Il vero frutto della passione non è l’evangelica mela ma l’elegiaco fico, il frutto che salta la fioritura per compiersi direttamente nel momento succulento dell’adesso.
A tanto, ormai, albero del fico, è un segno per me come tu quasi salti del tutto la fioritura e nel frutto maturato a stagione senza lode insinui il tuo puro segreto. Come il tubo della fontana, la curva dei tuoi rami spinge in alto e in basso la linfa: e dal sonno, quasi senza nemmeno distrarsi, balza nella felicità del suo più dolce compirsi. Vedi, è come il dio nel cigno. … Ma noi, ahimè, indugiamo nella gloria della fioritura, e nella tardata intimità del nostro frutto alla fine penetriamo traditi. A pochi urge tanto la spinta all’agire da essere pronti ad ardere verso la pienezza del cuore se la seduzione a fiorire, come dolce soffio notturno, alita sulla giovane bocca e sulle palpebre: gli eroi, forse, o quelli subito destinati a trapassare, che ad essi il giardiniere La Morte diversamente curva le vene.
La numero VI delle Elegie Duinesi si apre con un richiamo all'albero del fico, pianta simbolica fin dalla notte dei tempi, e non solo per il poeta Rilke! Non è un dettaglio, forse, che l’albero della Bodhi sotto il quale si ritiene fosse avvenuto il risveglio del Buddha, era un antico fico sacro (Ficus religiosa). Quello che mi ha ispirato la rilettura dei bellissimi versi rilkiani è stato un Insight che ora provo a esprimere in queste righe a seguire. E’ tempo di fruttificare senza crogiolarsi nelle seduzioni del fiorire, senza crogiolarsi nelle presunzioni del “progresso” spirituale andando dritti nella direzione che conta, che è il “puro segreto” del fico e che Rilke chiama “la pienezza del cuore” e che a me ha riportato all'essenza dell’Advaita Vedanta, l’intimità con l’essere, anzi l’Essere. A voler essere ancora più tranchant, si potrebbe “associare” la fioritura con i vari abbellimenti delle “pratiche spirituali” che – laddove non siano davvero sostenute dall’autentica volontà di abbandonare l’ego (la suprema delle pratiche e l’unica che davvero conti) possono glorificare l’ego spirituale concedendogli tregua, estasi, calma, conforto, beatitudine … Ma pur sempre di ego si tratta. L’impollinatura di fugaci primavere, seduzioni che possono essere fuorvianti, l’attesa di un frutto a venire e l’aspettativa del suo compiersi. Il fico è una bella metafora di colui che non disperde le sue energie nell'effimero e va dritto al sodo: ai frutti, al risultato. Come l’eroe, evocato da Rilke nei versi successivi, colui il quale è sempre pronto ad ardere con una urgenza di azione restituitagli dall'essere sostanzialmente pronto a morire – “destinato a trapassare” canta Rilke. In fondo, la chiamata dell’eroe è la stessa per ogni comune mortale, a volerla ricordare. E’ la chiamata alla necessità di morire all'ego, affinché si compia il destino della “vera vita”, quella al di là delle apparenze cangianti, affinché accada la maturazione del “puro segreto”, la vita eterna, al di là del tempo e dello spazio, ma qui e ora proprio qui e ora su questa terra, con questo veicolo-corpo, ciascuno con le proprie situazioni-di-vita. Il vero frutto della passione non è l’evangelica mela ma l’elegiaco fico, il frutto che salta la fioritura per compiersi direttamente nel momento succulento dell’adesso. Ma non è una passione né morale né immorale, è piuttosto un accadimento imbevuto di necessità, a-morale, a-storica, impersonale.
Quale passione più grande, se non quell'ardire eroico verso la pienezza del cuore? Possiamo lasciarci ispirare da questa profondità simbolica del fico, non attaccandoci alle fioriture sui prati dell’attesa di chi non sente la “chiamata” abbastanza forte da farne l’unico vero scopo della vita. Ecco, se proprio c’è da seminare un intento per il nuovo anno – ma vale per ogni giorno della vita – che sia di … non disperdersi in inutili attività che allontanano dall'essenza, spesso con l’alibi tanto ben sostenuto in ambienti spirituali che “tutto fa esperienza, tutto serve, tutto capita quando deve accadere etc.” Vero, in parte o comunque è di facile fraintendimento. Non c’è niente che non possa essere ottenuto senza una forza di volontà, un impegno, una qualche disciplina. Se si vuole imparare a suonare uno strumento, ci si applica e anche nel caso si avesse la genialità di un talento precoce e intuitivo, ci si applica comunque a suonarlo, per il gusto di suonarlo. Il piacere … La passione, appunto. Qualsiasi conseguimento non fruttifica nella stasi e nell'inerzia apatica e fatalistica di chi si affida alla “manna che cade dal cielo” senza ricettività, apertura, dialogo costante con l’interiorità che si svela, osservazione acuta e amorevole, disponibilità a lasciar andare abitudini dannose, gabbie mentali etc. … Come dire, la manna certo che cade ma se non trova terreno fertile … Insomma, inutile girarci intorno: il terreno va innaffiato, predisposto, curato. I tempi sono più che maturi per fare davvero un tale balzo di coscienza, dalla fioritura al frutto. Si può utilizzare ciò che maggiormente è utile in tale direzione, nel senso di essere funzionale a tale riassorbimento dell’effimero nelle “profondità del cuore” – riprendendo le parole di Rilke – : meditazioni, camminate, viaggi, musica, poesia… Ciò che ci fa sentire parte di un qualcosa di veramente più grande e ci toglie dal senso di importanza personale, e possiamo percepirlo direttamente nel corpo, non come semplice seduzione intellettuale. Per poi non sentire più nemmeno il corpo, essere frutto e basta. A me succede spesso leggendo poesie, e scrivendo. Ma anche gustando il primo sorso di caffè la mattina. E non solo a gambe incrociate davanti al mio altarino di casa… Tutta la vita è il tempio nel quale possiamo godere del nostro tempo intensificando l’eterno, a discapito di ciò che luccica e che scambiamo per oro. E allora certo si può continuare a godere della piacevolezza di mille primavere fiorite ma si è imparato a vedere …
IMPARARE A VEDERE Rilke a un certo punto della sua vita riassume la sua “missione” (o meglio, la missione del poetare) in questo: imparare a vedere. L’aiuto gli venne dato dalle suggestioni artistiche delle opere di Van Gogh e soprattutto Cézanne, il grande maestro, come dirà Handke, di vita e di sguardo. Avere uno sguardo tale per cui il visibile possa ritrarsi nell’invisibile, sottraendo la caducità delle cose alla loro inevitabile nostalgia. Prendersi cura delle cose così come sono, accoglierne fragilità, caducità, metamorfosi, con sguardo compassionevole, per Rilke non ancora impersonale ma di sicuro imbevuto di una grazia innegabilmente “sovrannaturale”… Mi viene da sorridere, perché ancora una volta mi balza alla mente il saluto dei Nativi di Avatar (e va bene, lo sapete che per questo film ho una grande ammirazione)… Il saluto – che in realtà era una dichiarazione d’amore – si riassume in queste tre parole, “Oel ngati kameie” tradotte così: “Io ti vedo”. Ne ho scritto varie volte, per approfondire ti rimando sul Blog: Cronache da Pandora: Io ti vedo Lascio che a concludere sia proprio Rilke, con altri versi sempre tratti dalle Elegie Duinesi di cui riporto fedelmente anche il corsivo.
la felicità più visibile
ci si rivela soltanto se intimamente la trasformiamo …
"ll mestiere dal dare" raccoglie poesie scritte tra il 2007 e il 2017, in cui l’autrice porta a maturazione i temi già presenti in nuce nella prima silloge "illogicaMente" (2006). La tensione dialettica giovanile cede il passo a un più consapevole dialogo dell’accoglienza che trova nella visione poetica del mondo, la sua naturale consacrazione. Gli enigmi della vita vengono riassorbiti nel fraseggio poetico che, lungi dall'essere un virtuosismo letterario fine a se stesso, aderisce alla vocazione più intima dell’anima. Ogni vita è intimamente poetica e l’autrice offre al lettore la sua personale trasformazione, denudandosi di ogni falsità e lasciando che nella versione integrale risuoni l’autenticità di chiunque accolga tali versi. È una trasformazione che solo il “fare poetico” rende possibile, non avendo altra missione che questa: il mestiere del dare. Lasciare che la vita si compia attraverso di noi richiede un atto di resa rivoluzionaria che fa piazza pulita di qualsiasi schema mentale. L’alternativa al letteralismo è darsi al mistero senza pretesa di risolverlo.
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E siccome ... Two It's Better Than One, il libro di inediti è stato pubblicato insieme alla nuova edizione di "illogicaMente", prima silloge di C.M. datata 2006.
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Cecilia Martino ha una sua, altra espressività di scrittura. Opportuna, direi. Ampia ed efficace: come possa esistere questo binomio è tradotto ne “Il mestiere del dare”.
Rara e Preziosa Donna che ha fatto del suo Essere Gioia Parole per Se e per gli altri, scrive come un fiume sempre in piena e incarna quello che l’Universo ama fare: sorprendere con naturalezza!
Devo ringraziare l'autrice perché Cecilia ci immerge come una nuova Diogene in un percorso che forse tendiamo a dimenticare quello che ci riporta verso il tempo giusto il momento della riflessione del sentirci dentro
Vado
subito al sodo. Al di là di tutte le possibili critiche o valutazioni
cinematografiche riguardo all'interpretazione dell'attore Rami Malek, alla sua
verosimiglianza etc. o ad altre valutazioni più da addetti ai lavori, quello
che a me è rimasto impresso durante e dopo aver visto il film, è una tonalità
di fondo.
Una nota dominante e sublime, universale, ineccepibile,
inarrestabile: quella della Musica (con la m maiuscola sì, perché di capolavori
che hanno fatto storia stiamo parlando) e quella dell'anima di un essere umano
con tutte le sue problematicità. Che sono sue ma non solo sue, squisitamente
peculiari alla biografia di Mercury ma anche garbatamente riverse su tanti
destini di chi, per un motivo o per un altro, avverte nel suo percorso
esistenziale “chiamate” nude e crude a cui fanno eco senso di solitudine,
inadeguatezza, diversità, pericolosità, sconforto, noia ed eccitazione. Con esiti
spesso nefasti.
Eppure ... The Show Must Go On! La vita va avanti, spettacolare
nella sua ineluttabilità che, in certi casi di individui marchiati ad uscire
dall'anonimato per compiere il proprio destino, come Freddie in questo caso,
ammanta la determinazione con un non so che di crudeltà. Mi viene in mente Antonin Artaud e il suo "teatro della
crudeltà", sorretto proprio da questo substrato invisibile ma palpabile di
"inellutabile necessità".
“Avrai una vita molto difficile Freddie” – sussurra Mary Austin a Freddie quando
proprio lui, l’amore della sua vita, le confessa con audacia e sincerità la sua
natura più profonda, ammettendo di voler essere sé stesso fino in fondo,
vivendosi appieno la sua bisessualità. Una delle scene questa – tra le tante
per la verità - a mio avviso molto toccanti del film. Solo lo sguardo di un
amore vero può cogliere certe profondità andando oltre la sofferenza personale.
Mary Austin rimarrà sempre nella vita di Freddie più di un punto di
riferimento, e viceversa, quella controparte energetica mi viene da dire in cui
fondersi al di là di ogni apparenza, definizione o ambiguità. Un legame che per
certi versi ricorda quello del poeta Rilke con Lou Von Salomé,
qualcosa che perdura anche dopo il lasciarsi andare e nonostante le nuove
relazioni affettive di entrambe le parti.
Essere
sé stessi fino in fondo, costi quel che costi, richiede coraggio.
Il primo
passo per essere all'altezza dei propri destini è non vivere nella menzogna. L’arte
dell’abitare la propria autenticità, buona o cattiva sia allo sguardo di una
morale socialmente condivisa (o imposta), non è per tutti. Freddie Mercury l’ha
fatto, e attraverso di lui si è compiuto il disegno musicale di una band che ci
ha lasciato melodie indimenticabili. E attraverso gli altri componenti della
band, Freddie è uscito fuori quale realmente era, l’animale da palcoscenico che
vuole dare piacere, il performer (così si definiva lui stesso e viene rimarcato
anche nel film) in grado di cambiare lo spessore dell’aria a ogni passo e gesto
che compie … Il piacere è la vita che danza melodiosamente scomposta tra sogni
personali di gloria e cospirazione universale.
"Non voglio cambiare il mondo, lascio che le canzoni che scrivo esprimano le mie sensazioni e i miei sentimenti. Per me, la felicità è la cosa più importante e se sono felice il mio lavoro lo dimostra. Alla fine tutti gli errori e tutte le scuse sono da imputare solo a me. Mi piace pensare di essere stato solo me stesso e ora voglio soltanto avere la maggior quantità possibile di gioia e serenità, e immagazzinare quanta più vita riesco, per tutto il poco tempo che mi resta da vivere. " (F.M.)
Di nuovo, eccola, quella tonalità
di fondo a cui mi riferisco pensando al film Bohemian Rhapsody e che mi è rimasta vibrante
addosso anche nei giorni dopo aver visto il film, la visione che ruggisce nell’intraprendenza
degli impavidi; una lucida follia che indossa le vesti di un uomo dalle origini
indiane, dall’identità sessuale promiscua, dai tratti somatici innegabilmente irregolari
e dalle corde vocali imbevute di grazia.
Un uomo che anche di una sua imperfezione ha saputo fare poesia e talento, convertendo in tesoro il fatto di essere nato con 4 incisivi in più e dunque, a detta sua, avere più spazio nella bocca e una maggiore estensione vocale.
Un uomo con un destino da
gigante che a tratti lo ha schiacciato, a tratti sollevato fino a farlo volare,
fino a farlo sentire infallibile, una hýbris prometeica che è “costata” al
nostro eroe la trasmissione del virus dell’HIV e la conseguente morte a soli 45
anni, ma non la fama. E nemmeno l’umanità.
La profonda umanità del Freddie
Mercury che era già Leggenda è quanto a mio avviso rende straziante in senso
epico la performance del celeberrimo concerto dell’86 allo stadio di Wembley, con
cui termina il film e così minuziosamente reso fedele all'originale.
Il bacio promesso
e reso alla madre durante la diretta, è un tocco intimista, più che fanciullesco, da far venire gli occhi lucidi all'istante. Un dettaglio restituito nel film
cui vale la pena soffermarsi, non foss’altro per la sensibilità con cui è stato
restituito. Il sipario delle riprese cinematografiche non può che chiudersi con
quello che è stato uno dei concerti più famosi di sempre, e non solo dei e per
i Queen.
Ai
titoli di coda, dopo tanto Rami Malek Mercury a cui ci siamo ormai abituati, compare
lui, l’originale, il “vero” Freddie, Farrokh Bulsara Mercury che, in
piedi con una mano sul pianoforte canta Don’t Stop Me Now.
L’emozione prende il
sopravvento. Tornare all'Origine, e agli originali, fa sempre bene!
Quante volte corriamo e ci sembra di non andare da nessuna parte, e quante altre rimaniamo fermi e ci sembra di compiere passi da gigante. Che cos’è questo camminare stando fermi e viceversa? I saggi risponderebbero “Be quiet!”
Quel rimanere quieti non dopo, ma dentro la tempesta.
Il punto di quiete è al centro, come una bussola che sposta l’ago dei punti cardinali a partire da un punto fermo, il motore immobile.
Be quiet!
Qualsiasi cosa accada, la quiete.
Che si stia fisicamente immobili o in cammino. Già, in Cammino.
Tre mesi fa ho percorso oltre 400 km incontrando resistenze psicologiche e fatiche fisiche, ma non ho mai smesso di cercare quel punto di osservazione morbidamente proteso tra gli spasmi del mio incedere verso…
Incedere verso.
Santiago era la meta ed il cammino allo stesso tempo, Finisterre il suo compimento e capovolgimento, una sorta di negazione positiva, o una Sorte piuttosto. Il traguardo nel nulla. Il mantello di San Martino proteso verso il vuoto. Il chilometro zerodel tutto è possibile dove niente ha un peso specifico, né passato né futuro, nemmeno le tracce dei chilometri lasciatemi alle spalle. Nessun trofeo, nessun appiglio … Qualsiasi cosa accada, la quiete.
“Vive sempre colui che vive nel presente” (Ludwig Wittgenstein)
Sentirsi saldi e radicati eppure in movimento, come le onde di Virgina Woolf e la sua eco: “Sono radicata, ma fluttuo“. Come qualsiasi albero che potete osservare.
Foto dell'illustrazione tratta dal Libro Yoga - Filosofia Respiro Posizioni, a cura di Ulrike Raiser, Edizioni del Baldo
Non vi dà un senso di pace immediato guardare gli alberi?
Ponetevi saldi sulle piante dei piedi, percepite le sensazioni sotto le piante dei piedi, chiudete gli occhi, percepite la terra sotto i piedi – potete farlo ovunque vi troviate, meglio a piedi nudi ma anche con le scarpe, è il movimento di consapevolezza che conta.
Potreste assumere la posizione dell’albero completa (Vrksasana), con un piede sollevato da terra, la gamba opposta tesa e le braccia verso l’alto con i palmi delle mani uniti; le braccia sono il prolungamento del cuore, verso l’alto si librano i rami che fluttuano senza sforzo, nella fiducia amorevole di tutto ciò che è. Traslocando pene, preoccupazioni, dubbi, incertezze, disagi – ma anche gioie, entusiasmi, soddisfazioni – verso il cielo, passando dal cuore, a partire dalla terra-piedi che nutre, assorbe, fertilizza, trasforma…
Lasciare andare dolori e ugualmente gioie, trattenendo poco nella bisaccia del soddisfacimento personale, può voler dire viaggiare davvero leggeri.
Non a caso ho scelto il verbo traslocare, ispirandomi a San Martino, santo di Novembre (11-11), collegato all’erranza, ai viaggi, al pellegrinare e ai traslochi nei significati più estesi che intuitivamente potete ricavarne. Per approfondire ne ho scritto qui: 11 novembre Il significato dell’estate di San Martino
Cogliamol’opportunità che ogni momento ci offre per porgere alle nostre difficoltà un pezzo del mantello
di San Martino. Quando il Santo lo porse a un mendicante il cielo si
rischiarò ed esplose una inusuale estate, pur essendo la stagione autunnale.
L’estate di SanMartino
metaforicamente avviene ogni volta che ci concediamo gesti di gentilezza e atti
di bellezza spontanei e, a volte, privi di senso.Facciamobeneanoistessieaglialtri.
Se non avesse fatto sport, Fiona May avrebbe frequentato una scuola di teatro e magari sarebbe diventata un'attrice. Le fa eco Jury Chechi che, invece, senza sport non sarebbe stato una persona serena. L’Ippodromo di Imola è il luogo del cuore di Davide Cassani, mentre Diana Bianchedi sogna ancora con l’odore del gulasch ungaro che la riporta al palazzetto di Budapest. Federico Buffa ha un debole scaramantico per il numero 11, Giusy Versace invece non simpatizza per il numero 8 che corrisponde alla corsia più odiata che a Rio ha compromesso la sua gara dei 400 metri. A Tania Cagnotto non è andata meglio con il numero 20 che contrassegna i centesimi a causa dei quali ha perso la seconda medaglia ai Giochi Olimpici di Londra nel 2012. E via dicendo, raccontando, raccontandosi come in un salotto open air in cui lasciar scorrere a ruota libera immagini private e memorie agonistiche, olimpiche e paralimpiche, senza soluzione di continuità.
Avendo tra le mani questo libro, viene voglia di scorrerlo più e più volte prima di soffermarsi su qualche pagina in particolare, perché è fluido, scorre come l’acqua che scorre, seduce la vista con illustrazioni di pregio e sprona lo sguardo a saltare da una domanda all'altra solleticando quel sano voyeurismo del lettore curioso.
Lo si gira e si rigira quasi si avesse tra le dita il cubo di Rubik e non si sa da che parte iniziare, il che non è un difetto, anzi. È una dichiarazione di libertà in primis, ma anche una sorta di manifesto letterario che sancisce l’originalità dell’Opera. Infatti, è un libro double face che si può leggere anche al contrario, nel vero senso della parola: l’avanti e il retro sostanzialmente non esistono, sono due differenti Inizi del racconto, dei racconti.
Lo si potrebbe riassumere in 8 parole: quindici storie speciali per quindici giganti dello sport (Claudio Marchisio, Davide Cassani, Diana Bianchedi, Fabio Basile, Giusy Versace, Federico Buffa, Maurizio Felugo, Stefania Belmondo, Roberto Rosetti, Jury Chechi, Tania Cagnotto, Romeo Sacchetti, Mauro Berruto, Fiona May,Livio Berruti) intervistati da un team altrettanto nobile, quello della Scuola Holden (nello specifico, Mauro Berruto, Fabio Dal Pan, Elena Miglietti, Raffaella Persichella).
Ma i riassunti non rendono giustizia, perché poi ci sono i guizzi estemporanei dei “Time out” di Mauro Berruto (Ct Nazionale Italiana pallavolo maschile e Amministratore Delegato di Scuola Holden), pause fuori gioco che ti traghettano dal genius loci del Foro Italico al guantone da baseball di Allie Caulfiel, uno dei fratelli del giovane Holden dell’omonimo celebre romanzo di Salinger, passando per il senso dell'agonismo restituito dall'accenno muto della copertina del libro di Hemingway Il vecchio e il mare ...
15 storie speciali, 15 sketch o tableaux vivants generati da altrettante domande che danzano tra le pagine con tifo agonistico e simpatia conviviale, così ben accompagnati anche dalle belle illustrazioni di Angelica Zanini.
Un libro di specchi, insomma, di rimandi multisensoriali e corrispondenze continue, un pò alla Baudelaire mi viene da pensare, ma senza uso di … alteratori della coscienza, così cari ai poeti maledetti di cui l'autore de I Fiori del Male è un'icona... Proprio no, perché qui il Protagonista vero, quello con la P maiuscola, il cuore attorno al quale pulsano tutti i Ritratti inattesi che prendono vita nel libro, è proprio lo sport pulito, quel Fair Play che è uno dei distintivi d’eccellenza del Panathlon da 61 anni impegnato a diffondere gli ideali più importanti dello Sport (anche qui, con la S maiuscola), ideatore del progetto di questo libro.
Tra le 15 domande rivolte agli Atleti, quella che a me è piaciuta di più è questa:
“Ti diamo cinque parole: fatica, atteggiamento, talento, desiderio e nostalgia. Scegline una e spiegacela a modo tuo, come se noi non l’avessimo mai sentita prima”
Le risposte che ne sono scaturite, a mio avviso, consegnano al libro pagine di alta poesia.
IL LIBRO
Ritratti inattesi.15 storie speciali tra vita e Sport
Ho avuto l'onore di ricevere il libro in dono durante la Conviviale di Panathlon Club Torino Olimpica in occasione della presentazione di Yoga a Raggi Liberi di Patrizia Saccà, atleta campionessa paralimpica e istruttrice di yoga.
Con Patrizia Saccà e Ermanno Silvano, Presidente Panathlon Club Torino Olimpica, Torino 18-10-2018
Su libri, parole, narrazione e poesia, qualche altro spunto:
Inizio a scrivere qualcosa solo qualche giorno dopo l'inizio del Cammino, avvenuto il 12 agosto dopo i 2 giorni di sosta a Porto. I primi appunti che trovo sul taccuino sono questi, li estrapolo da pagine più lunghe che per ora scelgo di non pubblicare ...
18 Agosto
... Miraggi lontani, come il senso che ostinatamente si vuole dare alla vita.
Più cammino più mi rendo conto che non c'è.
Il senso è un'interpretazione. La vita è così com'è, le cose come sono. Senza perché.
Ogni tentativo di risposta è un fraintendimento.
Più cammino più cala il silenzio su tante domande, cammino soltanto, rido, sorrido, mi commuovo, a tratti ascolto musica, a tratti ascolto il dolore e la fatica in vari punti del corpo, ma non mi soffermo su nulla. C'è un'alba e albeggio, un tramonto e tramonto anch'io, un passo e poi un altro ancora, fino al prossimo chilometro di chissà che cosa.
"No busques problemas, no te metas en lios Mira que la vida sí tiene sentío... "
Chi sono? domandi. La risposta è il mio corpo, tu conosci le sue leggende,
il mio corpo, quello che viaggia in una nube di terra. (Adonis)
22 Agosto
Verso Armenteira
Il bello di svegliarsi prima dell'alba ed essere già in cammino da 2 ore, muovere il primo passo nel buio, calpestare il crepuscolo e baciare l'aurora, rallentare il passo per spingere lo sguardo un po' più in alto, quando sola con il mio indagare silenzioso mi lascio andare come un irrisolvibile mistero.
Shinrin-yoku tra gli eucalipti
Credevo che il mio viaggio fosse giunto alla fine
mancandomi oramai le forze.
Credevo che la strada davanti a me fosse chiusa
e le provviste esaurite.
Credevo che fosse giunto il tempo di trovare riposo
in una oscurità pregna di silenzio.
Scopro invece che i tuoi progetti per me non sono finiti.
E quando le parole ormai vecchie muoiono sulle mie labbra
nuove melodie nascono dal cuore.
E dove ho perduto le tracce dei vecchi sentieri
un nuovo paese mi si apre con tutte le sue meraviglie.
(Rabindranath Tagore)
24 Agosto Vilanova de Arousa-Faramello
O uomo! Viaggia da te stesso in te stesso. (Rumi)
Ultima tappa prima di Santiago.
Questa meta che ha dato forza ad ogni momento di cedevolezza, stanchezza e sconforto, è lo spirito con cui ha dialogato incessantemente il mio andare, la dimora dell'anima, la cura, il sostentamento, quella pacca sulla spalla che difende la paura con l'incoraggiamento, il ristoro nella penuria, il sorriso dietro al ghigno della disperazione.
È la possibilità di andare, andare avanti sempre, e l'umiltà di sapersi fermare, il coraggio di poter amare le nostre vulnerabilità e quelle degli altri, prima di affidarle a qualcosa che risuona con l'universo intero. Di cadute ne ho avute molte, in questi quasi 300 km a piedi, e altrettanti voli.
Domani non è qualcosa che raggiungo. È un mistero che si compie, e se ce l'avrò fatta sarà stato solo per Amore.
Hasta luego!
P.S. Questa notte prima di Santiago la dedico a chiunque abbia un sogno da realizzare, un'abitudine ostinata da cui liberarsi, una preghiera speciale al divino, la voglia di cambiare, e porto tutto e tutti con me, leggera non come una piuma ma come una rondine.
25 agosto Arrivo a Santiago
L'arrivo a Santiago de Compostela, 25 agosto 2018
Gioia pellegrina
L'affanno del viandante è un mantra silenzioso che riposa nella gioia Può darsi che si perda, ogni tanto, libero di perdersi perché l'anima non incatena né in terre battute né in porti sicuri È un fremito silente che non lascia tracce solo passi intonati al creato di cui è creatura e creatore L'affanno del viandante è un mantra silenzioso che riposa nella gioia
(C.M.)
"ll guerriero della luce ha appreso che Dio
si serve della solitudine per insegnare la convivenza.
Si serve della rabbia per mostrare l'infinito valore della pace.
Si serve del tedio per sottolineare l'importanza dell'avventura e dell'abbandono.
Dio si serve del silenzio per fornire un insegnamento sulla responsabilità delle parole.
Si serve della stanchezza perché si possa comprendere il valore del risveglio.
Si serve della malattia per sottolineare la benedizione della salute.
Dio si serve del fuoco per impartire una lezione sull'acqua.
Si serve della Terra perché si comprenda il valore dell'aria.
Si serve della morte per mostrare l'importanza della vita.
("Il manuale del Guerriero della luce", Paulo Coelho)
No, non è un miraggio. E nemmeno troppo lontano da me. L'essenziale è invisibile agli occhi ma non al cuore
27 Agosto
Cabo Fisterra, km 0,00 punto focale della Costa da Morte
Km zero
Mi lascio alle spalle
tutti i chilometri fatti
nessun trofeo, nessun appiglio
mi dò al vuoto dell'infinito
pronta per ricominciare
con un bagaglio d'amore in più (C.M.)
Cabo Fisterra, 27 agosto 2018
Cabo Fisterra, 27 agosto 2018
Torino - 3 Settembre 2018 - Il Ritorno ...
Sono partita senza aspettative, senza premesse né promesse, rispondendo - come spesso faccio - a una chiamata più viscerale che di testa, non istinto grezzo a seguire chissà quale vezzo bensì un richiamo dal fondo, come un presentimento...
"Sai a cosa andrai incontro, vero?" Sì, in parte lo sapevo ma tutto quello che è accaduto non aveva modo di esplicarsi diversamente, non era qualcosa di cui io potessi fare esperienza, dovevo esserne coinvolta completamente.
A pochi giorni dal rientro mi ritrovo a coincidere con alcune frasi di un libro che avevo lasciato a metà, in cucina, prima di partire. Lo stavo leggendo ma in Cammino non mi sarei portata libri, figurati! Già per tenere lo zaino sotto i 6 kg ho fatto miracoli! E poi, via zone di confort, libri compresi.
Il libro s'intitola "Alle sorgenti del Gange - Pellegrinaggio spirituale" di H. Le Saux (Abhisiktananda) con brani anche di P. Baumer e Raimond Panikkar.
La parte di libro che mi aspetta al rientro dal Cammino, mentre in cucina attendo la fine dell'ennesima lavatrice con Napisan che rimette in sesto ciò che resta di zaino, sacco a pelo, scarpe e vestiti da caminante... è questa :
"Il sacrificio era consumato. Sulle rive del Gange, alla sua sorgente, l'offerta escatologica era stata celebrata. Tutto ciò che in quei luoghi era stato pregato e cantato, tutto ciò che era stato offerto simbolicamente nel tempio o presso le acque del fiume, tutta la sofferenza dei duri pellegrinaggi, tutto il silenzio e l'austerità degli asceti, tutto ciò era stato infine compiuto nel sacrificio dell'Agnello. ... Era la festa del sacro Cuore, la Sorgente."
"Egli non stava sperimentando: era totalmente coinvolto".
"Non sono più io che raggiungo il reale in fondo a me. Sono i miei sensi, così come il mio pensiero, sono impotenti. E' solo nell'(eclissi) della coscienza che io ho di me che appare la coscienza pura del Sé. Non sono io che colgo il fondo, è il fondo stesso che si rivela nel dissolversi di questo io (periferico). Ciò che è essenziale per l'uomo è di rientrare nel fondo della sua anima, di ritrovare il suo fondo".
"Ciò che importa per la salvezza, o comunque la si voglia chiamare, è la sincerità con se stessi, il volgersi del cerchio all'interno di sé verso il punto d'origine, quanto più possibile. E la salvezza appartiene all'istante: la mia sincerità con me stesso, con ciò che sono in questo momento e non con ciò che ero dieci anni fa. Non è l'adesione ad una formula che salva. La fede è una purificazione, la fede è catartica essenzialmente [...]. La fede è un atto d'eternità, non si origina nel tempo, essa sboccia, semplicemente. L'occasione può essere qualsiasi cosa ... "
"Il mistero interiore mi chiama con una forza lacerante, e nessun essere al di fuori può aiutarmi a penetrarvi e scoprire "per me" il segreto della mia origine e del mio destino"
"C'è sempre il rischio di scambiare dei surrogati di esperienze per l'esperienza stessa: la via del Kevala (solitudine, unità) è terribile nella sua nudità..."
Che sia il Gange o Santiago, il pellegrinaggio ha sempre a che vedere con il morire e con la solitudine salvifica, la morte necessaria a qualsiasi autentica trasformazione, ma non è qualcosa di concettualmente percepibile, no e nemmeno di sperimentabile no. Nemmeno. Accade. Bisogna solo permettere che ciò avvenga, non ostacolare l'accadere di cui spesso fa parte anche la componente di dolore, di fatica, annichilimento. Henri Le Saux la evocava spesso come "angoscia" e mi fa sorridere perché anche il mio amato Heidegger parla di Angst, Angoscia quando sopravviene lo sgomento del quesito esistenziale: "ma perché l'essere e non il nulla?"
"La grandezza dell’uomo
è di essere un ponte e non uno scopo:
nell'uomo si può amare
che egli sia una transizione e un tramonto.
Io amo coloro che non sanno vivere
se non tramontando,
poiché essi sono una transizione"
(Zarathustra, F. Nietzsche)
Ultimo tramonto a Santiago prima del ritorno, 30 agosto 2018
Il pellegrinaggio è andare alle sorgenti dell'essere, del mistero della vita, della non-dualità, essere-nulla, morte-vita... Verso Santiago sono stata sgomenta di tremore, fatica, resistenze, ho dovuto cedere il passo all'arrendevolezza per sopravvivere, per far sì che quella volitività prometeica ancorata alla mia personalità ardesse nel fuoco spirituale germinando vita e vitalità nuova. Ho dovuto accettare con tutte le forze rimaste di morire, di dovermi fermare, di accogliere grazia e amore proprio là dove pensavo ci fosse espiazione. No, nessuna espiazione. Nel momento in cui ho davvero mollato la presa, sono rinata. Sono finita in un auberge dal nome "La Spirale" avvolta nelle cure, nei racconti, negli occhi lucidi, nell'amore di una donna che ha fatto del servizio la sua missione e della sua missione la sua gioia e della sua gioia il suo amore così profuso e incontenibile. Il suo nome è Fatima.
E' stato il giorno dopo Santiago.
L'arrivo alla "meta" segnava per me il tempo del riposo. Di solitudine e raccoglimento, come quando la vita ti passa tutta davanti e tu la vuoi solo lasciare passare. Ma ci si deve poter fermare. Ho raggirato le mie ultime forze per farne carburante, invece si trattava di crollare. Semplicemente. Surrender.
Ed è successo. 12 ore di solo letto, senza albe né tramonti, senza foto da scattare e post da condividere, senza bere né mangiare, senza parlare né salutare, senza chiamarmi con il mio nome. Senza qualità. Lacrime tra commozione e sfinimento, compassione e liberazione.
Incontri gli occhi di una donna che vedi per la prima volta e scopri che sono lucidi nel momento esatto in cui esclami "So che posso amare le mie vulnerabilità. Mi arrendo".
Mi trovavo lungo un tratto di costa che si chiama Costa da Morte, ma questo ancora non lo sapevo, lo stavo semplicemente vivendo, anzi letteralmente incorporando ... (Riguardo alle radici pre-cristiane del Cammino di Santiago, un interessante articolo è questo: Il cammino segreto di Santiago, la via pagana dei morti)
Spiaggia Langosteira - Finisterre/Fisterra - 27 agosto 2018
C'è uno spazio di silenzio in cui rimanere vigili alla sola presenza.
In quello spazio di non attività ricettiva, stesa nel letto come una morente nel suo giaciglio di tenerezza e crudeltà, tra le gioie e i dolori del Bardo, l'onda di guarigione ha preso il suo corso, senza troppe interferenze. Salvezza è il mistero che si situa tra ciò che si pensa di poter fare o non fare e ciò che emerge spontaneo quando un'altra fonte ti abbevera.
La fonte dell'essere, la sorgente del sacro Cuore, la conchiglia, la concha tanto cara ai pellegrini di Santiago, me compresa. La conchiglia è uno dei simboli del Cammino e vuol dire la morte dell'ego e il riassorbimento nel vero Sé. Che poi è il simbolo di tutto il Cammino e della vita intera. Perché la vita intera, a sua volta, non è altro che simbolo.
Che poi non c'è Santiago, Varanasi, Sri Pada o Parco del Valentino che tenga: la meta è il cammino stesso.
El camino es la meta, si legge nei molti gadget del Cammino di Santiago.
E allora perché viaggi tanto, Cecilia?
Tu che ami viaggiare, sei una vagabonda, nomade dentro e, quando possibile, fuori ...
Tu che ti aggiri tra i meandri del mondo, raggirando appena possibile la via battuta da miliardi di passi, colta dall'irruenza della via maestra, l'andare errando come anima peregrina salda nelle radici di ogni luogo, sensibile a quella citazione tratta da "Le Onde" di Virgina Woolf che tanto ti piace: "Sono radicata, ma fluttuo".
I am rooted, but I flow ...
E ci sarà un tempo per fermarsi. Un tempo che è già cammino.
So che non c'è luogo, strada, mattonella, crocevia, rotatoria, lungomare, porto, autogrill che io abbia oltrepassato in tutta la mia vita, che non fosse un simbolo, un passepartout verso il luogo d'origine, quello essenziale. Come la conchiglia, in fondo.
Ci sono esperienze che è possibile godere con la gioia di un principiante, il forestiero avvezzo a sentirsi a casa ovunque. La lumaca che si ritira in se stessa perché lì è la sua casa, me lo ha ricordato ogni lumaca che ho incontrato lungo il Cammino, e non sono state poche! Le mie tanto care lumache zen!
L'essenziale del viaggiare leggeri è la metafora di un Cammino che inequivocabilmente riduce al minimo le difese, o le amplifica ma non fa differenza. Con il superfluo come zavorra (a livello sia fisico che mentale che emotivo) i chilometri da percorrere sono insopportabili. Lungo il Cammino portoghese con Variante Spirituale ne ho percorsi più di 300 con la domanda fatidica tipo spada di Damocle a più riprese conficcata nei punti più deboli della mia resa. "Ma chi me l'ha fatto fare?" Dopo la scalata dello Sri Pada in Sri Lanka (5400 scalini in salita, 4 ore a salire e 3 a scendere, ne ho raccontato qui) pensavo di aver compiuto una delle "missioni" più faticose . Poi è arrivato il Cammino di Santiago...
"Non è a forza di chiacchiere e di dibattiti che si arriverà a una riforma. Benedetto, al pari di Antonio, andò nel deserto, e Francesco per le strade, senza bisogno di riunire a congresso i monaci della zona" ... Ancora le parole di Le Saux e del suo pellegrinaggio a farmi da cassa di risonanza... E ancora, il controcanto di Panikkar (filosofo, teologo, presbitero e scrittore spagnolo, di cultura indiana e catalana) riferendosi all'esperienza di Le Saux:
"Raggiungere le frontiere dell'essere non è come sperimentare i propri limiti. Impegnarsi completamente in tale impresa, che richiede di sprofondare nella terra del non-ritorno, non è come provare un po' di yoga, di advaita e di tantrismo."
Spesso il mio viaggiare corrisponde proprio a questo sprofondare nella terra del non-ritorno. Corrisponde nel senso letterale, originario del termine: come una risposta a una chiamata. Essere conforme, accordarsi, ecco accordarsi a quella nota dominante che nasce dallo spazio vuoto del silenzio. Non voglio riempire di senso il mio peregrinare, perché ogni aggiunta o tentativo di interpretazione è sempre e solo un fraintendimento, ma ringraziare ogni singolo passo che mi ha condotto nella necessità senza spiegazione del mio destino.
"La gioia non è nelle cose, è in noi" (Richard Wagner)
Mi piace terminare questa traccia sconclusionata di appunti con una delle frasi del libro "Il Cammino di Santiago" di P. Coelho, letto qualche mese prima di partire per il "mio" Santiago:
"Lo straordinario risiede
nel cammino delle persone comuni"
Una raccolta di foto del viaggio e qualche video puoi vederli a questo link: