29 gennaio 2020

Poesia, quel passatempo divino dal potere illuminante | Sri Aurobindo


Come la "delizia poetica" può cambiare la vita: le parole del grande filosofo indiano e poeta Sri Aurobindo, padre dello Yoga Integrale

La visione è il potere caratteristico del poeta, come il pensiero discriminante è il dono essenziale del filosofo e l'osservazione analitica il genio naturale dello scienziato. Il Kavi era, nell'idea degli antichi, il veggente ed il rivelatore della Verità e, anche se noi ci siamo allontanati da quell'ideale per chiedergli soltanto il piacere dell'udito e dell'apprezzamento della facoltà estetica, tuttavia, tutta la grande poesia preserva qualcosa di quella più alta verità, rispetto al suo scopo e al suo significato. La poesia, infatti, essendo Arte, deve tentare di farci "vedere" e poiché si deve rivolgere ai sensi interiori - dal momento che l'orecchio è il suo solo cancello d'ingresso fisico, ed anche lì il suo vero richiamo è rivolto ad un udito interiore - e poiché il suo intento è di farci vivere interiormente ciò che il poeta ha incarnato, nelle sue rime, è una visione intima che il poeta apre in noi, che prima è stata molto intensa in lui, per poterla risvegliare anche in noi. Quindi i più grandi poeti sono sempre stati quelli che hanno avuto una visione interpretativa ed intuitiva vasta e potente della Natura, della vita e dell'uomo, per cui la loro poesia è emersa in una suprema espressione rivelatrice.



La Poesia è fatta per risvegliare la vita che sonnecchia nella gente, e non per monopolizzare un potere immaginario




Quindi i più grandi poeti sono sempre stati quelli che hanno avuto una visione interpretativa ed intuitiva vasta e potente della Natura, della vita e dell'uomo, per cui la loro poesia è emersa in una suprema espressione rivelatrice.



[…]

Né l'intelligenza, né l'immaginazione, né tantomeno l'udito sono i veri ricettacoli della delizia poetica, proprio perché non sono i suoi veri creatori; sono solo i suoi canali e strumenti; il vero creatore, il vero conoscitore, è l'anima. 
Quanto in modo più rapido e trasparente questi supporti eseguono il loro lavoro di trasmissione e meno insistono sulla loro richiesta separata di soddisfazione e più direttamente la parola raggiunge l'anima, immergendovisi profondamente, più la poesia è grande. 
Quindi la poesia non ha compiuto veramente il suo lavoro, almeno il più elevato, fintanto che non ha innalzato la percezione del suo strumento e l'ha condotto nella delizia più profonda dell'anima. 
Un Ananda divino, una delizia interpretativa, creativa, rivelatrice, formativa (si potrebbe dire un riflesso inverso della gioia che l'anima universale ha provato nella sua grande liberazione di energia che celebrò l'uscita, nelle forme ritmiche dell'universo, della verità spirituale, della vasta idea interpretativa, della vita, del potere, dell'emozione delle cose contenute nella sua originale visione creativa), una tale gioia spirituale è ciò che l'anima del poeta sente e che, quando oltrepassa le difficoltà umane del suo compito, riesce a "riversare" in tutti coloro che sono preparati a riceverla. E questa delizia non è solamente un passatempo divino; ma è un grande potere formativo ed illuminante.

(Tratto da Arte - II, Sri Aurobindo e Mère, Ashram Press, Pondicherry, India 1996)

Mère e Sri Aurobindo 


Mi permetto di estrapolare da questo testo fedelmente trascritto alcune parole-chiave, parole seme e parole radice, che a mia sensibilità risultano cruciali per riscoprire quella visione poetica che consente di vivere la vita in tutta la sua entusiasmante intensità, integralità e leggera profondità ... 

Continuo a dialogare con Aurobindo, interscambiando le sue considerazioni (messe tra virgolette) con qualcuna delle mie. 

emersione
E' l'atteggiamento ricettivo di chi lascia emergere (intuizioni estetiche così come soluzioni e accadimenti di vita) diversamente dall'atteggiamento volitivo di chi va incontro a qualcosa e tenta di afferrarla, controllarla, manipolarla... 

trasparenza
"Quando la sorgente di ispirazione è nel cuore o nello psichico, c'è, più facilmente una buona volontà nel canale vitale ed il flusso è spontaneo; l'ispirazione assume subito la propria forma ed esposizione vere ed è trasmessa senza alcuna interferenza o quasi da parte della mente cerebrale, grande saccheggiatrice degli splendori più alti e profondi. E' la caratteristica dell'ispirazione lirica quella di fluire dall'essere in un solo fiotto"

Nella mistica si suole dire "dove c'è io non c'è dio".



esecuzione - trascrizione
"Non ci sarebbe alcuna difficoltà se l'ispirazione giungesse sotto forma di pura trascrizione, senza alcuna interferenza. E' ciò che accade nei momenti più alti o liberi di un poeta quando scrive senza eliminare del tutto la mente umana esteriore, utilizzando tuttavia l'ispirazione come portavoce degli dei" 

Si legge in un bellissimo testo sul taoismo: "Le espressioni piene di anima del poeta fluiscono senza sforzo, proprio perché "piene d'anima". Tutto considerato non esiste alcuna forma poetica definita, poiché un poema che sorghi spontaneamente dalla Fonte si muove animato dalla sua stessa forza e non obbedisce a nessuna legge umana prestabilita. La sola legge è che non c'è alcuna legge". 

assenza di sforzo personale
Risuona con l'emersione: ciò che viene spontaneamente a galla non richiede alcuno sforzo e ottiene il massimo risultato con il minimo dispendio di energia. Immaginate un oggetto di gommapiuma messo sull'acqua; non fa alcuno sforzo a galleggiare e, per affondarlo, bisogna imprimergli una spinta di movimento verso il basso, altrettanto per trattenerlo giù; se si molla la presa su di esso, invece, lui emerge con leggiadria senza l'aggiunta di nessuna spinta supplementare. 
E' l'intuizione-chiave del grande insegnamento della Bhagavad-Gita: l'azione più idonea, funzionale ed efficace è quella che si compie senza attaccamento ai risultati, dunque, senza interferenze personalistiche. L'azione senza intenzione, nucleo del karma yoga.
Il problema del karma non esiste. Lasciatelo andare completamente!
Nel taoismo si indica con l'ideogramma Wu Wei il movimento-non movimento dell"azione senza azione", "azione senza sforzo", "azione naturale". 


delizia dell'anima gioia spirituale 
"Per il poeta, la luna della bellezza e della delizia è una divinità anche più grande del sole della verità o del respiro della vita, come nell'immagine simbolica del dio vedico lunare Soma, la cui pianta dell'ebbrezza si può raccogliere su picchi montani solitari al chiaro di luna, e il cui succo ed essenza purificati sono il vino consacrato ed il nettare della dolcezza, rasa, madhi, amrta, senza i quali gli stessi dei non potrebbero essere immortali. […] La bellezza e la delizia, qualsiasi forma in effetti prendano (qui possiamo parlare delle due cose come fossero una), possiedono una giovinezza che non invecchia, un momento eterno, una presenza immortale."



Il dio Chandra guida il carro lunare in una illustrazione indiana


riversare ed essere preparati alla ricezione
Per cogliere un frutto e deliziarsi con esso, bisogna prima di tutto accorgersi che esiste ed essere pronti ad (ac)coglierlo… Nella fruizione poetica si sviluppa un'attitudine preparatoria a … farsi cogliere di sorpresa, la qual cosa implica apertura e disponibilità, non controllo o sapienza intellettuale. "A me la poesia non piace perché non la capisco" è uno dei pregiudizi più eloquenti rispetto al modo di approcciare a ciò che non chiede di essere conosciuto ma accolto nel suo mistero imperscrutabile. Dalla poesia lasciamoci toccare, sfiorare, annusare, coccolare e non indottrinare. La poesia è un altro modo di leggere la vita e, per conseguenza, di viverla.

Il “puro segreto” del fico: come attualizzare la potente visione poetica di Rilke – Elegia VI 

rivelazione
"Una poesia intuitiva, rivelatrice, del genere che stiamo esaminando, esprimerebbe una suprema armonia di cinque poteri eterni: Verità, Bellezza, Delizia, Vita e Spirito. Questi sono in verità, i cinque più grandi fari ideali o, piuttosto, gli unici della poesia". 



"Ciò che la filosofia o altre meditazioni mentali rendono preciso o pieno per il nostro pensiero, la poesia può farlo divenire vivente per l'anima ed il cuore, attraverso il suo potere creativo …"


"Le parole che dici diventano la casa in cui vivi." (Proverbio Sufi)



Tornare ad essere poeti può cambiare la nostra vita, rendendoci più creativi, più integri, più comunicativi e più spontaneamente etici. 








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09 gennaio 2020

La vita comincia ogni giorno | Rainer Maria Rilke

Come lo sguardo della Sfinge ... 


Frequentatore di castelli e salotti aristocratici, conferenziere e lettore, "poeta" per professione, anzi per vocazione, se non addirittura - come si diceva - per "incarnazione", Rilke intrattiene una rete fittissima di relazioni corrispondendo con l'intellighenzia del suo tempo e gli affetti più cari, con ardenti innamorate e innumerevoli ammiratori, sforzandosi di richiedere sempre, a se stesso e agli altri, una autenticità nuda e ferrea, di celebrare tutta la sacralità di un incontro tra individui, mettendosi spesso completamente in gioco in confessioni davvero disarmanti.

E a tutti predica il suo vangelo di durezza. Il consiglio letterario non è mai separabile da quello esistenziale e viceversa. Non c'è evento troppo effimero o contingente per non evocare un qualche assunto. Il miracolo dei fenomeni e la meraviglia del divenire si stemperano in un sapere morale cui nessuno deve sottrarsi; e il richiamo a una travolgente pienezza di vita, così ricolma da strabordare anche nell'accettazione della morte, risuona a ogni pagina.

Come lo sguardo della Sfinge è maturato fino alla perfezione in secoli di intemperie e deserto - Rilke lo scrive nel 1907 alla moglie Clara in viaggio in Egitto - , così gli occhi degli uomini devono imparare a trasformare l'esperienza in visione, sfuggire ogni sazietà e pigrizia, scuotersi dalle abitudini e addentrarsi persino nel dolore  - questo "attendente del vedere" - per non "perdersi nulla del mondo" e mantenere quel "sentimento dell'inizio" grazie al quale si comprende che - per stupirsi come per scegliere  - "la vita comincia ogni giorno"


(Marco Federici Solari)



... trasformare l'esperienza in visione ... 

Rainer Maria Rilke ritratto da Leonid Pasternak


Il primo post del 2020 non poteva che essere dedicato alla Musa ispiratrice di tanto mio indagare, sentire e spontaneo poetare: Rainer Maria Rilke

E' il mio poeta preferito? No, non lo è. O almeno, non è di questo che si tratta.

Molto più che "solo" un poeta, anzi il Poeta. Dovrei definirlo piuttosto come una guida, un nume tutelare, un richiamo che a più riprese e con intensità sempre maggiori in varie fasi della mia vita, ha smosso in me intuizioni quasi sempre incomprensibili persino a me stessa. 

Rilke non l'ho mai realmente capito, ma mi è sempre arrivato. Compenetrato. 
Per questo l'ho ancora di più accolto, lasciato essere, agire in me. Giunto come un pretesto da molto lontano, l'ho amato follemente come si ama qualcuno che non si conosce ma di cui ci si fida per una sorta di coerenza d'anima ineccepibile. 

Rimanendo pertanto fedele a questo amore intraducibile, Rilke ho smesso di definirlo. Piuttosto, recentemente gli ho dedicato un libro, piccolo miracolo a cui lui stesso ha contribuito più di quanto si possa immaginare. 

Il mestiere del dare non è una trascrizione innocente di poesie raccolte nel tempo, bensì un'ardua visione che di punto in bianco (notate che meraviglia il linguaggio metaforico: il balzo dal punto al bianco, quanto spazio d'apertura luminosa lascia intravedere!) ha fatto crollare il tempo e ha restituito l'unica cosa che davvero conta nella presa di coscienza radicale emersa: il senso pieno della vita così com'è, inesorabilmente nuova ogni giorno. Un mistero che non vale la pena tradurre o interpretare, ma vivere. Semplicemente, con occhi vigili e innocenti da principianti, come quel "libero avvento di una nuova nascita necessaria" di pirandelliana memoria. 

Per questo Il mestiere del dare dà il titolo al mio blog ancora prima che il progetto editoriale si fosse reso manifesto alla mia coscienza, e dà il titolo al mio ultimo libro. E non finirà con esso. 

Il mestiere del dare è un laboratorio di risonanza poetica, l'approccio non duale all'esistenza che affida alla Vita poeticamente incarnata la prima e l'ultima parola, con "autenticità nuda e ferrea" riagganciandomi allo iato rilkiano di cui sopra.

"Lasciatevi accadere la vita ... Credetemi, la vita ha ragione, in tutti i casi" (RM Rilke)


Come dichiarai durante un'intervista al Salone del Libro 2019:


"Visione poetica è innamorarsi della vita così com'è, stare a proprio agio in ogni situazione con sguardo amorevole, compassionevole, celebrativo e contemplativo. E' un'attitudine molto affine a quella meditativa per questo il mio percorso linguistico poetico si è poi sposato sempre meglio e senza forzature con un percorso parallelo - diciamo così - spirituale, di ricerca interiore che mi ha portato nel corso di vari anni a praticare ed approfondire discipline quali yoga e meditazione

Leggendo i miei due libri è possibile fare esperienza di questa "resa alla meraviglia della vita così com'è" in quanto in un poetare autentico è molto presente quella riduzione della soggettività che rende accessibile a tutti il vissuto personale. Per autentico intendo originale nel senso letterale del termine: originale è chi torna alle origini e non c'è luogo più originario dell'anima, dello spazio vuoto, di quello sfondo di pienezza evocato anche dal poeta Rilke che riporto nell'intestazione de Il mestiere del dare e con il quale concludo 


"La nostra pienezza si compie lontano, nello splendore degli sfondi" ... 


Andalusia, estate 2019


come lo sguardo della Sfinge ... 


Rainer Maria Rilke ritratto di Helmut Westhoff (1901)


Orfeo. Euridice. Hermes
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 SALONE DEL LIBRO  2019



MILLEEUNLIBRO - SCRITTORI IN TV GIGI MARZULLO 





Il Mestiere del Dare
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24 dicembre 2019

I 5 impedimenti e la loro cessazione | Ajahn Sumedho


Consentire la cessazione dei "problemi" senza schierarsi dalla parte di nulla.

Praticando l'ascolto interiore, cominciamo a riconoscere il sussurro del senso di colpa, del rimorso e del desiderio, dell'invidia e della paura, della brama e dell'avidità. A volte ascolterete cosa dice la brama: "Vorrei, devo avere, devo avere, devo avere, voglio, voglio!" A volte non ha neppure un oggetto preciso. Può esserci una brama senza oggetto, per cui le troviamo un oggetto. Il desiderio di ottenere: "Voglio qualcosa, voglio qualcosa! Devo averlo, voglio ..." Ascoltate la mente, forse lo sentirete. Di solito riusciamo a trovare un oggetto per a nostra brama, per esempio il sesso, oppure passiamo il tempo a fantasticare. La brama può prendere la forma del cercare qualcosa da mangiare, o in cui immergersi completamente, del diventare qualcosa, o unirsi a qualcosa. La brama sta sempre di vedetta, sempre alla ricerca di un oggetto. Può essere un oggetto gradevole permesso ai monaci, come una bella veste o una ciotola o un cibo saporito.
Notate la tendenza a volerlo, a toccarlo, a cercare di procurarselo, averlo, possederlo, appropriarsene, consumarlo. 

E' la brama, una forza della natura che va riconosciuta; non condannata pensando "sono un individuo spregevole perché desidero", perché anche questo fa da rinforzo all'io, vi pare? Come se dovessimo essere completamente esenti da brama, come se esistessero esseri umani che non fanno esperienza del desiderio! 

Sono condizioni naturali che dobbiamo riconoscere e notare; non per condannarle, ma per comprenderle. Così cominciamo veramente a conoscere il movimento mentale della brama, dell'avidità, del ricercare qualcosa, come pure del desiderio di farla finita con qualcosa. Anche di questo si può essere testimoni, del desiderio di sbarazzarci di quello che abbiamo, di una situazione o anche del dolore: "Voglio farla finita con questo dolore, con le mie debolezze, con il torpore, con la mia irrequietezza, con la mia brama. Voglio liberarmi di tutto ciò che mi dà fastidio. Perché Dio ha creato le zanzare? Voglio liberarmi dalle seccature".

PRIMO IMPEDIMENTO
Il desiderio dei sensi è il primo degli impedimenti (nivarana)

SECONDO IMPEDIMENTO
Il secondo è l'avversione; la mente è ossessionata dal non volere, da irritazioni e risentimenti meschini, nonché dal desiderio di eliminarli. Quindi questo è un ostacolo alla visione interiore, è un impedimento. Non sto dicendo che bisogna eliminare l'impedimento - sarebbe avversione - ma che bisogna conoscerlo, conoscerne la forza, comprenderlo per esperienza diretta. Allora si prende coscienza del desiderio di sbarazzarsi di cose che sono dentro di sé, o attorno a sè, del desiderio di non esserci, di non essere vivi, di non esistere più. E' per questo che ci piace dormire, no? Perché per un po' ci consente di non esistere. Nella coscienza caratteristica del sonno, non esistiamo, perché la sensazione stessa di essere vivi viene a mancare. C'è un annullamento. E' per questo che alcune persone dormono molto, perché vivere è troppo doloroso per loro, troppo noioso, troppo sgradevole. Quando siamo depressi, dubbiosi, disperati, cerchiamo scampo nel sonno, cerchiamo di annullare i nostri problemi, estromettendoli dalla coscienza.


TERZO IMPEDIMENTO

Il terzo impedimento è rappresentato da stati come sonnolenza, apatia, ottundimento, indolenza, torpore fisico e mentale, ai quali tendiamo a reagire con avversione. Ma è sempre qualcosa che può essere compreso. L'opacità può essere conosciuta, la pesantezza fisica e mentale, il movimento lento, opaco. Osservate l'avversione per questi stati, il desiderio di sbarazzarvene. Osservate la sensazione di opacità nel corpo e nella mente. Anche la conoscenza del torpore è mutevole, è insoddisfacente, è impersonale.


QUARTO IMPEDIMENTO

L'irrequietezza è l'opposto del torpore; è il quarto impedimento. Non si è affatto opachi, né sonnolenti, ma viceversa agitati, nervosi, ansiosi, tesi. Anche qui può non esserci un oggetto specifico. Diversamente dalla sonnolenza, l'irrequietezza è uno stato più ossessivo. Si vorrebbe essere attivi, correre, fare questo, fare quello, parlare, andare in giro, agitarsi. E se dovete stare seduti immobili per un po' quando vi sentite irrequieti, vi sentite in trappola, chiusi in gabbia; non pensate ad altro che a saltare, correre in giro, darvi da fare. Anche di questo si può essere consapevoli [...]


QUINTO IMPEDIMENTO

Il quinto impedimento è il dubbio. A volte i nostri dubbi ci sembrano importantissimi, e ci piace dar loro parecchia attenzione. Siamo facilmente ingannati dalla natura del dubbio perché sembra molto reale: "Certi dubbi sono futili, è vero, ma questo è un Dubbio Importante. Devo conoscere la risposta. Devo essere sicuro. Devo saperlo assolutamente: meglio fare questo oppure qualcos'altro? Sto facendo bene? Dovrei andarmene o restare un altro po'? Sto sprecando il mio tempo? Ho sprecato la mia vita? [...]" E' il dubbio. Si può passare tutta la vita a chiedersi se sia meglio fare questo o quello, ma una cosa sola si può sapere: che il dubbio è una condizione della mente. A volte prende forme sottili e ingannatrici. Assumendo la posizione del "conoscitore", conosciamo il dubbio in quanto tale. Importante o futile che sia, è semplicemente dubbio, tutto qui. "Devo restare qui o andarmene altrove?" è un dubbio. "Devo fare il bucato oggi o domani?": è un dubbio. Non importantissimo, ma poi ci sono quelli importanti. "Sono già un sotapanna? (uno che ha raggiunto il primo livello dell'illuminazione). Ma cos'è in definitiva un sotapanna? Ajahn Sumedho è un arahat, un illuminato? Esistono ancora arahat al giorno d'oggi?" [...]
Ciò che possiamo sapere è che c'è il dubbio. In questo modo siamo il conoscere, conoscere ciò che si può conoscere, sapere che non sappiamo. Anche quando ignorate qualcosa, se siete consapevoli di non sapere, quella consapevolezza è conoscenza.
Sicchè, "essere il conoscere" significa questo, conoscere ciò che si può conoscere.


I cinque impedimenti sono i vostri maestri, perché non sono i guru esaltanti e radiosi che si vedono sui libri.

Possono essere alquanto volgari, meschini, sciocchi, irritanti e ossessionanti. E ci incalzano, ci punzecchiano, ci riducono a mal partito, finché non gli diamo l'attenzione e la comprensione dovute, finché non smettono di essere problemi. Ecco perché bisogna essere molto pazienti; dobbiamo avere tutta la pazienza del mondo, e l'umiltà di imparare dai nostri cinque maestri.

E CHE COSA IMPARIAMO?


Che non sono altro che condizioni della mente, che sorgono e passano, che sono insoddisfacenti, impersonali. A volte si ricevono messaggi importanti nella vita. Tendiamo a dare credito a questi messaggi, ma ciò che possiamo sapere è che sono condizioni mutevoli: e se abbiamo la pazienza di tollerarle fino in fondo, le cose cambiano automaticamente, per conto loro, e noi abbiamo l'apertura e la chiarezza mentale per agire spontaneamente, invece di reagire alle condizioni.

LE COSE FANNO IL LORO CORSO

Grazie alla nuda attenzione, alla consapevolezza, le cose fanno il loro corso, non c'è bisogno di sbarazzarsene, perché tutto ciò che ha principio, ha fine. Non c'è nulla da eliminare, bisogna solo essere pazienti e lasciare che tutto faccia il suo corso naturale verso la cessazione.
Quando siete pazienti, lasciando che le cose cessino, cominciate a conoscere la cessazione - il silenzio, il vuoto, la chiarezza: la mente è limpida, quieta, ed è vibrante, non cade nell'oblio, non è repressa o addormentata, e si può udire il silenzio della mente.
Consentire la cessazione significa essere molto gentili, molto delicati e pazienti, umili, senza schierarsi dalla parte di nulla: del bene, del male, del piacere, del dolore. L'accettazione gentile permette alle cose di cambiare secondo propria natura, senza interferenze. Allora impariamo a distoglierci dal desiderio di immergerci negli oggetti dei sensi. Troviamo la pace nel vuoto della mente, nella sua chiarezza, nel suo silenzio.


CONSENTIRE ALLE COSE DI CESSARE

Quando vi mettete nell'ordine di idee di avere tutta la pazienza del mondo per stare con le condizioni del momento, potete lasciarle cessare. Il risultato del permettere alle cose di cessare è che si comincia a sperimentare un senso di liberazione, perché ci si rende conto di non portarsi più appresso le solite cose. Quello che un tempo vi faceva arrabbiare, ora, con vostra sorpresa, non vi infastidisce più di tanto. Cominciate a sentirvi a vostro agio in situazioni che prima vi mettevano a disagio, perché adesso permettete alle cose di cessare, invece di tenervele strette ricreando così paure e ansie. Anche il disagio che vi circonda non vi influenza. Non reagite più al disagio degli altri irrigidendovi a vostra volta. È l'effetto del lasciar andare e consentire alle cose di cessare.   

(Tratto da "Oltre la morte: la via della consapevolezza", Ajahn Sumedho)

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Tutto ciò che accade, è perché deve accadere

"SII prima di ogni addio, come fosse dietro
di te, come l'inverno che adesso se ne va.
Eppure tra gli inverni c'è un inverno così infinito,che,
a svernarlo, il tuo cuore sopravvive per sempre." 

(RM Rilke)


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