Tra le sue muse ispiratrici: Lhasa, Ella Fitzgerald, Aretha Franklin, Ali Farka Touré, Oumou Sangaré, Maria Callas, Nina Simone. Tra i luoghi e i ritmi ispiratori, oltre a quelli delle sue radici berbere marocchine, ovviamente (e pensiamo ai deserti sconfinati dell'Atlante e alle profondità dell'Oceano): America Latina, Brasile, India, Gitani del Sud di Spagna ovvero Andalusia. Madre cantante, padre soldato, bisnonno danzatore che praticava la trance, un invito a "pensare a dei gitani che vivono in una casa" ... Lei è una delle prime artiste donne a cantare in lingua berbera, una lingua antica 6000 anni, propria della cultura amazigh, la cultura degli "uomini liberi", e a portarla in giro per il mondo non senza un certo orgoglio. Non senza un sincretismo che fino ad ora forse mai nessuno aveva osato. Mai nessuna aveva osato. L'ardimento è donna. Cosa ci si può aspettare, d'altronde, da una creatura con il nomadismo impresso nell'anima, erede del retaggio tribale tuareg e insieme cultrice appassionata della raffinatezza bohémienne della sua città d'adozione, Parigi?
Il nuovo album si intitola "Homeland", richiama alle Origini ben oltre il senso puramente territoriale del termine e, soprattutto, arriva dopo ben cinque anni di distanza dal primo ("Handmade"), un tempo di solito considerato pericolosamente impraticabile per gli artisti, emergenti o sulla cresta dell'onda. Ma lei già "Handmade" l'aveva fatto da sola, da buona outsider qual è, seguendo pazientemente i suoi tempi, ascoltando coraggiosamente i suoi ritmi, nutrendosi di solitudine e natura e di tutto il tempo necessario, senza fretta, perché avere cura dell'"ogni cosa a suo tempo" è un'arte anche quella. Arte che sciamane e sciamani connessi ai cicli naturali conoscono fin troppo bene.
"Handmade", fatto in casa, artigianale come un focolare che nutre attorno al fuoco dell'attesa. E suona come una dichiarazione d'indipendenza, rimbomba come un tamburo nel silenzio di un cielo stellato dove non c’è altra cosa da fare che danzare. Perché la danza appartiene ad Hindi come il calore al fuoco, puoi forse separarli? Lei ci tiene a sottolinearlo che tutta la musica è trance, è danza, elementi imprescindibili se si fa musica “non per giocare, ma per avere qualcosa da trasmettere”. “Si fa musica ma non si gioca con la musica” – e quando lo dice diventa serissima, nel suo volto sopraggiunge l’enfasi di chi ti sta dando un avvertimento direttamente tratto dal mondo dell’invisibilità, dove tutte le cose prendono forma e l’ispirazione diventa missione. E, a seguire una chiamata che ti ulula nelle viscere non importa se passa un giorno, due mesi o cinque anni, perché diventa cruciale lasciarsi il tempo per "morire" e potersi così ri-creare partendo da una nuova fonte di energia creativa. L'originalità è un'audacia che poco ha a che fare con l'esibizionismo e Hindi Zahra la incarna letteralmente alla perfezione. Di nuovo, Origini, radici, terra, avi, antenati ... Homeland.
"Dopo due anni e mezzo di tour in cui ho incontrato moltissime persone a cui dovevo anche riuscire a dare la mia energia, sono arrivata al punto in cui questa energia doveva essere rigenerata. Per me è molto importante che la gente osservi dopo un'ispirazione. Sono convinta che sia meglio creare le condizioni affinché l'ispirazione arrivi, preparare anche un luogo affinché l'ispirazione arrivi più facilmente senza doverla cercare a tutti i costi. La natura porta al silenzio, alla pace e, in questo senso, anche all'ispirazione. Quindi, volendo realizzare un nuovo album, avevo bisogno di una nuova me. In un periodo di circa due anni, a Marrakech dove nessuno mi conosceva, ho fatto questo lavoro di ricerca su me stessa, le mie origini, su quello che voglio dare alla gente, perché non si deve giocare con la musica."
Hindi Zahra è una grande maestra dalla sapienza ancestrale e ha la grazia di non lasciarlo a intendere. Per questo è ancora più grande. Lei sa, la sua anima, come la sua voce e come ho scritto altrove "è trasversale ai mondi". Un privilegio ascoltare la sua musica, un dono incredibile assistere ai suoi concerti che sono veri e propri rituali, cerimonie in cui lo scambio tra chi ascolta e chi canta diventa palpabile come impugnatura di coltello tra le mani del vento. Non c'è momento più importante che quello del "live" per Hindi, il coinvolgimento totale del pubblico che è anche addestramento alla giocosità propria di ogni anima selvaggia. E lei sa bene come fare perché "più ti diverti tu sul palco, più si diverte chi ti guarda e ascolta". L'esplosione di gioia è sempre una scorciatoia verso dio, qualsiasi volto gli si voglia dare o non dare e in qualsiasi modo lo si voglia intendere. In questo scambio, in questa sorta di contagio emotivo ed empatico, Hindi intravede l'aspetto più spirituale dei suoi concerti e del contatto con il pubblico.
La gestualità di Hindi Zahra è la partitura più straordinaria di chi vive nella sua arte talmente integra e fedele a se stessa da potersi persino trascendere. La musica di Hindi è World Music come si dice nelle etichette discografiche ma lo è nel senso più ampio del termine, è Musica Universale, inseminata dallo spirito libero di ogni vera narrazione possibile. Hindi è una inebriante cantastorie, gitana con le frontiere sciolte come i capelli lunghi che le scivolano sulle spalle, sa come portarti a cavallo tra i mondi (visibile e invisibile), sa che la Creazione è sempre un atto di fuoriuscita da sé: out of mind, la trance non porta forse a questo?
Non è certo per vezzo folkloristico che il suo corpo a un certo punto non può fare a meno di scomporsi nelle danze della sua Moroccan Trance. E’ vitale, non accessorio da performance fine a se stessa. “Ho una ossessione per il ritmo”, ammette. E come potrebbe essere altrimenti!
Meravigliosa donna con il tumulto dei cieli che ti gravita dentro! Tu sei ritmo, vibri con l’universo e incarni senza fronzoli la passione che ti smuove. Mi fai venire in mente la bellissima frase del libro “Le Onde” di Wirgina Woolf “Sono di volta in volta maliziosa, allegra, languida, malinconica. Sono ben radicata, eppure fluttuo”.
Ben radicata, eppure fluttuante. Mai onda anomala nel maremagnum dell’esistenza ha avuto un nome così seducente: Hindi Zahra.
Non è certo per vezzo folkloristico che il suo corpo a un certo punto non può fare a meno di scomporsi nelle danze della sua Moroccan Trance. E’ vitale, non accessorio da performance fine a se stessa. “Ho una ossessione per il ritmo”, ammette. E come potrebbe essere altrimenti!
Meravigliosa donna con il tumulto dei cieli che ti gravita dentro! Tu sei ritmo, vibri con l’universo e incarni senza fronzoli la passione che ti smuove. Mi fai venire in mente la bellissima frase del libro “Le Onde” di Wirgina Woolf “Sono di volta in volta maliziosa, allegra, languida, malinconica. Sono ben radicata, eppure fluttuo”.
I feel a thousand capacities spring up in me.
I am arch, gay, languid, melancholy by turns.
I am rooted, but I flow
(Virginia Woolf)
Ho scritto di Hindi anche qui, dopo il concerto di Torino del 9 luglio. Era la seconda volta che la vedevo esibirsi dal vivo ma … non sempre gli occhi che abbiamo aperti sul mondo ci fanno vedere le stesse cose!
FUORI DAI LUOGHI COMUNI