrare in noi il respiro di una sempre rinnovata primavera.
Possa la confusione rinascere come saggezza!
OM TARE TUTTARE TURE SOHA
“Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare,
che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare,
che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere.”
(Tommaso Moro)
"Persino il generale si tolse l'armatura per guardare le peonie" (poesia zen) |
LEGGI ANCHE SU YOGA MAGAZINE: RIFIORIRE E' DARSI POETICAMENTE AL MONDO
Carezza poetica! Grazie per queste parole vibranti di Vita!
RispondiElimina