Questo testo è tratto dal Seminario La Poesia per meditare e "guarire" il Cuore tenuto presso l'Istituto Accademia Yoga di Roma sabato 2 dicembre 2023
"Vi darò un cuore nuovo
metterò dentro di voi uno spirito nuovo,
toglierò da voi il cuore di pietra
e vi darò un cuore di carne"
Bibbia (Ez 36,28)
Con un cuore di pietra non si può sentire, nè agire con umanità.
Non avere cuore è il contrario di "coraggio" che deriva dal latino COR HABEO: avere cuore, agire con il cuore. Chi è senza cuore (o con un cuore di pietra, chiuso, inaridito) vive in uno stato di anestesia, di non-sentimento, di astrazione mentale e di perpetua sofferenza.
La Poesia è la via del Cuore, apre nuovamente le porte del sentire, dell'emozionarsi e del commuoversi.
Il Cuore inteso non con sentimentalismo o come un caos di affettività incontrollata (le reazioni emotive sono ben altra cosa dalle emozioni superiori mosse dal "cuore di carne"). Il cuore inteso come l'organo dell'Intelligenza e dell'Intuizione, facoltà esclusivamente spirituale e non mentale: quell'"Intelletto d'amore" di dantesca memoria, l'Anahata Chakra della fisiologia esoterica yoga, il centro spirituale dell'uomo.
La Poesia rientra a pieno titolo in una Via iniziatica di elevazione interiore, animica, spirituale e ci risveglia alle qualità più profonde del nostro essere umani: esseri capaci di provare compassione.
La Poesia è la via dell'estasi estetica, e dunque l'antidoto per l'anestesia della cultura virtualizzata e sempre più digitalizzata dell'intelligenza artificiale.
La Poesia è un contagio che "fa bene al cuore", facilitando il processo alchemico della trasformazione dal cuore di pietra al cuore di carne, fino a completa sostituzione, fino all'incarnazione poetica che redime la materia, trasfigura la carne, converte la molteplicità nell'unico verso del canto assoluto dell'esistenza (conversione: cum vergere).
Scrive Yogananda nel suo libro L'eterna ricerca dell'uomo:
“I malumori sono contagiosi e, in tempi di depressione generale, essi possono contagiare un gran numero di persone. L’uomo non dovrebbe prendere troppo sul serio gli eventi infelici della vita. […] La Gita insegna: “È caro a me colui che non fa distinzione fra bene e male”. Avere una disposizione d’animo ottimistica e cercare di sorridere è cosa costruttiva e vale la pena farla perché ogni volta che esprimete qualità divine, come il coraggio e la gioia, voi rinascete di nuovo; la vostra coscienza si rinnova nella manifestazione della vostra natura, quella della vostra anima. Questa è la rinascita spirituale che vi pone in grado di “vedere il regno di Dio”.
La Poesia risponde a questo contagio animico, vitale che “fa bene al cuore” … è un invito a Sentire più che a Capire. Ci offre possibilità in gran parte inesplorate perché si è abituati a una lettura distratta e mentale dei versi poetici.
Le poesie non chiedono di essere capite intellettualmente, ma di essere sentite, percepite con tutto il corpo. Richiedono abbandono e disponibilità di apertura, in un certo senso, richiamano l’atteggiamento (bhav) dello yogi di interiorizzazione (riassorbimento contemplativo) necessario affinché la pratica yogica non sia una mera ginnastica: presenza viva nel corpo e attenzione rilassata sul respiro.
Allo stesso modo, affinché l’ascolto di un testo poetico non rimanga al livello superficiale dell’intellettualismo mentale, è necessario coltivare una disponibilità differente, essere disposti a rilassarsi rimanendo vigili e attenti (non si tratta di andare in stati di torpore o semi-incoscienza), mantenendo come riferimento di radicamento per non evadere nell’astrazione concettuale, il proprio corpo. Ed ecco che il nostro corpo, le sensazioni percepite con mente calma e rilassata, con il respiro che lo anima, diventa il canale meraviglioso di ri-connessione con la nostra vera natura, l’essere.
Sperimentare l’infinito nel finito, il senza forma attraverso la forma e – entrando nello specifico della poesia – il silenzio attraverso le parole.
Quando la poesia incarna la voce della verità profonda non condizionata, quando coglie l’anima essenziale del ritmo, colta da Agni (il "fuoco divino""che arde nel cuore dell’uomo), essa diviene Poesia mantrica. Una poesia si avvicina al mantra nella misura in cui incarna un’ispirazione intuitiva e rivelatoria (non una mera espressione di “emozioni dell’io personale).
"Nei tempi antichi queste cose erano dei Misteri, riservati a pochi iniziati, ora è tempo per l’umanità di aprirsi a vivere una Verità più grande, sì che anche la poesia possa recuperare qualcosa del suo antico prestigio". (Sri Aurobindo, Lettere sulla Poesia)
C'è un aspetto tattile che va sottolineato quando si parla della "via del cuore" affinché non rimanga qualcosa di puramente astratto, bensì un cambiamento radicale della prospettiva da cui si osserva la realtà. Tocco divino, musica “toccante”, cuore palpitante, luce pulsante: questo tornare al corpo lasciando la mente atterrare e riposare nelle sensazioni corporali (senza giudizio) depotenzia l’aspetto mentale intenzionale che contrae per facilitare l’ESPANSIONE, che si verifica in assenza di io personale.
Lasciar vivere la sensazione nel corpo consente la liberazione delle energie.
É un gesto di inclusione totale, non intellettuale, bensì letteralmente organico, una trasformazione cellulare.
“Pulsa qui nel mio cuore ove sboccia la Rosa” (Sri Aurobindo)
LA POESIA CONNETTE CON LA BELLEZZA DEL CREATO: METAFORA DEI CORDONI OMBELICALI
La dimensione universale dell'esistenza - quello spazio più ampio di visione che nella purezza del cuore si schiude ("Beati i puri di cuore perché vedranno Dio"), può essere compreso anche da queste pagine di Thich Nhat Hanh dove l'interconnessione che ci anima viene ben espressa, poeticamente, con la metafora dei cordoni ombelicali:
"Un giorno, mentre camminavo, avvertii qualcosa di simile a un cordone ombelicale che mi connetteva con il sole e con il cielo. Compresi molto chiaramente che, se il sole non fosse esistito, sarei morto all'istante. Poi vidi un cordone ombelicale che mi legava al fiume. Improvvisamente seppi che, se non ci fosse stato neanche il fiume, avrei perso la vita, perché non avrei avuto l'acqua da bere. Vidi anche un cordone ombelicale che mi univa alla foresta: i suoi alberi producevano l'ossigeno che mi permetteva di respirare, senza la foresta sarei morto. Percepii anche un cordone ombelicale che mi collegava al contadino che coltiva le verdure, il grano e il riso che cucino per nutrirmi. Quando si pratica la meditazione si comincia a vedere cose che gli altri non vedono. Anche se non ce ne accorgiamo, tutti questi cordoni ombelicali esistono e ci collegano a nostra madre, a nostro padre, al contadino nei campi, al sole, al fiume, alla foresta e così via. [...] Se dovessimo fare un disegno che ci ritrae con tutti questi cordoni ombelicali, scopriremmo che non sono solo cinque o dieci, ma forse centinaia o migliaia, e noi siamo collegati con ognuno di essi”.
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il viaggio continua ...
Roma, Istituto Accademia Yoga 2 dicembre 2023 |
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Breve racconto poetico sull'arte del vivere e del morire ispirato a una storia vera, il viaggio dell'autrice in una delle città più sacre e controverse dell'India: Benares.
Testo e foto di Cecilia Martino.
Formato e-book Kindle