|
Foto ©CECILIA MARTINO |
Un viaggio iniziatico tra sauromachie e apoteosi floreali, guardiani con volti alieni e uccelli del Sole culminante con l’immagine del Cristo in mudra e una birra allo zenzero nel bosco.
Gioiello nel gioiello, l'abbazia di San Pietro al Conero nel comune di Sirolo è uno di quei momenti che vale la pena vivere. Sì, ho detto momenti, perché questa chiesa databile ai primi anni del Mille, si erge con un impatto visivo che dona una sferzata alla dimensione temporale più che a quella spaziale.
Il tempo sembra fermarsi, l'arco antistante sembra anticipare l'ingresso a una dimensione "altra".
Gioiello nel gioiello, perché incastonata nelle molteplici sfumature di verde della vegetazione rigogliosa del Monte Conero, nel comune del borgo di mare Sirolo, a più voci decantato come "la perla dell'Adriatico" nella Riviera del Conero.
In questo contesto avulso dal caos, immerso nella natura selvaggia ora - e figuriamoci allora! -, i romitori del Medioevo dovettero trovare ambiente ideale per trascorrere la loro vita solitaria in preghiera e raccoglimento, per lo più eleggendo grotte scavate nelle rocce come loro giacigli di santità.
|
Foto ©CECILIA MARTINO |
La costruzione iniziale della Badia è molto semplice nella struttura: tre navate e un’abside in fondo a quella centrale. Gli abbellimenti di pilastri e capitelli che oggi trionfano nella panoramica di chi osserva, furono aggiunti nel 1200. A godere della vita isolata tra le mura di questo eremo intarsiato dalla mano invisibile del Conero, furono i Benedettini fino al 1500, e altri due ordini religiosi (i Gonzaghiani e i Camaldolesi) che convissero non proprio pacificamente fino a quando - a seguito di un incendio doloso - i seguaci di Gonzaga non furono costretti a lasciare l'eremo. I "vincitori" Camaldolesi vi rimasero fino alla fine del 1800. Oggi il vecchio monastero dei Benedettini è un elegante albergo che si trova proprio a fianco della chiesa.
|
Foto ©CECILIA MARTINO |
UN VIAGGIO INIZIATICO TRA CAPITELLI E PILASTRI
Entrare nella chiesa è come leggere un libro colmo di simboli le cui pagine si sfogliano camminando tra i capitelli delle tre navate principali, fino al chiosco che ne continua il racconto sebbene in un arco temporale successivo. Di cosa parla questo libro si può facilmente intuire entrando in un tempio dello spirito, votato al culto e alla fede, ma ciò che può davvero sorprendere appartiene allo sguardo del visitatore.
L'invito è di tenere gli occhi aperti per scorgere ben oltre il visibile ciò che certi luoghi intrisi di silenzio e di vocazione al ristoro dell'anima possano donare.
|
Foto ©CECILIA MARTINO |
Questo piccolo scrigno di tesoro architettonico, interamente costruito in Pietra del Conero, immobile nel suo tempo storico associabile alle vicissitudini monacali e agli interventi umani per necessarie ristrutturazioni, trasmette una mobilità straordinaria come scorresse qualcosa di vivo tra le raffigurazioni davvero minuziose dei capitelli. È il vitale regno simbolico che dà forma alle cose dello Spirito e della Materia stessa, di cui non è dato parlare se non in rimandi poetici che sublimino l'inarrivabile pronuncia dell'Assoluto, e che nel perimetro di questo gioiello di Sirolo, emana in ogni porzione calpestabile e non.
|
Foto ©CECILIA MARTINO |
Bisogna entrarci con occhio curioso e vispo, e non senza una disponibilità di ascolto che renderà la voce silente ancorché palpabile ancora più preziosa. E allora, si viaggerà sereni pur tra i molteplici ammonimenti del "libro di pietra", capitello dopo capitello, tra sauromachie e apoteosi floreali, guardiani con volti alieni e uccelli del Sole, per culminare nella vittoria del Cristo di luce simboleggiato dall'Aquila. Il nobile rapace in grado di innalzarsi sopra le nuvole e di fissare il cielo, dalla vista acuta e d'insieme, trova in questo luogo degna consacrazione come simbolo di ascensione, e anche del Cristo stesso.
Eccolo, il messaggio finale degli eremiti Camaldolesi affidato ai capitelli della chiesa perché arrivasse agli uomini di tutti i tempi, spronandoli a essere ricettacoli di quella gioia che proviene dal vivere nella luce, senza rinchiudersi nell’egoismo, nonostante le difficoltà e le prove incerte della vita. Quest’ultime sono rappresentate dalle innumerevoli figure mitiche raffigurate nei capitelli, inquietanti e ambivalenti, per lo più impegnate in battaglie sempre a sfidare la volontà invincibile dell’essere umano saldo nel cammino della fede. |
Foto ©CECILIA MARTINO |
LA CRIPTA E IL CRISTO PANTOCRATORE CON IL MUDRA DELLA TERRA
Il punto di arrivo, entrando dalla navata principale, è la cripta dove continua il racconto simbolico inciso nei capitelli di varie epoche e dove è esposta l'immagine del Cristo pantocrator in atto benedicente, tipica di alcune opere d’arte medievali. Le dita coinvolte nel gesto della benedizione in questo caso sono pollice e anulare, unite ad anello mentre le altre tre dita restano aperte in posizione verticale. Un gesto che in sanscrito viene chiamato Prithvi mudra, ovvero il “mudra della terra”, con riferimento all’unione simbolica dell’elemento terreno/terrestre/materiale (dito indice) con l’energia del fuoco/spirito (dito pollice) la cui armonia dona integrità alla luce dell’essenza cristica che tutto ingloba, trasmuta e risana.
|
Foto ©CECILIA MARTINO |
La badia può essere una piacevole sosta rigenerante a più livelli (la frescura degli ambienti la rende molto godibile soprattutto d’estate), sia se di passaggio per avventurarsi nei vari sentieri della “Traversata del Conero” che da lì si dipanano, sia se scelta come meta a sé stante per passare qualche ora di relax e magari concedersi poi un pranzo in uno dei locali a pochi passi da lì. Io ho optato per La Cima, una birreria con cucina nel bosco, attratta – confesso – dalla musica latino-americana che aleggiava quasi in controtendenza con l’aura circostante e da un menu di ampio respiro anche per vegetariani e vegani. Ottimo tutto, location, cibo e birra allo zenzero!
|
“La saggezza non viene assimilata con gli occhi, ma con gli atomi.” (Paramahansa Yogananda) Badia di San Pietro, Cripta, 20 Luglio 2021 |
FUORI DAI LUOGHI COMUNI
"La poesia di Cecilia Martino non è facile e non è banale. È intensa, dura, petrosa. È una poesia che non ha alcun interesse a compiacere il lettore. Non è evocativa, non concede nulla. Taglia semplicemente l’anima come un ferro da calza arroventato. Ma è bellissima. Cecilia Martino pone le sue radici nella filosofia e questa profonda conoscenza si percepisce chiaramente dall’uso che fa della parola, che viene seccata e asciugata fino a diventare un tutt’uno col suo senso più profondo."
- Dalla Prefazione del libro
PUOI SEGUIRMI SU
| € 8,00
O poeta! Una nuova nobiltà è conferita in boschi e pascoli, e non più in castelli, o con lame di spada. Le condizioni sono ardue, ma eque. Tu lascerai il mondo, e conoscerai solo la musa. Non conoscerai più i tempi, i costumi, i favori, la politica, o le opinioni degli uomini, ma tutto prenderai dalla musa. Perché il tempo delle città è scandito dal mondo con funerei rintocchi, ma in natura le ore universali sono contate dal succedersi di tribù d'animali e piante, e dal crescere della gioia sulla gioia. (Essere poeta Ralph Waldo Emerson) |