08 luglio 2019

Le prime parole pronunciate dal Buddha dopo l'illuminazione


Secondo la tradizione le strofe 153 e 154 del Dhammapada sono le prime parole pronunciate dal Buddha dopo l'illuminazione.

Il Dhammapada, testo fondamentale del Buddhismo, fu scritto in lingua pali intorno al I sec. a.C. Dopo tre secoli di tradizione orale, risale nella sua forma attutale al III sec. a.C. e raccoglie in 26 capitoli e 423 strofe i detti del Buddha.

153
Correvo senza pace nel vortice senza fine,
cercando invano
l'architetto della casa:
è doloroso non potersi fermare mai.

154
Ora finalmente ti ho visto: non costruirai più,
poiché le travi si sono spezzate e il tetto è distrutto.
La mente si è liberata dal peso della materia
e ora non è più consumata dalla sete.





Le prime parole del Risvegliato non possono che essere in forma poetica, metaforicamente alludono alla distruzione dell'architetto-ego della casa-mente-Maya-Mara e alla liberazione dai condizionamenti e dagli attaccamenti che si producono mediante l'identificazione con i contenuti mentali e con la manifestazione dei fenomeni visibili. 
Lo stato di Risveglio non è che questa liberazione dall'identificazione con l'ego. 
Dal credere reale ciò che reale non è (contenuti mentali-emotivi consci, inconsci, subconsci, tutti sogni nel buddismo chiamati chittamaya, ovvero illusioni della mente), perdendo di vista (chiara visione) la dimensione essenziale della realtà (dharmadhatu), il Sé, l'essere, la base non nata. 




Non si tratta solo di una presa di consapevolezza che tali condizionamenti esistano - tale consapevolezza può rimanere infatti una consapevolezza di tipo personale, dunque, sempre nutrita dall'ego: chi prende consapevolezza di cosa? Piuttosto è una sorta di disvelamento spontaneo, Qualcosa che emerge naturalmente a seguito di una chiara visione in cui ciò che rimane non ha più connotazioni personali, ma richiama, accordandosi senza sforzo, a un gusto dell'essere totalmente libero, equanime, impersonale, beato, compassionevole, unificato con tutto ciò che è. 
Il silenzio supremo, che coincide con la meditazione senza sforzo, contemplazione e consapevolezza impersonale, non è l'assenza di suoni, bensì l'assenza dell'ego.





LA REALTÀ DELLO STATO NATURALE DELL'ESSERE sensibile, silenzioso, luminoso

"I maestri dell'Oriente concordano sul fatto che l'io muore quando il silenzio entra nel cuore. Come? Non per annientamento, ma per visione. Nella quiete del silenzio si vede che l'io è un'illusione. Lo psicotico che si crede Napoleone è guarito quando vede, capisce, che il suo io napoleonico è un'illusione. L'uomo guarisce quando vede, quando sperimenta che il suo io-centro, il suo io-separato, è illusione".

(Anthony de Mello, cit. in Compagni di cammino)




"La manifestazione dei fenomeni visibili 
non può essere impedita, 
ma se essi non vengono considerati concreti 
la nostra visione si manifesta come luce.

[...]

Dal vasto e chiaro spazio 
della dimensione essenziale della realtà
(dharmadhatu)
sorgono in tutte le direzioni i pensieri e i ricordi,
così come dall'oceano immobile
sorgono le onde e le increspature.
Chiunque abbia questa conoscenza
non necessita di alcun artificio:
rimanga naturale in se stesso!
Si è liberati nello spazio in cui non nascono
né beneficio né danno.
Poiché [la conoscenza]
sorge spontaneamente in se stessi
dallo spazio della realtà essenziale,
non è necessario nutrire invidia,
avversione o desiderio.
Se non si provano avversione o desiderio,
ecco che si manifesta la mente spontanea.

(Ma gcig, Canti Spirituali)































62-63
Nell'uomo che indugia assorto negli oggetti dei sensi, 
nasce l'attaccamento per essi; 
dall'attaccamento nasce il desiderio,
dal desiderio la collera; la collera conduce allo smarrimento,
lo smarrimento alla perdita della memoria
e la perdita della memoria  produce la distruzione dell'intelligenza;
e in seguito a questa distruzione l'uomo giunge a rovina



64-65
Ma colui che si muove fra gli oggetti sensibili
con i sensi sottomessi al Sé, 
esente dall'attaccamento e dall'avversione, 
questi, padrone di se stesso, perviene alla serenità.
La serenità genera in lui la sparizione del dolore;
e quando l'anima è serena, l'intelligenza è presto stabilita

(Bhagavad Gita)


























Il supremo modo di vedere è trascendere soggetto e oggetto.
La suprema meditazione è non essere distratti.
La suprema condotta è assenza di sforzo.
La realizzazione della meta è non avere né speranza né timore.

[...]




Se desideri attingere ciò che trascende l'intelletto e l'azione,
recidi la tua mente alla base e lasciala consapevolezza nuda.
Lascia che l'impura acqua dei pensieri si schiarisca.
Lascia la realtà fenomenica così com'è, 
senza affermare né negare.

[...]

La base di tutto è non nata, 
perciò è libera dal condizionamento delle tracce psicologiche.
Rimani nell'essenza non nata, senza orgoglio e calcolo.
Lascia che i fenomeni appaiano naturalmente
e le immagini mentali si dissolvano

(Il Grande Sigillo Mahamudra, Tilopa)

Viaggio nella terra di Naropa, Tilopa, Marpa e Milarepa




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05 luglio 2019

Impariamo a dare carezze























Impariamo a dare carezze, fisiche e verbali. 
A incarnare poesia. 
Quali sensi utilizziamo maggiormente? 
Quelli di prossimità (tatto, olfatto) o di distanza (vista, udito)? 
"Rimodulare la gerarchia dei sensi significa rivoluzionare la nostra relazione con ciò che ci circonda"... 
Quando tocchiamo siamo anche toccati, qualcosa si fa spazio, se si dà spazio...




Caro Heidegger, prendo in prestito le tue parole perché vibrano come sinfonia appropriata:

"Lo spazio fa spazio. Fare spazio significa sfoltire e render libero, liberare un che di libero, un che di aperto. Solo quando lo spazio fa spazio e rende libero un che di libero, lo spazio accorda, grazie a questo libero, la possibilità di contrade, di vicinanze e lontananze, di direzioni e limiti, le possibilità di distanze e di grandezze."




Non voglio essere guarita/o, consigliata/o, cambiata/o. 
Voglio essere abbracciata/o. Magari in silenzio, se mi ascolti per davvero. 
Empatia non fa rima con niente, se il corpo non vibra.
La meraviglia è quando tremi!
Libertà è dare, dare spazio - non a idee astratte, concetti mentali, falsi dei ma a incarnazioni di poesia, che è pura sensibilità. 
La meraviglia non è quando pensi, ma quando tremi!
Per questo c'è bisogno di poesia (e di contadini)della sua concretezza audace ma gentile, del suo grido ma trasfigurato.
La poesia non si legge con gli occhi, si accoglie nel corpo tutt'intero. Occorre apertura. Perché Poesia accoglie la vita così com'è, tutt'intera. Senza giudizio.
Gentilezza è apertura a ciò che è, affini al sentire e non blindati nel difendere punti di vista.
Punti di vista. 
Lasciamo stare i punti (tutt'al più teniamoci quelli esclamativi, del Vocativo che chiama) e liberiamo la visione.
Spostiamoci dal vedere al sentire, è una danza di coscienza, il perno chiave. Una possibilità di espansione, non di avere ragione a tutti i costi.
La poesia non dice ma dà, non è un genere letterario ma un mestiere del dare.
Sposiamoci al mistero della vita e non potremo che amarlo, invece di volerlo tradurlo letteralmente.
Diventiamo alternativi al letteralismo, sfioriamoci di pelle universale, ri-definiamo confini, prossimità e distanze con la veridicità di un corpo che palpita e non con la falsariga di una mente indottrinata. Ci scopriremo, forse, più fragili e vulnerabili e allora potremmo fiutare la vera vita sì, l'abisso dal quale emerge la compassione.
Questione di fiuto, appunto. L'ineccepibile odore del sentirsi a casa. 
Del sentirsi a casa ovunque
E non pretendiamo complici divini nella via più breve, né in traiettorie lineari perché a sorprenderci sarà sempre una deviazione di percorso, o un sentiero appena laterale … 



Ho respirato il sole, gli alberi, il vento e il lago
ne ho assunto l’intangibile
sfiorando l’aria luminosa con il pensiero
ne ho visto la quiete eterna
chiudendo gli occhi e volgendomi a me
ne ho pronunciato il suono
lacrimando un sussulto di Meraviglia
ne ho rispettato i tempi
rallentando i passi nel cammino
silenzioso
ne ho pianto il ricordo già sommesso
limitandomi a ricordare
l’inesistente
Tutto è qui e ora
il sole, gli alberi, il vento e il lago
non son diversi da me
da questo esile spirito che respira
assecondando dinamiche celesti



(Deviazioni di percorso da "Il mestiere del dare")







"La carezza è, o dovrebbe essere, la parola fra di noi che, più di ogni altra, ci aiuta a spiritualizzare e a condividere la nostra energia.
Una coltivazione delle nostre percezioni sensoriali, più in generale sensibili, può ridare alla nostra vita odierna, troppo frenetica e automatizzata, un ritmo più adatto al compimento della nostra incarnazione e alle relazioni fra di noi. Gran parte degli umani sacrifica sempre di più la propria esistenza a un'accelerazione inutilmente competitiva rispetto alle prestazioni delle macchine, unita alla preoccupazione del profitto. Dedicare tempo alla coltivazione delle nostre percezioni sensibili è un buon mezzo per ritrovare un ritmo più consono alla nostra identità umana globale, un ritmo che renda possibile l'incontro e lo scambio tra di noi in modo affettuoso, fecondo e felice." (Luce Irigary)


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01 luglio 2019

Georges Ivanovitch Gurdjieff | In sua presenza percepivo un'altra possibilità di ESSERE




Come potrei descrivere la vita di Gurdjieff? Al di fuori dei gruppi e dei movimenti, era una vita come quella di ogni essere umano. 

Non si atteggiava assolutamente a "Maestro", a "santo", a "saggio", a "colui che ha la conoscenza". Non faceva nulla che potesse dare l'impressione di un Maestro; al contrario, disorientava volontariamente i visitatori. Si poteva essere sensibili a ciò che emanava da lui oppure no. Era il lavoro fatto su di sé che consentiva di percepire la misura della sua reale essenza. 

Rivedo la figura forte, solida, le spalle ampie, la statura imponente. Da lui emanava un senso di grande pienezza e forza, con qualcosa di impalpabile ed estremamente sottile; era fluido e felino nei movimenti, il viso era schietto, calmo e grave, con tratti orientali, il colorito abbronzato. La sua "mole" era molto imponente, ma non era sottolineata da alcuna ostentazione.Era semplice, tranquillo, sempre vigile, attento, con una calma che mi ricorderà sempre un leone, un elefante, che per me sono i simboli che meglio rappresentano Gurdjeff per la sicurezza, la padronanza, la presenza immediata sempre pronta all'azione





























Il suo sguardo attento e comprensivo ha immediatamente suscitato in me un senso di 
fiducia. Mi sono sentita riconosciuta, veduta come veramente ero, nono come un oggetto, ma come un essere nella sua piena interezza. 

Totalmente presente, lasciava a ciascuno la propria completa individualità. Il che non gli impediva di colpire con precisione con un semplice sguardo che inchiodava sul posto, rimarcando la manchevolezza che stava per manifestarsi con una battuta, un'osservazione o una collera che poteva assumere la forma di un uragano. Ma poteva anche essere di un'estrema dolcezza con qualcuno. Io non ho mai trovato in lui rigidezza o inflessibilità.

Lo vedo come un profondo asceta, un samurai, un maestro Zen, un uomo sempre in cammino, un grandissimo artista e un nonno.

Spesso mi è sembrato un leone: dal suo ventre, dalla parte più profonda del suo essere proveniva un suono sordo, che rimbombava come se la terra stessa tremasse. Poteva essere sia il vento sia, da un istante all'altro, una tigre, pronta ad agire qualora la situazione lo richiedesse, cambiando personaggio, adattandosi con naturale fluidità, come l'acqua o l'aria, con un'arte straordinaria, alla maniera di un abilissimo e consumato attore e di un guerriero irreprensibile.

Appariva distrattamente assorto, come un felino che sta riposando, sempre pronto a scattare ad agire; attento a tutto, anche quando riposa. Così percepivo la sua vita: mai agitazione, ma precisione e vivacità straordinarie, quando era necessario. 
Infine l'ascolto silenzioso del suo essere, tutto proteso a comprendere, mi faceva provare il senso della mia vera esistenza, proprio della mia. Ogni atteggiamento o gesto in sua presenza differiva da quelli che avevo abitudinariamente. 
Io percepivo un'altra possibilità di ESSERE.



Non dimenticherò mai come accanto a lui sentissi di stare a casa mia e come la mia mente fosse libera. In nessun altro posto ho sperimentato questo. In me erano scomparsi paura e dubbio; stavo vivendo una vera vita, una vita calma e piena. Si trattava semplicemente di questo: vivere. 

L'insegnamento di Gurdjeff non si trasmetteva mai attraverso esposizioni discorsive. Noi ponevamo domande in base a ciò che provavamo, osservavamo su noi stessi, sugli esercizi finalizzati alla presa di coscienza. E seguendo le nostre osservazioni e constatazioni, lui a volte poneva una domanda per farci precisare qualcosa e ci forniva una direzione di ricerca, attraverso un compito o una semplice osservazione che ci metteva di fronte a noi stessi. 

Si limitava soltanto a rispondere alla domanda che gli veniva posta; ma attraverso un atteggiamento, un'espressione, un tono di voce trasmetteva alla sfera del sentimento qualcosa che il pensiero ordinario non avrebbe potuto intendere né comprendere perché con le parole l'intelletto e il meccanismo associativo della mente si sarebbero messi a discutere, a razionalizzare.

A volte prendeva di mira un atteggiamento, un gesto, una parola. Non si comprendeva immediatamente quello che stava dicendo in quel momento. Si subiva lo shock senza poterlo spiegare, ma era talmente vero da non potersi discutere. Si era disarcionati, i mezzi abituali di difesa non erano utilizzabili.

Osservavo come aiutava ciascuno, individualmente, con un'osservazione, un esercizio, come trattava impietosamente certi aspetti del comportamento della personalità e come, nel medesimo tempo, dava un calore, un impulso al sentimento. Il tutto, contemporaneamente, per tutti.

La verità davanti a lui era come fosse tagliata col coltello, la minima deviazione, menzogna o omissione erano denudate con un'osservazione o un silenzio.



Il suo rigore nell'esercitare l'attenzione incoraggiava alla sincerità con noi stessi e ci poneva davanti la debolezza e l'incapacità persino di essere sinceri nel faccia a faccia con il nostro io.

Il suo atteggiamento e le sue parole mostravano prospettive nuove, un'angolazione che ampliava l a nostra comprensione, un aspetto che non avevamo visto, e rimetteva in questione il giudizio su noi stessi, sugli altri, su una situazione, sul nostro modo di vivere, sulla vita.

Sempre lo osservavo e sempre lo vedevo "in ascolto" dell'inespresso, di quanto c'era dietro le parole. Dall'espressione del suo viso mi rendevo conto di come provasse a sentire e a capire la domanda non formulata, la non-comprensione o il rifiuto altrui.

Sentivo anche la sua sofferenza per gli altri, la sua tristezza davanti alla loro incapacità di comprendere o di voler comprendere, ma anche la sua gioia di fronte a una vera ricerca. Bisognava proprio usare il massimo dell'attenzione per accorgersi di questo, poiché Gurdjeff non manifestava nulla; ma io ero sempre molto attenta alle sue espressioni e a quelle degli altri.




Spesso lo sentivo pronunciare questa frase: divenire adulti con i propri mezzi, e il suo riferimento alle radici familiari ci faceva sentire il legame con i nostri congiunti, la responsabilità nei confronti dei genitori, dei nonni, di tutta la nostra progenie. Avevamo ricevuto tutto da loro. E poiché noi potevamo trasformare il nostro psichismo, il nostro essere e sviluppare la nostra coscienza, di conseguenza avremmo potuto contraccambiare, trasformando qualcosa per loro stessi. Con questo lavoro si aiutano i propri genitori e la propria cerchia familiare. 

Attribuiva una grande importanza a questo, e diceva che dobbiamo diventare i genitori dei nostri genitori divenendo adulti con i nostri mezzi. Diceva che ogni relazione è il risultato fra due esseri e che noi ne siamo responsabili. 

La qualità della natura di Gurdjeff e del suo insegnamento, quando ne feci la conoscenza, ha suscitato in me il sentimento che può provare un naufrago in alto mare quando scorge la terra. Ne ho tratto tranquillità, fiducia, e il mio pensiero, il mio bisogno di comprendere hanno ricevuto un nutrimento estremamente importante. 

Le mie percezioni, intuizioni e riflessioni trovavano conferme senza alcuna spiegazione intellettuale. Si manifestava una comprensione più coerente del completo funzionamento dell'essere, con nuovi apporti di conoscenza; una nuova dimensione ampliava la mia visione dello sviluppo dell'essere.

Bisogna essere stati in presenza di Georges Gurdjeff per poterne capire la grandissima conoscenza, la profonda comprensione, la bontà, l'amore per gli altri, la semplicità. Il suo rigore proveniva dal suo ruolo di maestro nel guidare la mente, nel favorire il risveglio e il raggiungimento del pieno sviluppo.

Il suo agire dentro la situazione e nell'immediatezza dell'istante, senza sbagli, senza errore e soprattutto senza giudizio.





PAROLE DI GEORGES GURDJIEFF

"Qui non ci sono né russi, né inglesi, né ebrei, né cristiani, ma unicamente uomini che perseguono un medesimo fine: ESSERE CAPACI DI ESSERE.

"Bisogna saper sacrificare ogni cosa, ivi compreso se stessi. La conoscenza ha il suo prezzo da pagare. E quel prezzo è se stessi".

"Quando IO SONO, non esistono né Dio né il Diavolo".




BREVI NOZIONI DI QUESTO INSEGNAMENTO

E' una scuola di presa di coscienza di sé, di conoscenza di sé.

Insegna a divenire coscienti dei condizionamenti e degli automatismi in cui viviamo, e lavorare per liberarsene.

I fattori ereditari, la tipologia, la cerchia in cui si vive, l'educazione, i traumi della vita potranno fare di un uomo un'opera d'arte, uno zombie, un robot, un essere umano o qualsiasi altra cosa. 

Il lavoro su di sé mira a liberare l'essere da ogni identificazione, da ogni tipo di rappresentazione sentimentale e culturale.

Non ci si deve estraniare dalla vita e dal mondo, ma al contrario bisogna imparare a vivere in esso pienamente e coscientemente, sul piano sociale, professionale, nella famiglia e nell'ambiente circostante.

Nello stato di veglia il sonno è caratterizzato dall'automatismo delle associazioni, del sognare, del fantasticare. Arrivare a stabilire il contatto con il proprio "sé" costituisce un'autentica ascesi. Significa intraprendere un cammino fuori dal comune. 

Secondo una delle conoscenze più o meno perdute, l'essere umano deve risalire la corrente che lo trascina. Andare controccorrente è il risveglio di cui parlano tutte le tradizioni. 


Bisogna prendere coscienza che ci si lega a tutto: gioie, sofferenze, ricordi, desideri e ribellioni, dalle più grandi alle più piccole cose. L'attaccamento è profondo, vi si è presi senza saperlo e poi compaiono le deviazioni emozionali, sempre senza saperlo. 

La nostra struttura caratteriale elaborata sin dall'infanzia, indurita o addolcita dall'ambiente sociale, fa sì che ogni parola, ogni tono di voce, ogni atteggiamento fisico o emozionale trasmettano un senso.
Ecco, è qui che "il lavoro su di sé" diventa un lavoro di liberazione da ciò che siamo abitualmente, automaticamente, nei propri atti, parole e gesti, in modo che si possa essere se stessi e non degli automi.

(Tratto da Solange Claustres, G.I. Gurdjieff e la Presa di Coscienza - Ho riportato i corsivi esattamente come sono nel libro di Solange - I grassetti sono invece una mia aggiunta per rendere più leggibile il testo)


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Il brindisi agli idioti - 
Il significato di "idiota" per Gurdjieff



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