Ti voglio libera, pura, irriducibile: tu.
“Cerca finché trovi, ma se trovi vuol dire che hai sbagliato qualcosa”… Una provocazione? Lasciamoci aperta la domanda e riprendiamoci il piacere di stare con ciò che c’è senza aspettative e rimorsi nell’inestimabile preziosità della presenza del puro esserci.
Per me, questo è yoga.
Il futuro e il passato sono sempre lì a istigarci di fare qualcosa o a rammaricarci di non aver fatto qualcosa, di non fare forse abbastanza o di non aver dato abbastanza e non sarà mai abbastanza se ci lasciamo afferrare dalla morsa delle dinamiche mentali, se invece di vivere pienamente ciò che è, pensiamo a come avremmo potuto vivere o a come siamo stati in passato portandoci sempre appresso la spada di Damocle non solo dei nostri comportamenti su cui emettiamo continui giudizi, ma anche dei nostri avi, antenati e di tutto l’albero genealogico.
La vita non va pensata, va vissuta.
Eterna presenza
Non importa che non ti abbia,
non importa che non ti veda.
Prima ti abbracciavo,
prima ti guardavo,
ti cercavo tutta,
ti desideravo intera.
Oggi non chiedo più
né alle mani, né agli occhi,
le ultime prove.
Di starmi accanto
ti chiedevo prima,
sì, vicino a me, sì,
sì, però lì fuori.
E mi accontentavo
di sentire che le tue mani
mi davano le tue mani,
che ai miei occhi
assicuravano presenza.
Quello che ti chiedo adesso
è di più, molto di più,
che bacio o sguardo:
è che tu stia più vicina
a me, dentro.
Come il vento è invisibile, pur dando
la sua vita alla candela.
Come la luce è
quieta, fissa, immobile,
fungendo da centro
che non vacilla mai
al tremulo corpo
di fiamma che trema.
Come è la stella,
presente e sicura,
senza voce e senza tatto,
nel cuore aperto,
sereno, del lago.
Quello che ti chiedo
è solo che tu sia
anima della mia anima,
sangue del mio sangue
dentro le vene.
Che tu stia in me
come il cuore
mio che mai
vedrò, toccherò
e i cui battiti
non si stancano mai
di darmi la mia vita
fino a quando morirò.
Come lo scheletro,
il segreto profondo
del mio essere, che solo
mi vedrà la terra,
però che in vita
è quello che si incarica
di sostenere il mio peso,
di carne e di sogno,
di gioia e di dolore
misteriosamente
senza che ci siano occhi
che mai lo vedano.
Quello che ti chiedo
è che la corporea
passeggera assenza,
non sia per noi dimenticanza,
né fuga, né mancanza:
ma che sia per me
possessione totale
dell’anima lontana,
eterna presenza.
Vero che ognuno di noi si porta dietro una storia personale-familiare che va a costruire la memoria conscia e, soprattutto, inconscia del nostro vissuto, ma ancora più vero e sperimentabile (la meditazione in questo è un acceleratore formidabile), è che noi non siamo quella memoria, come le nuvole non sono il cielo. Le memorie (così come ogni tipo di movimento mentale, emozionale, fisico) sono le nuvole, noi siamo cielo. NOI SIAMO CIELO.
Siamo qualcosa di più vasto, aperto, riposante, memoria universale ed essenziale che non si identifica con niente.
Per me questo è yoga.
Le nostre radici sono in terra e in cielo e il nostro cuore non è di nessuno perché è una finestra spalancata sulle infinite potenzialità dell’essere, il nostro cuore non è di nessuno perché può accogliere tutto, abbraccia la splendente vacuità dell’esistenza nel suo stato naturale.
Vacuità, non mancanza, ma pienezza.
Per vivere non voglio
isole, palazzi, torri.
Che grandissima allegria:
vivere nei pronomi!
Getta via i vestiti,
i connotati, i ritratti;
non ti voglio così,
travestita da altra,
figlia sempre di qualcosa.
Ti voglio libera, pura,
irriducibile: tu.
Quando ti chiamerò, so bene,
fra tutte le genti
del mondo,
solo tu sarai tu.
E quando mi chiederai
chi è che ti chiama,
che ti vuole sua,
sotterrerò i nomi,
le pergamene, la storia.
Comincerò a distruggere quanto
m’hanno gettato addosso
da prima ancora ch’io nascessi.
E ritornato ormai
all’eterno anonimato
del nudo, della pietra, del mondo,
ti dirò:
“Io ti voglio, sono io”.
Non c’è niente di più faticoso che andare contro (contro, non incontro) allo stato naturale, a quel fluire armonico che persevera per intelligenza funzionale all’armonia e non per obiettivi imposti da una volitività soffocante egocentrica (vi dice qualcosa l’ansia da prestazione durante le asana o il non totale abbandono durante la sadhana?).
Lo stato naturale della mente è uno stato di riposo, di vigilanza che è una ricettività più simile a un non fare che a un fare, tuttalpiù prossima alla resilienza ma non allo sforzo di ottenere a tutti i costi qualcosa. Il che non vuol dire inerzia, pigrizia o resa passiva. Tutt’altro: ci vuole molto più coraggio a lasciarsi andare che a mantenere il controllo, ma il coraggio mette in circolo l’energia della resa utile all’ottimizzazione delle nostre risorse interiori, il controllo le blocca, perché ci irrigidisce. Il coraggio di cui parlo è piuttosto simile al Surrender, una fiducia incondizionata che ha come centro propulsore il fulcro da cui pulsa la nostra essenza, il cuore, il battito di tutto ciò che è, il respiro di un momento a cui si presta tutta l’attenzione possibile, la fiducia di un fiore che sboccia senza se e senza ma, senza perché e senza ripensamenti. Sboccia e basta. Siamo nati per sbocciare e, arrendendoci al nucleo divino dell’esistenza, semplicemente ciò accade. Semplicemente, non troviamo quello che cerchiamo perché ci siamo già.
Per me questo è yoga. Il congiungimento con l’essenza di ciò che realmente siamo. L’unione (dalla radice sanscrita “jug” = unire, da cui yoga), non è una questione di polarizzazione di opposti, ma di accoglienza della molteplicità del reale, pur contraddittoria che sia. Che poi è contraddittoria solo da un punto di vista logico mentale, la vastità dell’universo contempla ogni cosa. “Sii plurale, come l’universo!“. Questione di ampiezza, di espansione e contrazione, appunto. Di profondità e movimento, non di stasi, di visione non di concentrazione, di contemplazione ricettiva non di sforzo volitivo. Il che non vuol dire smettere di volere, sognare, desiderare, ma vuol dire farlo da una visuale differente, cambiando prospettiva al fine di non diventare succubi dei nostri stessi sogni, desideri, volontà.
Di’, ti ricordi dei sogni?
quand’erano proprio lì,
davanti?
Che distanza, in apparenza,
dagli occhi!
Sembravano alte nuvole,
fantasmi senza un appiglio,
orizzonti irraggiungibili.
Ora guardali, con me,
eccoli dietro di noi.
Se erano nuvole,
siamo su nuvole più alte.
E se orizzonti, lontani,
ora per vederli,
bisogna voltar la testa
perché li abbiamo passati.
Se erano fantasmi,
senti
sulle palme delle mani,
sulle labbra,
quell’orma ancora calda
dell’abbraccio
in cui smisero di esserlo.
Ci troviamo all’altro lato
di quei sogni che sogniamo,
da quel lato che si chiama
la vita che si è compiuta.
E ora,
da tanto aver realizzato
il nostro sognare,
il nostro sogno è in due corpi.
E non bisogna guardarli,
senza che uno veda l’altro,
da lontano, dalle nuvole,
per ritrovarne altri nuovi
che ci spingano alla vita.
Guardandoci faccia a faccia,
vedendoci nel già fatto
sboccia
da quelle gioie compiute
ieri, la gioia futura
che ci chiama. E un’altra volta
la vita si sente un sogno
tremante, ed appena nato.
Come ho scritto altrove:
“Possiamo portare avanti la nostra rivoluzione silenziosa aderendo al piano cosmico dell’esistenza, scegliendo di rimanere vigili e attenti in ogni momento della nostra giornata, qualunque cosa facciamo possiamo sentirci ispirati da un Potere più grande, illimitato”.
L’evoluzione e l’auto-realizzazione non tende certo alla creazione di individui insensibili, impassibili, senza fermenti interiori, ma la vera vita ci vuole soprattutto liberi. E se ci si sposa con la visuale dell’essere in ciò che si è momento per momento, ogni momento è un forziere di tesori inestimabili. La chiave di quel forziere ce l’hai solo tu. Questo è yoga perché tu, con la tua stessa vita, sei yoga. Devi solo ricordartelo.
Come lo yoga mi ha cambiato la vita
Tutte le poesie riportate in questo testo sono di Pedro Salinas.
10 CONSIGLI DI LETTURA
Ti lascio con questi 10 consigli di lettura, a me particolarmente cari, a mo' di post-it per accudire il tuo forziere.
Pratiche di consapevolezza, Thich Nhat Hanh
Lo yoga nella vita quotidiana, Donna Farhi
Canti spirituali, Ma gcig Lab sgron
Il fuoco liberatore, Pierre Lévy
La voce a te dovuta, Pedro Salinas
Arrendersi al nucleo divino, Eva Pierrakos
Ascolta il tuo corpo. La saggezza de Dao, Andrew Powell, Bisong Guo
Lasciar andare il fuoco. Insegnamenti di un monaco buddista, Achaan Sumedho
Foglie d’erba, Walt Whitman
Zorba il greco, Nikos Kazantzakis
È come se avessi combattuto mille battaglie
E ne avessi vinte altrettante.
Ma a volte la stanchezza di averle combattute
É più forte della gioia di averle vinte.
Ma poi tutto cambia.
I momenti non sono che momenti.
Ed è subito quiete.
(Cecilia Martino)
www.ceciliamartino.it
Articolo della Rubrica "Yoga da un altro mondo", pubblicato su Chandra Surya Yoga il 15 novembre 2017