04 settembre 2019

Il teatro della crudeltà di Antonin Artaud | Si salvi chi può!

Antonin Artaud nasce il 4 settembre del 1896

La mia prima lezione in Università, anno 1995. 

Tema del corso: Il teatro della crudeltà di Antonin Artaud.
Prime parole pronunciate dal professore, Docente di Storia del Teatro, Franco Ruffini:
"La nostalgia è l’affermazione di una tremenda e del resto ineluttabile necessità".
Le trascrissi con un po’ di soggezione sul mio taccuino e quelli furono gli unici appunti presi quel giorno.
Sullo sfondo bianco e vuoto e ampio a caratteri cubitali risuonavano, solitarie, tali parole.
Più che risuonare, per la verità, tuonavano. Inquietanti come un anatema.
Parole da meditazione.
Potenti di una visionarietà che avrei scoperto in seguito aderire così onestamente a quel controverso anelito che fu Antonin Artaud. Outsider allo stato puro a suo agio nell’utopia e nell’eresia, purezza - pazzia senza fissa dimora, nessuno schema può interessarla, ingabbiarla – docile solo al fremito di silenzio dentro le urla della disapprovazione culturale, storica e religiosa o all’immedesimazione totale del teatro-vita dove qualsiasi comodo ricorso a un'estetica compiaciuta e compiacente scompare per consacrare l’aderenza perfetta dell’arte alla vita.
Nessuna estetica può dimorare a lungo nella spazialità pura di carne e vita nel teatro di Artaud, nessuna finzione possibile. Il corpo non mente ed è dal corpo e nel corpo che lo stratega dell’anima incarnata ostenta tutte le sperimentazioni possibili per arrivare al grado zero di esibizionismo, il nulla immedesimativo del “metodo Stanislavskij”, quel teatro-laboratorio che sfuma nella vita senza troppi convenevoli.
Sì la vita ma quella sagace dei folli, degli analfabeti, non la messinscena dei burattini condizionati da convezioni eterodirette.



“Le idee che ho le invento soffrendole io stesso, passo passo, io scrivo soltanto ciò che ho sofferto punto per punto in tutto il mio corpo, quello che ho scritto l'ho sempre trovato attraverso tormenti dell'anima e del corpo.” (Antonin Artaud)

Allora, chiediamocelo, dov’è il vero teatro della finzione?
Chi sono gli attori e chi i viventi, viventi di vita vera perché capaci di morire, esseri che si muovono in autenticità spiazzanti e anticonformiste che non possono non passare per una rottura radicale dei linguaggi comunicativi. Certo, chiamarli pazzi è più conveniente! Poeti è più romantico e forse fa meno paura. 
Il paradosso è che nel teatro anti-descrittivo per eccellenza di Antonin Artaud ci finisce la “vita vera”, mentre il resto del mondo continua a indossare le maschere della vita sociale, culturale, religiosa, e via dicendo. Una contorsione pre-verbale risvegliante troppo audace, uno spasmo di dolore muto che le immagini in bianco e nero della Giovanna D’Arco di Carl Theodor Dreyer (La passion de Jeanne d'Arc) possono forse evocare meglio di qualsiasi descrizione possibile. Anzi non forse, è certamente così. In questo film considerato a ben vedere l’ultimo capolavoro del cinema muto (anno 1928) Artaud è presente nel ruolo di Jean Massieu (alla fine dell'articolo, posto il video integrale del film)































Il boato anticonvenzionale, illogico, poietico divampa nelle affermazioni di Antonin
Artaud,
profeta dell’oscurità rischiarante più che della luce già preconfezionata:

 
“Il linguaggio razionale grammaticale moderno attuale è  
troppo approssimativo con la sua maniera di stringere con chiarezza un falso soggetto esso obbliga a edificare soltanto nel repertorio delle cose chiare, ossia già rischiarare invece di andare a cercare nell’oscuro” … 

“Io so che quando ho voluto scrivere ho fallito le parole e questo è tutto. E non ho mai saputo niente di più. Che le mie frasi suonino in francese o in papuano è proprio ciò di cui m’infischio. […] Ma che le parole gonfiate dalla mia vita si gonfino poi da sole a vivere nel b a – ba dello scritto. È per gli analfabeti che scrivo”. (Antonin Artaud)




La crudeltà del teatro-poesia-vita di Artaud è più una ferocia che una crudeltà in senso psicologico del termine. È la necessità che muove in natura e che non ha criteri di buono e cattivo, giusto o sbagliato. Segue un ritmo, il vento sbuffa e può essere carezzevole o fomentare fuochi, è feroce ma non crudele.
Un vulcano in eruzione, un temporale che tuoneggia e fulmina, un uragano o uno tsunami, una tigre che sbrana la preda, è ferocia non crudeltà. Sposarsi a tale “bellezza” di turbamento è il richiamo dell’anima e la nostalgia non è che la sua solleticante ancella. I poeti non sono nostalgici per eccesso di passato, ma per mancanza di passato.
Nascono e muoiono in un presente che scelgono di sposare integralmente - eccola, la crudele ferocia! - e la nostalgia che indossano la spogliano con le parole che rilasciano, dopo aver compiuto senza indugio ma per "ineluttabile necessità" il rito sacrificale supremo: quello della rottura del silenzio con la parola-narrazione.
Ed ecco perché non tutte le parole fanno anima.

Certe parole dicono, certe altre danno. 
Certe parole chiacchierano, certe altre … rivelano. 
Il Poeta non sbaglia perché non ha paura di morire.
Si salvi chi può.  

“Si salva, però, l'uomo, che ha riconquistato la propria immortale libertà, e ha superato la soglia della colpa  sfidando Dio e il suo giudizio.” (Antonin Artaud)





illogicaMente, Cecilia Martino, prima edizione Il Filo, Roma 2006

Tanto mi rimasero impresse le parole dei miei primi appunti sul teatro di Artaud - senza capirle fino in fondo ma prendendole con me (comprendendole) come una promessa di intuizione, presentimento o avvertimento - che, più o meno 10 anni dopo, trovarono il loro spazio di riconoscimento e celebrazione nel libro illogicaMente, la mia prima raccolta di poesie che mi accingevo allora a pubblicare.
L’avvertimento non tardò a compiersi, e dura tutt’ora perché il non sense di un Poeta è sempre un grido trasfigurato che dimora nelle domande per lasciare risposte sempre nuove alla vita.

 “In ogni poesia vi è una contraddizione essenziale. La poesia è molteplicità triturata e che restituisce fiamme. E la poesia, che riporta l'ordine, risuscita dapprima il disordine, il disordine dagli aspetti infiammati; essa fa scontrare tra loro degli aspetti che riconduce a un unico punto: fuoco, gesto, sangue, grido.” (Antonin Artaud)


FILM MUTO LA PASSIONE DI GIOVANNA D'ARCO (1928)









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