23 dicembre 2020

Scoprire l'essere in un mondo del fare

Siamo una società che fa. Pensiamo sempre: "Cosa posso fare? Cosa dovrei fare?". E addirittura al presente: "Che cosa faccio?". 

Quando suggerisci alle persone di smettere di fare qualcosa, anche solo per un istante, spesso vanno in ansia e talvolta persino si arrabbiano. Di conseguenza, di solito si impegnano subito a fare qualcos'altro. A quanto pare, non riusciamo semplicemente a sederci e non fare nulla, a essere dove siamo. Dobbiamo fare qualcosa e, soprattutto, andare avanti. In effetti andare avanti è per molti lo scopo della vita. Ma mentre la definizione degli obiettivi può creare motivazione e direzione positive, gli obiettivi in sé rischiano di interferire con l'essere presenti ora e apprezzare ciò che è qui, prima che l'obiettivo sia stato raggiunto.

Siamo condizionati a credere che, per vivere una vita importante e piena, dobbiamo avere uno scopo. Qualcosa che vogliamo fare. Dovremmo svegliarci al mattino con una chiara idea dello scopo su cui stiamo lavorando. In effetti, molti si sentono perduti e depressi quando non hanno uno scopo, come se la loro vita non avesse alcun significato e loro stessi fossero un fallimento. "Senza scopo" sostanzialmente significa inutile. Crediamo che se non stiamo andando da qualche parte, non siamo da nessuna parte. Inoltre, crediamo che sia colpa nostra se non abbiamo uno scopo e dobbiamo porvi rimedio, prima o poi. Una vita senza uno scopo non è considerata vita.
 
  
Parecchie lezioni di yoga iniziano con l'insegnante che chiede agli studenti di stabilire un'intenzione per la loro pratica. Agli studenti viene chiesto di "fare un programma" di ciò che vogliono ottenere dal tempo che trascorreranno sul tappetino, identificare "un obiettivo" che vogliono raggiungere con la loro pratica. Sono incoraggiati a decidere in che modo desiderano che i prossimi 90 minuti cambino il loro "ora". Perfino quando si esercitano ad essere presenti, molti di noi hanno ancora bisogno di dirigersi altrove. Oggi gran parte dell'auto-aiuto consiste nel chiarire cosa vogliamo fare della nostra vita, imparare a creare schemi dei nostri programmi di vita e capire che cosa fare affinché quel programmi vadano buon fine. Pressoché ovunque ci giriamo, ci viene chiesto di fare qualcosa per rendere l'"ora" qualcosa di meglio di un semplice... ora. 
 
Qual è il mio scopo? Dove sto andando? É la mente che fa queste domande e lei che risponde. Paradossalmente, abbiamo assegnato al responsabile della nostra sofferenza il compito di curarla. Il condizionamento "e-adesso-facciamo" per ironia della sorte esclude "l'adesso". Più esattamente, dovremmo esprimerlo così: "Cosa ne facciamo dell'adesso?". Tale atteggiamento mentale ispira una relazione antagonistica con il momento presente. Crediamo che ci sia sempre un posto migliore in cui andare, un'esperienza migliore da fare rispetto a ciò che siamo vivendo adesso. Ed è probabile che questo "meglio" lo possiamo trovare con o attraverso la tecnologia. Come potrebbe il presente tenere testa alle altre possibilità, se queste ce le abbiamo proprio qui, in palmo di mano? 
 
 

 
 
La tecnologia rende facile il continuare a passare da un'esperienza stimolante a un'altra, senza essere costretti a tornare qui per stare "solo" con noi stessi, "solo" ora. "Cos'altro c'è?" è diventato il nostro mantra sociale, sostituendosi quale domanda del giorno a "Cosa c'è qui?". Con la tecnologia al centro della nostra vita, non è più necessario abitare il momento presente, non è nemmeno necessario osservare l'irrequietezza e il disagio di fondo che il presente implica. 
 
Più ci lanciamo all'inseguimento del momento migliore, più forte è la convinzione che la colpa della nostra irrequietezza vada al senso di mancanza del momento presente. La tecnologia non solo su fornisce il mezzo ideale con cui sparire, ma allo stesso tempo ci consente di accusare della nostra scomparsa il presente stesso e la sua inadeguatezza: uno stratagemma perfetto. 
 
Il segreto dello stare profondamente bene contraddice in tutto e per tutto ciò che ci è stato insegnato. 
 
Il benessere si ha quando smettiamo di cercare di capire cosa fare per arrivare a un futuro migliore. Ironia della sorte, la serenità emerge quando viviamo senza un futuro, senza un "dopo" e senza un'intenzione o uno scopo che questo momento e questa vita dovrebbero assumere. Il benessere si ha quando passiamo da diventare all'essere. 
 

Quanto è radicale vivere senza intenzioni e quanto è liberatorio! Preparati, però: quando abbandonerai il "cosa faccio?" come mantra della tua vita, la mente urlerà in segno di protesta. "Ma se non faccio qualcosa per farlo accadere, la mia vita non sarà mai come la voglio e non succederà mai niente!". A prescindere da cosa grida la mente, comunque, provaci, sii coraggioso, fai un tentativo e vedi cosa scopri. Se l'esperimento fallisce, puoi sempre tornare alle tue intenzioni e agli ordini del giorno, come pure agli esperti che saranno lì in attesa di aiutarti a capire cosa devi fare della tua vita. 
 
La vita in realtà accade quando smetti di intervenire per cercare di modificarla. Ma per avere fiducia in questo fatto, lo devi scoprire da te. 
 
Se vivi con il qui come destinazione, la vita migliore diventa molto più facile. Puoi rilassarti e diventare parte del suo naturale flusso, del processo che pensi di fare accadere. Quando smetti di chiedere "Cosa faccio?" e inizi a chiedere "Cosa c'è qui adesso?" scopri che la presenza che cerchi, quel luogo primo di sforzi, è proprio qui, non devi fare nulla. Confida che la vita, come forza a sé, non ha bisogno di te per spingerla ad andare avanti.

Tratto da "Liberi dalla dipendenza digitale. Scollegarsi dalla Rete per  riconnetersi con sé stessi" di  Nancy Colier
 
 
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21 novembre 2020

DESIDERATA - Max Ehrmann



Passa tranquillamente tra il rumore e la fretta,
e ricorda quanta pace può esserci nel silenzio. 

Finché è possibile senza doverti abbassare,
sii in buoni rapporti con tutte le persone. 

Dì la verità con calma e chiarezza; e ascolta gli altri,
anche i noiosi e gli ignoranti;
anche loro hanno una storia da raccontare.


Evita le persone volgari e aggressive;
esse opprimono lo spirito. 
Se ti paragoni agli altri,
corri il rischio di far crescere in te orgoglio e acredine,
perché sempre ci saranno persone
più in basso o più in alto di te.

Gioisci dei tuoi risultati così come dei tuoi progetti.

Conserva l'interesse per il tuo lavoro, per quanto umile;
è ciò che realmente possiedi per cambiare le sorti del tempo.


Sii prudente nei tuoi affari, perché il mondo è pieno di tranelli.
Ma ciò non acciechi la tua capacità di distinguere la virtù;
molte persone lottano per grandi ideali,
e dovunque la vita è piena di eroismo.

Sii te stesso.
Soprattutto non fingere negli affetti,
e neppure sii cinico riguardo all'amore;  
poiché a dispetto di tutte le aridità e disillusioni
esso è perenne come l'erba. 

Accetta benevolmente gli ammaestramenti che derivano dall'età,
 lasciando con un sorriso sereno le cose della giovinezza.

Coltiva la forza dello spirito per difenderti contro l'improvvisa sfortuna, 
ma non tormentarti con l'immaginazione.
Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine.
Al di là di una disciplina morale, sii tranquillo con te stesso.

Tu sei un figlio dell'universo,
non meno degli alberi e delle stelle;
tu hai il diritto di essere qui.
E che ti sia chiaro o no, non vi è dubbio che
l'universo ti stia schiudendo come si dovrebbe.


Perciò sii in pace con Dio, comunque tu lo concepisca,
e qualunque siano le tue lotte e le tue aspirazioni,
conserva la pace con la tua anima
pur nella rumorosa confusione della vita.

Con tutti i suoi inganni, i lavori ingrati e i sogni infranti,
è ancora un mondo stupendo.

Fai attenzione. 
Cerca di essere felice.

(Trovata nell'antica chiesa di S. Paolo, Baltimora.
Datata 1692. 
Traduzione di Enrico Orofino)











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14 novembre 2020

Il significato del mantra Om Asato ma



Nei tre versi del mantra vedico l'essenza della vera ricerca spirituale

Dalle tenebre alla luce è il salto metaforico verso la conoscenza della propria vera natura, del luminoso Sé, quando si dissipa il velo delle tenebre dell'ignoranza, scambiare per reale ciò che è illusorio, identificarsi con ciò che è mutevole nel divenire dimentichi dell'eternità dell'essere. 

In tre versi lo esprime poeticamente uno dei mantra vedici più famosi, Om asatoma mantra, o Sat mantra, il mantra della Conoscenza interiore: 

Om Asato ma sat gamaya, - Dall’irreale conducimi alla realtà vera (asat irrealtà – sat verità)

tamaso ma jyotir gamaya – dalle tenebre alla luce (tam, pesante, tenebroso – joty luce)

Mrityur ma amritam gamaya  - dalla morte all’immortalità – (amrita, acqua della vita eterna)


In questo video puoi ascoltare il mantra cantato da me

in occasione del Diwali, la "festa delle luci"



Nella via diretta non duale dell'Advaita Vedanta, il fuoco, la fiamma, la luce sono metafore della discriminazione (Viveka), la chiara visione che realizza l'illusione del mondo fenomenico e la vera realtà dell'eterno Brahman. Chi si risveglia a tale visione discriminante ottiene la libertà (moksha), dimorando in pace e beatitudine che sono propri del Sé. Chi è nella verità della saggezza illuminata è nell'abbondanza perché nella visione unitiva, unificante, poetica, mistica, in una parola yogica, l'ego non è più attaccato a niente. Nella mitologia indù la dea Lakshmi rappresenta questa simultaneità di abbondanza e saggezza, fertilità e gioia creativa.

Vichara, la ricerca del Sé, è una ricerca interiore, non intellettuale. 

"Sappi che la vera conoscenza non crea qualcosa di nuovo, ma semplicemente rimuove l'ignoranza. La beatitudine non viene aggiunta alla tua natura, ma si rivela come il tuo vero stato naturale, eterno e imperituro. … L'oblio della nostra vera natura è la vera morte, il suo ricordo è la vera nascita." (Ramana Maharshi)





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13 novembre 2020

Diwali, la festa delle luci | Significato e pratiche nel quotidiano


Se  qualcosa non è ancora chiaro, non c'è da rimestare nell'oscurità. Basta accendere una luce. Onorate il buio, e ogni giorno avrà un colore nuovo. 

Diwali significa "festa delle luci", è probabilmente la festa hindu più conosciuta insieme alla Holi, la festa dei colori. Si celebra in tutta l'India tra ottobre e novembre, precisamente nel quattordicesimo giorno di luna calante e segna l'inizio del nuovo anno hindu. È contraddistinta dal meraviglioso spettacolo luminoso creato dalle lampade di argilla e dalle candele che irradiano un caldo bagliore per tutta la città e che alludono alla luce come simbolo del bene e della sua vittoria sulle forze del male simboleggiate dalle tenebre. 

Dalle tenebre alla luce è il salto metaforico verso la conoscenza della propria vera natura, del luminoso Sé, quando si dissipa il velo delle tenebre dell'ignoranza, scambiare per reale ciò che è illusorio, identificarsi con ciò che è mutevole nel divenire dimentichi dell'eternità dell'essere. In tre versi lo esprime poeticamente uno dei mantra vedici più famosi (Om asatoma mantra, il mantra della Conoscenza): 

Om Asato ma sat gamaya, - Dall’irreale conducimi alla realtà vera (asat irrealtà – sat verità)

tamaso ma jyotir gamaya – dalle tenebre alla luce (tam, pesante, tenebroso – joty luce)

Mrityur ma amritam gamaya  - dalla morte all’immortalità – (amrita, acqua della vita eterna)


ASCOLTA IL MANTRA 


"Nella notte priva di luna si accendono in onore di Laksmi (sostituita, nel Bengala, da Kali) migliaia di lucerne, che si dispongono in lunghe file (avali) sulle terrazze, sui davanzali e davanti alle soglie delle case, oppure si affidano alla corrente dei fiumi; anche in questo caso la tradizione popolare ha sovrapposto al culto della dea il ricordo di un evento della storia di Rama: il suo ritorno alla propria capitale Ayodhya dopo l'esilio." (Piano, Sanatana Dharma p.262-267). 

"Quando Rama sconfisse Ravana e ritornò nel suo regno, il popolo di Ayodhya illuminò con piccole candele a olio l'intera città.Di notte l'intero regno brillava come un diamante, scintillanti nell'oscurità. Nello yoga la luce e la fiamma della lampada sono il simbolo di Anahata chakra, che rappresenta l'amore.Quando Rama arrivò ad Ayodhya non c'era oscurità, quando la luce dell'amore si risveglia in Anahata l'oscurità data dall'egoismo scompare. È l'egoismo che porta l'oscurità nella nostra vita.La festa del Diwali può essere intesa come l'apertura del cuore e l'illuminazione della lampada dell'amore, della compassione e dei sentimenti positivi del cuore." (Sw. Niranjanananda Saraswati). 

Accendere fuochi è un gesto letterale e metaforico bellissimo. 

Nei giorni più bui dell'anno, e metaforicamente della vita, la luce può essere molto più che una metafora. Illuminazione, letteralmente luce in azione, è un abbraccio di calore quando si ha freddo. E quando si ha freddo, o non si vede nulla a causa del buio, accendere fuochi, camini, lumini, lanterne, crea immediatamente uno spazio di accoglienza dove prima c'era titubanza o sconforto. Accendere fuochi è un gesto letterale e metaforico bellissimo. 

Si perde nella notte dei tempi il culto del fuoco, non c'è ritualità di natura che non implichi l'invocazione l'evocazione e il contatto con l'elemento fuoco. Fuoco digestivo, "agni" nello yoga e in ayurveda, spirito cruciale per la regolazione del metabolismo e della capacità assimilativa dei nutrienti. "Agni" fuoco della disciplina spirituale (tapas), del ricercatore della verità, dell'amante infervorato dall'amore per il suo dio, amore come fuoco spirituale e corpo d'amore. In quasi tutte le tradizioni dei popoli nativi, le decisioni più importanti si prendono attorno a un fuoco acceso, nel circolo sacro che dona equanimità ai partecipanti, e la partecipazione al cerchio della vita si infiamma di coraggio, volontà in affidamento e gratitudine. La gratitudine non manca mai ai puri di cuore. 



Accendete un fuoco e dite "Grazie", fate questa prova, anche solo quando accendete i fornelli nella vostra cucina o la luce della stanza. È così scontato che tutto questo accada? Che una fiammella vi riscaldi il cuore o il cibo che mangiate, è nutrimento, dono, compartecipazione. Quanto partecipate alla vita che fate?
Radunatevi attorno ai fuochi, non perdete speranze che nessuno può togliervi se non voi stessi. Il focolare sa di casa dove c'è un atto di amore genuino, una familiarità con la cura che non lascia nulla di intentato. Davanti a un camino acceso viene voglia di raccontare storie, di svelare intimità, di entrare in confidenza con chiunque, di fare domande più che avere risposte.  
È meraviglioso! Il fuoco accende la luce interiore che non fu mai spenta. E allora, perché l'accende? Perché gli occhi non sono fatti per vedere ma per amare

Mai come in questo periodo siamo chiamati all'amore, quello forse poco romantico ma efficace: niente effusioni ma fusioni, l'invisibile trova sempre un modo per riscaldarci, lo spirito aleggia sul fuoco e, invece di spegnerlo, lo alimenta. Lo alimenta, ovvero, lo nutre. 

Lasciamoci alimentare dalle piccole luci delle grandi notti buie, invece di volerle trascorrere velocemente, velocemente dimenticare per passare ad altro. Impariamo a sostare anche nelle fini, nei tramonti, negli addii, nelle ceneri, nelle terre dissodate, prima di voler passare ad altro e raccogliere, fiorire, incontrare, albeggiare. C'è una stagione per ogni cosa e ogni cosa è uno spazio sacro dentro di noi. Anche il firmamento ha i suoi fuochi, sembrano puntini luminosi e sono stelle. Prendiamo spunto dai piccoli gesti per alzare l'asticella della nostra attenzione su ciò che è davvero importante. 




Per tutto il periodo del Diwali, o dell'inverno o di qualsiasi "notte buia" della vita, sentiamoci grati e affidati quando accendiamo un fuoco, aiutandoci come atto per ancorarci alla presenza, ai gesti più quotidiani che siamo soliti fare: accendere i fornelli, la luce del comodino, una candela etc. 

Se  qualcosa non è ancora chiaro, non c'è da rimestare nell'oscurità. Basta accendere una luce. Onorate il buio, e ogni giorno avrà un colore nuovo. 


"L'oscurità accumulata durante le ere cosmiche 
è cancellata da una lampada.
Similmente, l'unica chiara luce della propria coscienza 
dissipa gli oscuri ostacoli dell'ignoranza accumulati 
durante le ere cosmiche". 

(Tilopa, Mahamudra, Il Grande Sigillo)


Diwali 2020 - Porto Recanati, 14 novembre 




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07 novembre 2020

Il simbolo del martin pescatore | Il tempismo perfetto della vita



Se stai leggendo queste righe, in qualche modo ti stai parlando con la visione del martin pescatore, lucente volatile dal tempismo perfetto... 


Apparsomi oggi come miraggio in un luogo a dir poco inusuale per questo volatile, ne traggo meraviglia e stupore concedendo spazio al canto del richiamo animico di cui ogni cosa è intrisa. A me piace chiamarla poesia naturale della vita. Inizio dal racconto estemporaneo dell'incontro, così come l'ho trascritto poco dopo essermi nutrita della sua bellezza impermanente.




















È appena accaduta una cosa bellissima. 
Il volo planato di un martin pescatore sulle onde vicino alla riva ha incrociato il mio sguardo mentre andavamo nella stessa direzione… Il mio sguardo per la verità è stato attratto da un luccichio azzurro splendente quasi fosforescente, un blu intenso come brillante di sole, sulla cresta dell'ondeggiare del mare. Questione di istanti e ho compreso essere un volatile, un uccellino sì, ma il suo ritmo era qualcosa di straordinario, sembrava tamburellare nel vento veloci istanti di gioia. Non sono riuscita a staccargli gli occhi di dosso fino a quando non si è adagiato su uno scoglio in lontananza (lo stesso dove mi sono adagiata anche io dopo "la visione") per poi scomparire definitivamente. 
Poteva sembrare un colibrì per la velocità del batter d'ali…
Attonita e colma di stupore, mi sono fermata più a lungo in quel tratto di spiaggia dove mi ha voluto far visita questo essere meraviglioso, in sé stesso bello e pieno di grazia nella sua parte visibile, e pure tanto prodigo e impeccabile nel suo aspetto invisibile con il quale il mio respiro sta ancora dialogando.
Niente accade a caso, e il tempismo di un incontro, specie se così straordinario non può passare inosservato. Non per me, almeno.
I luoghi di natura e gli spiriti della natura sono benedizioni e nutrimento costante.
Incontro straordinario perché il mare non è esattamente il luogo di appartenenza del martin pescatore, piuttosto laghi, fiumi e torrenti… Probabilmente era di passaggio tra i fiumi Musone e Potenza che abbracciano il territorio di Porto Recanati.
Chissà.

"Eccomi sono qui per te" , cinguetta quel nobile esserino dal piumaggio del mio colore preferito, a cui fa eco lo stupore muto del mio rispondergli "eccomi, sono qui per te".
di tempismo poeticamente "parla" il martin pescatore
Il suo canto di prosperità e abbondanza, gioia e spensieratezza, buona fortuna e ispirazione potenziata, dono della visione, nuovo inizio.
Più che estasiata, riconoscente alla vita in ogni gesto di insensata bellezza ci vedo il coraggio di vivere per davvero.  

"La dimora nella propria vera natura, simile a una fiamma di conoscenza, dopo aver completamente abbandonato gli oggetti sensoriali, è chiamata lo stato naturale." 
(Ramana Maharshi) 


IL BERSAGLIO E LA MAESTRIA DELLA PAZIENZA

Ciò che contraddistingue questo meraviglioso uccello è, oltre all'evidente piumaggio dalle tonalità azzurre-turchesi-blu (puoi approfondire qui sul simbolo del blu)  così lucente da essergli valso l'appellativo di "uccello che brilla", la sua capacità di pescare in maniera decisa, diretta, impeccabile la sua preda, tuffandosi a capofitto nel momento esatto, opportuno e funzionale allo scopo. Né prima né dopo. Tempismo perfetto, un bersaglio che fa pieno centro. Ecco perché fin dai tempi antichi questo uccello veniva considerato simbolo di abbondanza intesa come opportunità. 

Cogliere tempestivamente opportunità che si presentano non vuol dire sforzarsi compulsivamente per ottenere qualcosa, ma perfezionare il tiro, la visione, la mira e il giusto momento di agire verrà spontaneamente. A voler andare ancora più in profondità, non c'è nulla da perfezionare: nello stato naturale vige sempre l'armonia, la ritmica più funzionale al momento presente, senza tentennamenti. Il perfezionamento è un concetto anch'esso, e nella sua estensione di "perfezionismo" sappiamo quanto possa essere deleterio e contropoducente. Il martin pescatore non sbaglia un colpo perché è connesso al momento presente in tutto e per tutto. Si potrebbe dire che è un buon osservatore e sa attendere il momento più opportuno, dote rara la pazienza per la specie umana, molto sviluppata invece nel mondo animale e vegetale. 
Ecco, il martin pescatore lo vedo simile a un tiratore Zen di arco che  fa centro con quell'unico gesto giusto di cui gli arcieri Zen dicono: "un colpo, una vita".





La danza a pelo d'acqua a cui ho assistito stamattina, pareva soffiarmi nel petto la leggerezza del "tuffati senza paura nella vita che sei, abbi cura di splendere e affina la visione, il resto verrà da sé, sii pazientemente vigile".
Il volo è a scatti, rapido e deciso, ma a tratti quasi immobile (magia di ritmiche di cui la natura è suprema maestra), uno  stazionamento in aria che viene definito "volo a spirito santo".
Saltellare e balzare, con la grazia di una chiara visione e il coraggio nel cuore forse occhieggia - come solo il martin pescatore sa fare! - al "salto quantico" "salto coscienziale" "salto evolutivo" di cui tanto e forse troppo si parla? 
Certo è che la vista del martin pescatore è estremamente sviluppata dal momento che i suoi occhi possiedono due fovee (regioni della retina di massima acutezza visiva), una per la visione in ambiente aereo, l'altra in ambiente acquatico. 
Questa sua capacità di transitare tra i tre mondi (aereo, acquatico e terrestre) ne fa anche un simbolo sciamanico molto potente. Richiama l'abilità di dialogare con l'anima, con l'aspetto invisibile delle cose, con il Grande Spirito che tutto permea, richiamo all'equilibrio tra gli aspetti del divenire manifesto e il non manifesto, essere senza tempo. 


Di indole solitaria, diurna e sfuggente, difende il suo territorio con molta energia.
Quanto ci prendiamo cura del nostro ambiente interiore? Quanto "difendiamo" le necessità dello spirito, della vocazione, dell'anima?
Questo magico esserino dai colori sgargianti che saltella a volo di spirito santo ci sta ricordando parimenti l'importanza del radicamento
La cura del terreno interiore, del nido, il focolare dove tenere accesi i fuochi, il calore della vita, il fuoco alchemico della luce interiore. 


Io vengo dalla spina dorsale
delle farfalle,
e tu 
da dove vieni? 

(Franco Arminio)



Se sei arrivato, arrivata fino a questo punto della lettura, concediti ancora qualche momento di pura bellezza per nutrirti con le vibrazioni di queste parole, forse ti "appartengono" più di quanto immagini in questo preciso momento, oppure no. Fanne ciò che più ti è utile, oppure spicca il volo, come farebbe l'impeccabile martin pescatore. 
Prima di tutto, fermati solo il tempo di chiudere un momento gli occhi, prendi un respiro profondo, rilassati e leggi, ascolta il canto e non cercare di capire niente. E' tutto perfetto. 


"La Poesia è fatta per risvegliare la vita che sonnecchia nella gente.
Dare risposte poetiche alle situazioni di vita non vuol dire non avere più problemi, ma i problemi non saranno più visti come tali.
È un cambio di visione. 
È una vita senza filtri". 

Se vuoi, continua a leggere: 


"io vengo dalla spina dorsale delle farfalle, e tu da dove vieni?
Porto Recanati, 7 Novembre 2020


Instagram @ceciliaisha


"Te lo devo confessare: 
se ho conosciuto la gioia sulla terra l'ho trovata, 
sempre e ovunque, in questo sguardo interno, 
negli istanti profondi, senza tempo, 
rapinosi e perciò indescrivibili 
di questo divino guardare" 

(Rainer Maria Rilke) 




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23 settembre 2020

Insegna sorridendo, crea nella gioia, l’orecchio teso ad ascoltare il canto



Si può insegnare senza dire una parola gesticolando poesie nelle insenature del vento tra i capelli del mondo visto dalle traiettorie improvvisate di un cercatore di storie.
Storie non belle, non brutte, ma vere.
Non c'è incantesimo più potente della verità.
La storia di questi ultimi mesi non è né bella né brutta, originale sì forse, come direbbe Italo Svevo. Ma è la più vera che io possa raccontare.
È la storia - che si tramanda da più e più racconti di ogni epoca e per ogni età - di quel salto nel vuoto che la mitologia evoca come "viaggio dell'eroe" ma non ci sono eroi più saggi o meno saggi, siamo tutti eroi nelle nostre battaglie quotidiane, il compassionevole viaggio straordinario delle persone comuni...
Il punto è che la chiamata all'umanità fa forse più paura della tanto vociferata chiamata al divino, come se questo "divino" potesse ammettersi distorto dall'incarnazione che ne ha reso possibile anche solo l'idea e se oggi c'è qualcosa che mi muove ancora e ancora e ancora è soltanto nella spinta alla suprema unicità di questo soffio vitale che ha poco a che vedere con la vita incasellata nelle dinamiche della paura, dell'automatismo, del linguaggio inaridito - quello che dice ma non dà, del timore non reverenziale ma sbrigativo ... e allora sì, eccolo che il coraggio dell'eroe può essere evocato, ma solo per questo inaudito e intimamente umile grido che si intona alla vita vera, quella fatta di espansione non di tempo da inanellare nel circolo vizioso di passato e di futuro, equivocando santi e rivoluzionari, religioni e nuove spiritualità.
La vita, la vita prima di tutto.
La vita di un solo istante di vita senza doversi guadagnare nulla, senza doversi aspettare nulla, colmi di un sovrappiù di esistenza che non mercanteggia con nulla di quanto possiamo calcolare. 
Perché si usa dire lavorare per guadagnarsi da vivere, se la vita è un dono, se la vita è gratis, se la vita è vita nonostante tutto quello che possiamo inventarci per arrestare il suo corso, deviandolo, accelerando, accorciandolo, interferendo invece di accompagnare il processo.
C'è qualcosa che ci dà gioia fare? Facciamolo e basta, non c'è lavoro e dono più grande di questo. Verrà spontaneo condividerlo.


Mi sono arresa all'evidenza che arriva un momento inevitabile e irreversibile per scegliere di percorrere la propria strada fino in fondo.
Mi sono arresa all'evidenza che per me era arrivato.
Senza se e senza ma, o anche con tutti i se e i ma del mondo ma ...inevitabile!
Niente di più grandioso che darsi all'inevitabile, lasciare che si compia un destino e che si annullino distanze inesistenti tra noi e un sogno. Un sogno senza nome, piuttosto un'apertura a tutti i sogni possibili.
Arrendiamoci all'evidenza di essere destinati ad essere.
Nient'altro che questo.
E se magari tutto questo fluire di parole vi arriva leggermente oscuro, 
non c'è niente da capire, tendete semplicemente l'orecchio ad ascoltare il canto.


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Insegna sorridendo

 crea nella gioia

 l’orecchio teso ad ascoltare il canto

(Foglie del Giardino di Morya)

Porto Recanati Equinozio Autunno 22 settembre 2020


Poesia è un grido, ma un grido trasfigurato | Anch'io morirò di canto


Cosa rimane della vita? Ciò che resta è la lingua della poesia




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