28 maggio 2019

La Libertà della Poesia | A Firenze la scultura marmorea che ha ispirato la Statua della Libertà


Statua fiorentina di Liberty conosciuta come "La libertà della poesia" di Pio Fedi
è una tomba di Giovanni Battista Niccolini, Basilica di Santa Croce

Sprofondare nella terra del non-ritorno. 
Questa è Poesia. 
Questo è davvero il “mondo libero”.


La Libertà della Poesia è una scultura marmorea di Pio Fedi, eseguita tra il 1870 e il 1883 e facente parte del monumento funebre a Giovan Battista Niccolini nella basilica di Santa Croce. Fu probabilmente la fonte di ispirazione più vicina alla celeberrima Statua della Libertà di Auguste Bartholdi. Infatti l’opera fu sicuramente vista da Viollet Le Duc, architetto e scultore che più volte visitò Firenze in quel periodo. Egli, col suo allievo Auguste Bartholdi, costruì a partire dai primi bozzetti, proprio del 1870, lo scheletro per la scultura monumentale della Statua della Libertà, che la Francia donò agli Stati Uniti nel 1889 e che oggi è tra i simboli più noti di New York e del "mondo libero".  Accanto a un cippo con ritratto del poeta di profilo entro un medaglione, si erge la figura all'antica della Poesia, essere femminile drappeggiato, indossante una corona di raggi e con il braccio destro sollevato, che tiene una catena spezzata. La mano sinistra, abbassata, tiene invece una ghirlanda di alloro, allusione all'incoronazione poetica. Tali similitudini formali con la statua newyorkese ne fanno sospettare una possibile derivazione, seppure con esiti formali diversi. (Fonte Wikipedia)


Il sogno del poeta, o, Il bacio della Musa - Paul Cézanne

Oltre che gli “esiti formali diversi”, è interessante abbracciare il richiamo invisibile di questa scultura che nella versione newyorkese è diventata simbolo di una libertà ben più superficiale che nella versione fiorentina.

Dialogare con questa bellissima immagine non risuona forse con la libertà che la visione poetica del mondo risveglia?

Liberiamo il poeta, il mistico, il sacro che è in noi!
Non sono immagini astratte sganciate dalla realtà queste, e tantomeno immaginazioni suggestionanti. 
Liberare il Poeta che è in noi vuol dire far riemergere dagli abissi dell’errata visione (logocentrica, materialistica, dualistica - in sanscrito avidya e nel buddhismo chitta maya ovvero inganno della coscienza) qualità spiccatamente poetiche e unificanti quali la gentilezza, l’accoglienza, la pazienza, la non violenza.

Liberiamo il poeta, non il colonizzatore che è in noi! Non l’evangelizzatore, non il sapiente saccente, non il politico, non il filosofo, non l’intellettuale, non il retorico. No! Il Poeta. Che è un mistico, uno sciamano, una benedizione vivente. Il Poeta a sua volta ci renderà davvero liberi, non finti liberati avviluppati in schiavitù sempre diverse. Non a caso Poesia è raffigurata come essere femminile drappeggiato.

Poesia è mistica femminile per eccellenza, è atto fecondativo, il che non ha niente a che vedere con il genere sessuale bensì con qualità energetiche, spirituali.
Stare poeticamente al mondo, ovvero tornare all'essere anima che spezza le catene dei condizionamenti e dei soprusi egoici, è davvero l'unico atto rivoluzionario possibile ai fini del risveglio di una nuova umanità. 
È una presa di coscienza. (Cediamo la strada agli alberi, abbiamo bisogno di poeti e di contadini). Si sposa con la gratitudine di Essere e fa dell’amore molto più che un teorema da spiritualisti accaniti o da accademici plurilaureati. Ci ricollega all'anima del mondo, ci rende spontaneamente bio-etici, perché ci risveglia alle radici essenziali della vita. 
Radici, non nuvole passeggere. 
Linfa vitale, non surrogati esistenziali.

Le Cave di Orfeo

L’incoronazione poetica e l’alloro quale simbolo è una bella metafora di iniziazione, salvo concedere all'Iniziazione tutta la pregnanza a cui rimanda il suo etimo e non altre divagazioni esoteriche. (Leggi: Cosa vuol dire essere degli Iniziati).

Accordiamoci con il monito di Rilke “la vita comincia ogni giorno così intriso di quell’Adesso advaita (non duale) che spezza i vincoli del tempo (passato, futuro e presente interpretato) lasciandoci liberi di essere, momento per momento, sempre nuovi alla vita, spiritualmente vergini, creativamente vitali. Svegli, non dormienti (Leggi anche: Buona parte della vita si svolge nello stato di sogno).

Poeticizzare è universalizzare, fare dei propri vissuti personali un canto e non una malattia, trasmutare le angustie di ciò che chiamiamo destino in cibo per l’anima. Ecco perché il poeta non sbaglia mai.

Poesia indossa la corona raggiante di una rivoluzione pacifica, silenziosa, che sprofonda nell'interiorità per manifestarsi spontaneamente all'esterno con intelligenza intuitiva funzionale a ciascuna circostanza. È radianza che sgorga spontanea dalle Origini (per questo sa essere davvero originale), è Noesis, Intuizione, pensiero del cuore. Tao.



Nessuna liberazione autentica proviene da fattori esterni. 
Le vere conquiste utili a risvegliarsi dal sonno dell'ipnosi collettiva del materialismo, sono quelle interiori che spostano l'attenzione dal piccolo mondo individualistico degli attaccamenti personali al più esteso universo dell'inter-relazione, a una visione più universale che espande i nostri confini, le nostre barriere, le frontiere della separazione…

"Raggiungere le frontiere dell'essere non è come sperimentare i propri limiti. Impegnarsi completamente in tale impresa, che richiede di sprofondare nella terra del non-ritorno, non è come provare un po' di yoga, di advaita e di tantrismo."   (Raimon Panikkar)

Sprofondare nella terra del non-ritorno. Questa è Poesia. Questo è davvero il “mondo libero”.

Le sere azzurre d'estate, andrò per i sentieri,
Punzecchiato dal grano, a calpestare erba fina:
Trasognato, ne sentirò la freschezza ai piedi.
Lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.

Non parlerò, non penserò a niente:
Ma l'amore infinito mi salirà nell'anima,
E andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro,
Nella Natura, - felice come con una donna.

(Sensazione, Arthur Rimbaud)




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24 maggio 2019

Buona parte della vita comune si svolge nello stato di sogno


"Buona parte della vita comune si svolge nello stato di sogno. Pochi sanno dove ha inizio il regno dei sogni, conoscono dov'è il confine e stanno davvero attenti a non varcarlo, anzi pochissimi: giusto coloro che hanno un’istruzione e un istinto metafisici. Scarsi nomi è dato di elencare di uomini adeguatamente preparati: metafisico è un pugno di esseri illuminati entro uno stuolo immenso di ignari. I più vivono nel sogno e non sanno nemmeno quante volte e a qual punto ogni giorno varchino il confine che scinde la realtà dai sogni"

(Elemire Zolla, "Discesa all'Ade e Resurrezione")


"A volte la vita sembra un gioco crudele. La sola giustificazione per questo è che la realtà è solo un sogno. Realizza la presenza dell’infinito. Nel profondo del tuo essere realizza questo, indipendentemente da ciò che i tuoi pensieri comandano."

(Paramhansa Yogananda, Inner Culture, aprile 1941)





versione integrale

Strani sogni i sensi miei
strana notte in un involucro di piuma
ad alleggerire i pensieri della sera
lascia andare mi dicono mi dico
e così sia ma dove vanno a finire
le sintesi del giorno se non 
nelle antitesi della notte
strana notte
a ricordarmi che sono anche corpo
vivo di amazzone
avido un tempo di sangue
di dolce vita rubata a un film
in versione integrale
strani risvegli
di città in città lo stesso finale
lascia andare
non c’è niente che non sia
dove tu sia stata
e mi arrendo all’estremo
di una poesia, la mia













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12 maggio 2019

Poesia è mistica femminile per eccellenza | Fecondarsi di stupore per la vita


Il linguaggio universale delle emozioni non può che essere di timbro poetico per questo la Poesia che è mistica femminile per eccellenza, ha anche una qualità salvifica rigeneratrice, se solo la si lascia agire.
Una delle intuizioni che è maggiormente evidente nel libro Il mestiere del dare, a cui allude anche il titolo, è quella dello svuotamento, di dimorare nel vuoto, dare e darsi spazio, dare voce alle profondità invisibili che sono il dialogo perduto con l'anima.
Forse è per questo che c'è una sorta di timore o reticenza a fruire poesia, perché di guardarsi dentro e a fondo si ha sempre più paura, ed è come se fosse un genere letterario di serie B o comunque qualcosa di minore …
Un pregiudizio ancora in parte vivo anche negli ambienti editoriali ma...
il fatto è che la Poesia va ben oltre il genere letterario essendo più che materia accademica, materiale vivente che trasforma, in grado di apportare cambiamenti incredibili nella vita, qualcosa di molto concreto dunque, e non di effimero, di esteticamente romantico.
Visione poetica è sancire il matrimonio mistico con se stessi, innamorarsi della vita così com'è, stare a proprio agio in ogni situazione con sguardo amorevole, compassionevole, celebrativo e contemplativo.




Leggendo i miei due libri è possibile fare esperienza di questa "resa alla meraviglia della vita così com'è" in quanto in un poetare autentico è molto presente quella riduzione della soggettività che rende accessibile a tutti il vissuto personale. 
Se ritengo i miei libri davvero "originali" non è per vanagloria ma perché la loro ispirazione muove dall'Origine, da quel luogo di prossimità invisibile da cui un poeta può solo porsi in ascolto e attendere. Attendere che dal silenzio le parole accadano.
Ringrazio Aracne editrice per aver accolto il mio progetto poetico da subito, scommettendo coraggiosamente ancora sulla Poesia.

Cosa dicono i lettori del mio libro.


"Poi Morgan dice di avere scoperto che si dedicano 3 ore al cibo, 6 al sonno, 4 ore al lavoro, 2 all'amore.
Lytton dice 10 ore all'amore. Io dico all'amore tutto il giorno.
Lo dico vedendo le cose attraverso un'ombra purpurea." (Virgina Woolf) 


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07 maggio 2019

Intelligenza Artificiale | L'algoritmo che genera poesie


"Una rete neurale è stata negli anni educata a produrre poesia. Per farlo è stata nutrita con 25 milioni di parole usate da poeti del XIX secolo. Ora tutto questo produce “poemportraits”, il nuovo esperimento frutto della collaborazione del laboratorio Arts & Culture di Google con il programmatore Ross Goodwin e la scenografa Es Devlin. Goodwin ha creato l’algoritmo che genera automaticamente la poesia; è possibile alimentare il sistema con una propria parola, ci si scatta un selfie e l’algoritmo poeta ci scrive sulla faccia un breve poema composto attorno alla nostra parola chiave. Diventerà per un po’ il nuovo passatempo social, ma l’esperimento non è banale, si tenta di insegnare all'intelligenza artificiale a dialogare con gli umani attraverso metafore, la ricerca di una dimensione poetica come comune terreno d’incontro è molto interessante. L’dea ricorda un teoria di Borges per cui esiste un numero definibile di “metafore essenziali”, con le quali è possibile costruire qualsiasi astrazione. Attraverso le radici comuni della poesia universale le macchine intelligenti saranno così “educate” a interagire con la parte più profonda della nostra condizione umana".

(di Gianluca Nicoletti - Da La Stampa del 7 maggio 2019 "Obliqua-mente - L’algoritmo che genera poesie, così l’intelligenza artificiale dialoga con l’uomo") 


Sì MA … 

Cos'è che persino l'"algoritmo poetico" non potrà mai fare?  





Emozionare ed emozionarsi … (EMOVERE)

Cos'è che rende un uomo davvero Poeta? Anzi, che lo fa tornare alla sua propria natura poetica, che è uno stato spontaneamente creativo dell'essere?
Un avatar potrà attingere a tutto il bagaglio di "metafore essenziali" e di parole poetiche utilizzate dai maggiori scrittori di tutti i tempi, ma non sarà mai un autentico poetare perché Poesia non è un mestiere letterario ma un mestiere del dare.  
Dare spazio all'intuizione, a una intelligenza emotiva che non ha variabili computerizzabili, perché gioca con regole squisitamente umane, imprevedibili, illogiche più che emotivamente logiche e, per questo, squisitamente divine. 
Poetare è generare - diceva Novalis - e non è un partorire belle parole, o metafore sapientemente scelte, o ritmi caparbiamente cercati nel dialogo artefatto di una macchina, pur "intelligente" che sia.
Il vero mestiere di un poeta è quello di dare spazio a profondità che fanno tremare il corpo. Il corpo, appunto. Carne e sangue, materia organica. E energia vitale, senza scomodare il "prana" della filosofia orientale, chiamiamolo pure respiro di vita. 

Niente di astratto, quindi, ma di molto concreto. Vitale. 
Poesia è rigenerazione cellulare, emozione - letteralmente, portare fuori, smuovere (dal latino ex = fuori + movere = muovere) che - consapevolmente accolta e amata - trasforma, cambia prospettiva alla vita. 
Poesia è visione, incarnata in pelle, ossa e muscoli.
La "delizia poetica" trasfigura i corpi, spiritualizza la materia verrebbe da dire parafrasando molti mistici, filosofi e autentici ricercatori dell'anima che ne furono portatori sani (San Francesco, folle divino colmo di letizia poetica, Sri Aurobindo acuto pensatore e poeta assoluto della vibrazione mantrica, solo per citarne alcuni).
E' alchimia che utilizza il "fango" di un materiale vivente per farne oro. 
All'algoritmo, pur sopraffino che sia, mancherebbe proprio questo "fango".
E senza materia oscura nessuna luce è possibile.



"Sebbene ignorata dai media, sta emergendo la magia naturale insita nel nostro cervello, data dalla materia bianca che compone la sua porzione più cospicua; è materia organica con abilità straordinarie … " 
(Giuliana Conforto, Cambio di Logica)



Interessante l'esperimento? Sì, può darsi. Perché non fa che confermare quanto la Poesia sia necessaria come l'aria che respiriamo e non un passatempo per spiriti romantici, quanto essa sia ben più che un genere letterario da riqualificare bensì una visione del mondo da riscoprire: quella che ci avvicina allo stato naturale più prossimo alla nostra origine, all'essere più che al fare.
Una visione intrisa di gentilezza, armonia, ritmo, ascolto profondo, accoglienza, compassione, fluidità. Un bagaglio prezioso di cui ha bisogno l'umanità, mai come in questi tempi.
In una parola: Coscienza. 



Rilke nella VI Elegia evoca la “pienezza del cuore” quale segreto di un'intimità poetica che si compie nel momento succulento dell’adesso.
"Cosa cerchi?" Chiedevano a Diogene, il "Socrate pazzo" che girava con una lanterna accesa anche in pieno giorno. "Cerco l'uomo", rispondeva il saggio … 

Altro che passatempo social!








Il poeta distilla da ogni forma la divina funzione. 
Ogni piccola cosa rende eterna. 
Per lui è oro ciò che per gli altri resta fango 
forse perché a quell'oro non dà peso e se un altro lo ha preso, 
il furto lo diverte come vedesse rubare un tramonto!  
(Emily Dickinson)


Altri spunti di riflessione sulla Poesia, dal mio Blog

Essere poeticamente al mondo, manifesto per un'etica del quotidiano

Per scrivere belle poesie, bisogna essere tristi?

Cediamo la strada agli alberi. Abbiamo bisogno di contadini e di poeti

Perché il poeta compone versi? La visione taoista del Wu-Wei 

La lanterna di Diogene, una vita senza fiuto

Dicono di me:
Scrivere poesia giova fortemente al senso del ritmo | Il mestiere del dare di Cecilia Martino



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02 maggio 2019

Scrivere poesia giova fortemente al senso del ritmo | Il mestiere del dare di Cecilia Martino


Cecilia Martino ha una sua, altra espressività di scrittura. Opportuna, direi. Ampia ed efficace: come possa esistere questo binomio è tradotto ne “Il mestiere del dare”.



Ringrazio Maria Rosaria Ambrogio per avermi donato questa “recensione”: 

Scrivere poesia giova fortemente al senso del ritmo.
O si scrive perché un’inclinazione al ritmo già c’è.
O entrambe le cose. Poco importa, in sostanza.
La certezza è che ne “Il mestiere del dare” c’è sostanza di ritmo.

D’accordo: il titolo di questo “corpo” di poesie colpisce – non potrebbe essere altrimenti.

Ma non è dal titolo che voglio partire.
Parto col ritmo.

Chi scrive – prosa o poesia non fa differenza – sceglie o traduce il ritmo che seguono le parole. E le pause. E gli “a capo” di verso. Il respiro di verso in questo “corpo” poetico di Cecilia Martino è ampio. Ampio. Apertura alare. Mai prolungato; mai forzato a dovere. Possiede una cassa toracica di accoglienza “capace”. Per inciso: la “capacità” non si improvvisa: occorre allenamento – tanto).
Questo ritmo non fugace, non sferzante e non spezzato è il tratto compositivo che considero per primo. Per immediatezza. Per differenza.

C’è chi riduce all’essenziale il passaggio dal pensiero alla trascrittura. Col risultato, sempre lì dietro l’angolo, di asciugare fino a corrispondere allo spazio bianco senza inchiostro. Un atto di resa della parola di fronte alla potenza eterna del silenzio.
Per fortuna del genere umano Cecilia Martino ha una sua, altra espressività di scrittura.
Opportuna, direi. Ampia ed efficace: come possa esistere questo binomio è tradotto ne “Il mestiere del dare”.

Il ritmo.
È ovvio che chiunque leggerà questo “corpo” di poesie avrà una propria percezione del ritmo che si muove, mentre lo leggi. E non è che questa sensazione debba necessariamente definirsi. Ma un’immagine ci tengo a restituirla, perché poesia ne leggo – abbastanza – e ne rileggo – tanta. E il ritmo dei versi di Cecilia è peculiare, è suo. È il ritmo di scorrimento (e il “tempo” di scorrimento) dei bastoni della pioggia.

L’ “a capo” di verso sembra coincidere col momento in cui ruoti il bastone perché lo scorrimento è finito, ma se lo capo-volgi è lì, riprende. È il Tempo di ciò che scorre – fluisce – e ha una sua fine – o un nuovo inizio. E quella memoria di suono di pioggia
è tra i pochi suoni (per me) che possono permettersi di interrompere il silenzio senza alterarne la quiete di fondo; assoluta.

Peculiare espressività di scrittura, il “font Martino”, dove per “carattere” s’intendono impressioni dell’anima.

Quanto c’è Cecilia Martino in questo “corpo” di poesie?
C’è c’è, eccome. Ma più che come soggetto, c’è come soggettività. C’è differenza. Il Soggetto sta all’Ego come la Soggettività sta all’Io.

In altre parole, parlando come parlerebbe una che legge e basta: un’Ego che scrive (prosa o poesia non fa differenza) trasferisce nelle parole esclusivamente lo specchio di sé. Contempla scrivendo le forme della propria espressività. Ok. Ma non fa presa su chi legge. Non scatta il sacro fuoco della relazione.
Se chi scrive è un’Io e non un’Ego… beh, le Cose cambiano. Un’Io che scrive ha “a cuore” i limiti tutti umani che sono alla base della ricerca di sé. Parte con l’assunto di una fragilità. E di forza allo stesso tempo. Perché (e finché) non smette di cercarsi. E quello specchio che nell’Ego scrivente è rivolto verso se stess*, nell’Io scrittrice è uno specchio ugualmente presente, ma rivolto verso chi legge. L’eterna ricerca “Chi sono io?” è, attraverso quello specchio, consegnata a chi legge: “Chi sei tu?”

La ricerca.
Definizione o indefinizione di sé che non si esaurisce, si amplia invece, nella relazione col Mondo: lo Spazio e il Tempo, gli imperituri quattro elementi, il mondo naturale, il mondo delle Cose, il mondo umano. Ovunque connessa Cecilia Martino traduce frequenze e lunghezze d’onda, con la grazia e la consapevole cautela che sua è la soggettività che respira, osserva, abita, si assenta, restituisce. Non è LA voce, è una Voce, o uno strumento. Non c’è assertività. Né rigidità. Talvolta sì, l’equilibrio, anche se in movimento. I passi di ricerca. Le tappe non sono dogmi. E c’è un calore dalle parole che sfuma appena l’orizzonte senza lasciare spigoli.


Fosse un modo dell’azione, Cecilia Martino sarebbe un congiuntivo. La grazia/cautela di equilibrio del dubbio. Ma non un congiuntivo subordinato. Un congiuntivo libero: indipendente.








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