"Questo corpo è un’apparizione magica, è un’ombra senza carne né ossa, un miraggio che muta momento per momento, un sogno che la mente proietta, è un arcobaleno bello e vivido, ma senza sostanza, un ricordo, emozioni come nuvole cangianti mosse dal vento, capaci di disegnare ogni forma, eppure evanescenti come la luce del lampo" (Thonban Hla)
Una premessa fondamentale: tutto è energia e vibrazione. Tutto ciò che è invisibile non significa che non esista ...
Cosa è la meditazione: Insight e vista interiore. Quasi tutti i grandi maestri, yogin e mistici di ogni tempo, si sono sempre riferiti al fatto che noi possediamo quattro occhi – due per la vista interiore e due per la vista esteriore – ma che tendiamo a utilizzarne solo due. Indovinate quali?
Ostacoli alla meditazione e luoghi comuni
- é troppo difficile, non ho tempo
Tutto ciò che è semplice, funziona. Dunque, al di là di tecniche molto sofisticate che fanno capo soprattutto ad alcune tradizioni yogiche esoteriche, si può approcciare alla meditazione in maniera molto, molto semplice.
- ho troppi pensieri, non riesco a svuotare la mente
Un altro luogo comune che tende pericolosamente a scambiare il fine a cui tende spontaneamente la meditazione con la meditazione stessa.
- non sono buddhista
Mi capita spesso che le persone, sapendo che pratico quotidianamente la meditazione, mi chiedano: “Sei buddhista?”. Ho riflettuto a lungo su questa domanda per nulla banale in tema di miti da sfatare.
La differenza tra preghiera e meditazione
Una volta da qualche parte ho letto una frase che più o meno suonava così: nella preghiera sei tu che chiedi a Dio, nella meditazione è lui che parla a te.
“Necessaria è una cosa sola: solitudine, grande solitudine interiore. Volgere lo sguardo dentro sé e per ore non incontrare nessuno; questo bisogna saper ottenere”. (Rainer Maria Rilke)
Dopo nemmeno un’ora dal mio
ingresso al Festival dell’Oriente, sento annunciare al microfono “Ed ora, dallo
Sri Lanka, la danza del Naga, il dio serpente accompagnato dal ritmo del
tamburo”. Niente da fare … il mio viaggio in Sri Lanka continua – ammesso che
io sia davvero mai tornata da lì! Ovviamente ho sorriso a tale sincronicità e poi
mi sono affrettata a guadagnare una prima fila davanti al palco per scattare
qualche foto che poi è diventata una ripresa (a fine articolo trovate il
video). Benché si tratti solo di rappresentazioni a fini di uno spettacolo (diverso
è assistere alle stesse danze in luoghi e circostanze dove esse assolvono al
loro scopo rituale originario), l’ebbrezza delle vibrazioni tuonanti del
tamburo e la bellezza della gestualità sacra di tale danza che può essere
definita sciamanica a tutti gli effetti, è innegabile!
La danza del serpente scuote
sempre molto l’immaginazione. Figuriamoci poi, se accompagnata dal ritmo di un
tamburo, strumento per eccellenza della “caccia all’anima”, quel contatto con l’invisibile
che richiama le zone più impraticabili della psiche le quali non sono altro che
spiriti da risvegliare, accogliere, amare e, appunto … danzare. Il tutto senza
pregiudizi, al di là del bene e del male ma piuttosto nella bellezza del ritmo
della vita, che è Natura.
I naga (“serpente”, femminile “nagini”) sono
un'antica razza di uomini-serpente presente nella religiosità e nella mitologia
vedica e induista. Storie di Naga fanno ancora parte della tradizione popolare
di molte regioni a predominanza indù (India, Nepal, Bali) e buddhista (Sri
Lanka, Sud-Est asiatico). I naga sono particolarmente popolari nel Sud
dell'India, dove si crede che donino fertilità ai loro fedeli. Spiriti della
natura per eccellenza, abitanti nascosti sul fondo di pozzi, laghi e fiumi
profondi da cui la loro affinità con l’elemento acqua, i naga custodiscono
anche l'elisir della vita e dell'immortalità. Stando a una leggenda, quando gli dei stavano
distribuendo la vita tra le creature, i naga riuscirono a rubarne una coppa.
Gli dei recuperarono la coppa, ma nel farlo versarono parte del contenuto in
terra; i naga lo leccarono dal terreno, e così si tagliarono la lingua, che da
allora è biforcuta.
Spirito dell’acqua originaria, il naga è lo spirito di tutte le acque, sia di quelle che scorrono sotterranee,
sia quelle che scorrono sulla superficie della terra: gli inferi e gli oceani, l’acqua primordiale e la
terra profonda formano una materia prima, una sostanza primordiale che è quella
del serpente, l’emanazione dell’indifferenziato primordiale, da cui tutto
proviene e a cui tutto torna per rigenerarsi.
Secondo l'approccio psicoanalitico di GustavJung, il serpente è “un vertebrato che incarna la psiche inferiore, lo psichismo
oscuro, ciò che è raro, incomprensibile, misterioso” e ancora: "il serpente rappresenta la libido che si introverte. Attraverso l'introversione si viene fecondati da Dio, ispirati, ri-procreati e rigenerati" (Carl Gustav Jung, La libido, simboli e trasformazioni).
Rapido come un baleno, il
serpente visibile scaturisce sempre da una fessura o spaccatura, per sputare la
morte o la vita (che, come tutti gli opposti, coincidono), prima di ritornare
nell’invisibile. Gioca con i sessi come con tutti i contrari: è femmina e
maschio insieme, gemello di se stesso, al pari dei grandi dèi creatori che sono
sempre, nelle loro prime rappresentazioni, serpenti cosmici. La completa comprensione e accettazione del maschile e del femminile all’interno di ogni
organismo crea la fusione del due in uno, che quindi produce energia divina.
Due in uno. Distinti ma non separati.
In arabo il serpente è al hayyah, la vita al-hayat e uno dei principali nomi divini è Al-Hay, il che va a
tradursi non tanto come il vivente ma come il vivificante, il principio stesso
della vita che è simultaneamente morte: la muta della pelle, rigenerazione
attraverso la distruzione e anche trasmutazione del veleno.
Nel tantrismo è la Kundalini,
avvolta in 3 spire e mezzo alla base della colonna vertebrale e che, quando
risvegliata, sibilando ascende, energia creatrice a carattere sessuale, libido
quale manifestazione rinnovata della vita. Dal punto di vista macrocosmico, la
Kundalini ha il suo corrispondente nel serpente Ananta che serra fra le spire la base dell’asse del mondo (Axis
mundi, colonna vertebrale) e che, associato a Vishnu e Shiva, rappresenta
simbolicamente lo sviluppo e il riassorbimento ciclico. Quel ciclo naturale
Vita-Morte-Vita che, incessantemente, sostiene qualsiasi tipo di Creazione.
Il vocabolo sanscrito naga vuol
dire sia elefante sia serpente: essi esprimono l’aspetto terrestre, l’aggressività
e la forza della manifestazione del grande dio delle tenebre che è
universalmente il serpente.
Nel “Libro dei Morti”, testo sacro degli Egizi, il
serpente Atun padre dell’Enneade di Eliopoli proclama “Io sono colui che rimane…;
il mondo tornerà al caos, all’indifferenziato, io mi trasformerò allora nel
serpente che nessun uomo conosce, che nessun dio vede!”… Quale immagine migliore del primo deus
otiosus naturale nella sua trascendenza implacabile.
(Testo liberamente tratto dal Dizionario dei simboli di Jean Chevalier e Alain Gheerbrant).
La saggezza che ci rimanda
lo spirito del serpente è dionisiaca, richiama all’anima selvaggia, riconduce
direttamente alle origini della vita, emblema di una coscienza tremendamente corporea
– al di là di qualsiasi prudenza o morale nervosa – che si esprime, piuttosto,
con un ritmo e come uno stile di danza. E, tornando dal punto da cui sono partita, cosa
ricorda il movimento del serpente se non una danza interamente compiuta nell’istinto
più corporale che ci sia! “L’immaginale non è mai tanto vivido come quando
siamo legati istintualmente con esso” (James Hillman, Saggio su Pan)
Non rimane che goderci la danza
del Naga, tremando al ritmo del tamburo che ci invita a "rimuovere l’idea che
ciò che è luminoso tale invece non sia” (Thonban Hla)
Serpente… avanzi
strisciando
C’è il fuoco nei tuoi occhi.
Scuotimi, stimolami,
imparerò a comprendere
Riprese effettuate (con cellulare!) al Festival
dell’Oriente di Torino, sabato 19 marzo 2016
"O yogini che hai acquisito padronanza del Tantra, il corpo umano è la base per la realizzazione della saggezza e i corpi grossolani di uomini e donne hanno la stessa potenzialità, ma se una donna ha una forte aspirazione, il suo potenziale è maggiore" (La danzatrice del cielo. La vita segreta e i canti di Yeshe Tsogyel)
Per la cultura occidentale di oggi il sangue mestruale è un tabù quasi quanto quello della morte (ne ho parlato qui, se vuoi approfondire: Lo stato intermedio, quella “gaffe” chiamata morte. Ci si aspetta che le donne non gli prestino nessuna particolare attenzione, se non per nasconderlo, proteggersi dal suo flusso, anestetizzarsi dal dolore spesso associato ad esso. È innegabile che per una donna riprendere possesso e piena consapevolezza di sé e stabilire in sé il proprio centro deve passare attraverso una ri-conciliazione (perché spesso è proprio di questo che si tratta) con la ciclicità del suo periodo mestruale. In India è dato per scontato che durante le mestruazioni le donne abbiano accesso ai poteri della Dea Oscura (Shakti, forza creatrice primordiale, anima selvaggia). Detto in termini meno sciamanici... continua a leggere tutto l'articolo su:
Dal libro Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estès:
La donna sana assomiglia molto a un lupo: robusta, piena di energia, di grande forza vitale, capace di dare la vita, pronta a difendere il territorio, inventiva, leale, errante. Con la Donna Selvaggia come alleata, guida, modello, maestra noi vediamo con gli occhi dell'intuito, porta tutto ciò che una donna ha bisogno per essere e sapere. Porta il medicamento per tutto, porta storie e sogni, parole, canzoni, segni e simboli. E' nel contempo veicolo e destinazione. Riunirsi alla natura istintuale non significa disfarsi, cambiare tutto da sinistra a destra, dal nero al bianco, spostarsi da est a ovest, comportarsi da folli o senza controllo. Non significa perdere le proprie socializzazioni primarie, o diventare meno umane, significa piuttosto il contrario. La natura selvaggia possiede una ricca integrità. Significa fissare il territorio, trovare il proprio branco, stare con sicurezza e orgoglio nel proprio corpo indipendentemente dai suoi doni e dai suoi limiti, parlare e agire per proprio conto, in prima persona, essere consapevoli, vigili, riprendere i propri cicli, scoprire a cosa si appartiene, levarsi con dignità, conservare tutta la consapevolezza possibile.
La Donna Selvaggia in quanto archetipo, e tutto quanto sta dietro lei, è la patrona di tutti i pittori, gli scrittori, gli scultori, i ballerini, i pensatori, di coloro che compongono preghiere, che ricercano, che trovano, perché tutti loro sono impegnati nell'opera di invenzione, ed è questa la principale occupazione della Donna Selvaggia. Come in tutte le arti sta nelle viscere e non nella testa. Dov'è presente? Percorre i deserti, i boschi, gli oceani, le città, vive tra le regine, in sala di consiglio, in fabbrica, in prigione sulla montagna della solitudine. Vive nel ghetto, all'università e nelle strade. Lascia per noi delle impronte ovunque ci sia una donna che è terreno fertile. Per trovare dunque la Donna Selvaggia lasciamo cadere i falsi manti che ci hanno dato. Indossiamo il manto autentico dell'istinto possente della conoscenza. Infiltriamoci nei territori psichici che un tempo ci appartenevano. Sciogliamo le bende, torniamo a essere ora, le donne selvagge che ululano, ridono, cantano Colei che ci ama tanto. Senza di noi la Donna Selvaggia muore. Senza la Donna Selvaggia, siamo noi a morire. "Para Vida" tutte dobbiamo vivere.
Ogni volta che alimentiamo l'anima, è garantita una crescita
Mi hanno sempre detto che ero forte. “Hai un fisico esile ma sei forte dentro. Dai su Cecilia, sei forte tu”. E io a incassare senza comprendere, a ripetermi che forse sarebbe stato meglio avere un fisico più robusto ed essere debole, potermi permette di essere “debole”. Perché tutta questa forza, che mi veniva riconosciuta sin da quando ero piccola e io invece mi sentivo frantumare dentro, non mi lasciava in pace, non era pace ma guerra, antagonismo, quasi una condanna. Non la comprendevo, o meglio, non la riconoscevo, non la lasciavo agire e dunque mi lasciavo agire perché mi ero messa in testa che fosse la mia più grande sciagura, il mio più potente nemico era dentro di me, il demone che non amavo nemmeno un po’: forte come un uomo. Sì ma io ero una donna, una bambina, una adolescente, un’esile canna piegata dal vento. Forte come un guerriero, un samurai, un cavaliere, un supereroe. E la mia anima si nutriva di queste immagini avvolgendo il mio corpo da donna con coccole non troppo tenere, il mio corpo da donna mai eccessivamente marcato. Longilineo, senza troppe formosità, da eterna adolescente, androgino e quasi inconsistente, sembrava potesse evaporare da un momento all’altro e che a un soffio di vento un po’ più deciso avrebbe potuto spiccare il volo portandomi via, l’esile canna avrebbe potuto non piegarsi bensì spezzarsi… Ma poi, poi c’era sempre la famosa Forza, quel tormento che non aveva nome ma che so, ora lo so, seguiva le spietate “istruzioni” del Daimon – quell’attitudine per la quale si nasce e che attende solo di essere celebrata, chiamatelo destino se vi piace di più, o Dharma strizzando l’occhio allo yoga.
La mia precoce esperienza dell’androginia, sia fisica che psicologica che spirituale, è solo una traccia per me, una delle immagini su cui ho dovuto più insistentemente metterci il cuore, azzerando preconcetti, schemi educativi familiari, religiosi, culturali ecc. E se decido oggi di trascrivere queste parole più simili a una confessione, nell'articolo di marzo dedicato alle donne, è per donare una suggestione che su di me ha avuto un effetto conciliante molto profondo, dove per conciliante non intendo rassicurante (il Daimon che si svela, i demoni che ti chiedono di essere riconosciuti non lo sono mai) ma ri-unificante: essere integrale non vuol dire difendere né il maschile né il femminile ma accoglierli entrambi dentro di sé perché è di questo che siamo fatti, di opposti che si compenetrano ininterrottamente e l’equilibrio non sta mai nel fermarsi da qualche parte, ma nel compiere piccoli movimenti che ti mantengono al centro. A volte più che piccoli movimenti sono veri e propri tsunami, ma questa è un’altra storia. Trovare il mio centro ha voluto dire passare per una sorta di decostruzione linguistica ontologica: dare un nuovo nome a quella forza alla quale imputavo la mia non libertà di poter cedere, di poter “essere debole”. Dare un nuovo nome, non una nuova definizione beninteso, ma nome: Numen, termine latino per esprimere la potenza divina, senza scomodare il Nomen Omen l’inciso che suona più o meno come “il destino nel nome” e il biblico “In principio era il Verbo”.
“Io credo che tutto quel che realmente accade non tema la morte… Sono qui, forse un po’ in disparte, in direzione delle cose, ma sono qui, come le cose stesse, e come loro sono parte della nostra vita” (Rilke)
Come mi vedevano gli altri non era altro che la mia stessa visione terrificante dalla quale fuggivo, era un’altra immagine creata dall'anima affinché ne esperissi la potenza distruttiva e costruttiva al tempo stesso, anticonvenzionale, maschile e femminile, senza attaccamento per nessuna definizione, con la piena fiducia dell’essere esattamente come e dove dovevo essere: niente da guarire, definire, catalogare, tutto da amare, da rivelare, da potenziare. Ed allora, solo allora, dalla mia nudità esasperante senza alcun appiglio né definizione sessuale, mi sono rivestita di tutti i gioielli che non avevo mai osato indossare (perché a volte si ha paura di essere alla propria altezza, che non è questione di altitudine ma di espansione, poter contenere qualsiasi cosa): vulnerabilità, fragilità, tenerezza, sensibilità, ma anche giocosità, irruenza, insensatezza e follia… follia… follia…
Eccoli, i nuovi nomi, i Numina del mio femminile sacro.
Eccola, mi sono detta, la forza del mio essere donna (THA): quella luna che a volte si vede a volte no. La forza della mia debolezza, l’amazzone al galoppo. Amazzone magari ferita, ma libera di ascoltare il vento. Ed eccola, la forza del mio essere uomo (HA) – no, nessun supereroe: quel compagno che lascia essere la sua donna incontenibilmente se stessa, senza alcuna pretesa, timore o speranza, quell’ardore che mantiene in vita i sogni di lei e non il fuoco che li incenerisce, la forza di volontà che sostiene l’incedere creativo e irrazionale della sua controparte femminile. La bellezza degli amanti divini eternamente congiunti nell'abbraccio erotico: non hanno altro a cui tendere se non l’abbraccio che li fonde. Distinti ma non separati.
Vale sempre la pena ricordare che Yoga non vuol dire che questo: Unione.
“Smettila di pensare che devi migliorarti, incomincia a celebrare ciò che sei, così come sei… la storia che ti racconti e che racconti agli altri è divertente, potente, meravigliosa. È una operazione sciamanica, non psicologica, è una operazione estetica, non anestetica o terapeutica, è rituale, non teoria” (S.C.W.)