I mantra, letteralmente "strumento della mente, del pensiero" sono il cardine della scienza del Japa Yoga, lo Yoga dell’Energia del Suono, uno dei sentieri autorealizzativi dello Yoga.
“La ripetizione metodica e continua del Mantra permette la realizzazione dell’Aspetto Divino invocato”.
In questo aforisma
contenuto negli Yoga Sutra di Patanjali (uno dei testi di
riferimento fondamentali dello Yoga) si trova condensato il senso dell’utilizzo
dei mantra a scopo evolutivo e realizzativo che è il fine ultimo dello Yoga:
realizzare lo stato di beatitudine nell’Unione con l’Atman, il Divino
imperituro e assoluto, la nostra vera natura.
I mantra svolgono tale
importante funzione utilizzando il potere del suono e della vibrazione. Sono il
cardine della scienza del Japa Yoga, lo Yoga dell’Energia del Suono,
uno dei sentieri autorealizzativi dello Yoga.
Letteralmente Mantra vuole
dire “strumento della mente, del pensiero”: l’etimologia richiama la parola
sanscrita “manas” che si riferisce alla sostanza mentale e “traya” ciò che
tranquillizza. L’effetto della ripetizione dei mantra ha come effetto
principale quello di acquietare la mente, rendendola più ricettiva
all’assorbimento di energie superiori, vibrazioni cosmiche benefiche che si
ripercuotono anche a livello del corpo fisico (Anna Maya Kosha). I mantra agiscono
a livello dei corpi più sottili (Prano Maya Kosha, Mano Maya Kosha, Vijnana Maya
Kosha e Ananda Maya Kosha) che vengono sollecitati, potenziati e riarmonizzati.
Il mantra conferisce
pace, beatitudine, illuminazione e consapevolezza. Risveglia l’intelletto
aprendo l’intuito; il pensiero creativo si verifica spontaneamente quando si
lascia scorrere la ripetizione del mantra al posto della mente pensante.
Il mantra sostituisce la centratura sull’ “Io” con la centratura su “Dio”.
A tal fine, però, non
basta la ripetizione automatica, distratta, apatica del mantra, bensì è
necessario il giusto atteggiamento (umiltà, devozione, fiducia,
apertura), ricettività e partecipazione attiva in uno stato rilassato ma
vigile.
In sanscrito si utilizza il termine bhava che indica il
sentimento, la disposizione interiore, l’attitudine utile per ottenere i
migliori risultati dalla Sadhana (pratica di Yoga). Per l’esattezza, il japa mantra
deve essere eseguito con fede (shraddha), amore (bhava), concentrazione
(dharana) e senza desiderio di benefici personali, cioè con un atteggiamento che
favorisca lo sviluppo del distacco interiore (vairagya).
La ripetizione continua
del mantra, di un nome sacro, di una preghiera, tenendo a mente e facendo dischiudere
nel cuore il significato spirituale delle parole usate, è l’essenza del japa. La
pratica del japa pone l’accento sull’aspetto di continuità e ripetizione
ininterrotta, requisito fondamentale per neutralizzare la naturale tendenza
dispersiva della mente (vikshepa) e tenerla focalizzata sulla contemplazione
della vera essenza (Atman).
Saturare la mente di mantra è il continuo scorrere
della coscienza divina dentro al cuore.
È molto importante
ricordare che qualsiasi strumento utilizzato dallo Yoga non ha un potere in sé
stesso, ma viene “attivato” dalla coscienza del praticante: lo Yoga è un
processo scientifico di risveglio della Coscienza Superiore che implica il
coinvolgimento sempre vivo del ricercatore, “tapas”, aspirazione o fuoco
spirituale, disciplina, buona volontà e Surrender (resa totale al divino, dono
di sé).
Il vero potere di
risveglio non sta nell’utilizzo mnemonico e automatico di strumenti esterni
imparati con la tecnica, bensì nell’apertura del cuore e nella liberazione del
potenziale interiore insito nel profondo dell’essere umano.
La tecnica del mantra, se
avvicinata in modo scorretto, può in tal senso essere insidiosa e indurre
l’adepto a credere che basti cantare qualche mantra ogni tanto – attività
piacevole e rilassante – per dischiudersi alle verità superiori o per ottenere
benefici duraturi. Dietro ai mantra c’è una scienza esatta che solo l’autentica
ricerca e auto indagine perseverata con sentimenti non personalistici di apertura
e devozione potrà eventualmente essere rivelata al cuore del Sadhaka.
I DIVERSI TIPI DI MANTRA E IL LORO
UTILIZZO NELLA SADHANA
I mantra sono dei suoni
mistici, formule intrise di vibrazioni molto elevate in quanto sono state
ricevute dai grandi Rishi (veggenti) dell’India per intuizione diretta durante
stati di profonda meditazione e contatto con l’Assoluto. Il potere della
ripetizione cosciente ha poi consegnato a queste formule sacre ulteriore energia, dal
momento che esse hanno assorbito per secoli l’energia e l’intenzione spirituale
dei Rishi e dei grandi Maestri risvegliati che li hanno ripetuti, incarnati e
trasmessi ininterrottamente come parte della Via autorealizzativa dello Yoga,
da oltre 5000 anni.
I mantra utilizzati dal Japa Yoga possono distinguersi
a grandi linee in questi tre tipi:
Versi, sloka e aforismi tratti dai libri sacri (Upanishad, Veda etc.)
Bija mantra
Pranava Om
MANTRA DAI LIBRI SACRI
Formule più estese, sono i
versi (sloka) contenuti nei Veda, nelle Upanishad e in altri testi sacri dell’India,
i libri rivelati (shrutis). Sono anche mantra specifici consegnati dal guru al
discepolo, al tempo della sua iniziazione e che il discepolo non dovrà mai
rivelare.
Recitare tali mantra, comprendendone il significato profondo mediante
l’approfondimento delle letture da cui sono ricavate, sostiene il risveglio
della conoscenza intuitiva della Verità dell’adepto che vi si accosti con
attitudine devozionale (Bhakti) e conoscitiva (Jnana).
Durante le lezioni di
Hatha Yoga possono essere cantati all’inizio e alla fine della pratica per
indurre uno stato di quiete e ricettività mentale. Tra questi ci sono il
Gayatri Mantra (il mantra della Realizzazione Interiore), il Purna Mantra
(mantra della Coscienza Cosmica), il Mrityunjaia Mantra (mantra dell’Immortalità),
Svasti Mantra (mantra della Prosperità), Sat Mantra (il mantra della Conoscenza
Interiore), Saha Mantra (mantra della Protezione), Sarve Mantra (mantra della
Gioia), Gurur Mantra (mantra della Saggezza), Ananda Mantra (mantra
dell’Armonia).
Citiamo inoltre i quattro Mahavakyas, ovvero le “grandi sentenze o detti” dei Veda, meditando le quali la mente viene condotta dal mondo dei nomi e delle forme a Brahman, puro Essere supremo e indivisibile.
1. Prajnanam Brahma: Brahman è pura
Intelligenza-Coscienza
2. Aham Brahmasmi: Io sono Brahman
3. Tat tvam asi: Tu sei Quello
4. Ayam atma Brahma: Questo atman è Brahman
Il primo si trova nella
Aitareya Upanishad del Rig Veda e contempla Brahman come conoscenza
infallibile, conferisce la conoscenza dell’Io.
Il secondo – che si trova
nel Bridad-aranyaka Upanishad del Yajur Veda – è una diretta presa di coscienza
che mostra il “testimone unico dell’Universo” (Io sono Brahman).
Il terzo, contenuto nella
Chandogya Upanishad del Sama Veda, “Tu sei Quello” indica l’identità dell’anima
individuale con il Brahman o puro Spirito.
Il quarto si trova nella Mandukya Upanishad della Atharva Veda ed è la parola che procura la visione diretta grazie alla quale si giunge alla conoscenza di Brahman.
Ecco un esempio di come
Swami Sivananda, nel suo libro Concentrazione e Meditazione, spiega l’utilizzo
a fini meditativi del mantra Aham Brahmasmi:
“Provate costantemente ad essere il puro Sat-chit-ananda vyapaka atman (esistenza assoluta, conoscenza assoluta, felicità assoluta, Brahma onnipenetrante), mentre ripetete mentalmente “Aham Brahmasmi”. Ma la sola ripetizione con le labbra non può dare grande profitto. Dovete provarlo intensamente, nel profondo del cuore. Giungerete gradualmente allo stato di coscienza superiore per l’esistenza di questo sentimento profondo (bhava) […] In questa meditazione il corpo e l’universo sono concepiti come delle espressioni di Brahman nel quale sono inclusi”.
Con la ripetizione sincera di questo mantra – specifica Sivananda – “la
meditazione si focalizza e si espande su questi concetti: Infinità sono io,
Eternità sono io, Immortalità sono io.” Si può così raggiungere l’intuizione
diretta dell’ignoranza di base (avidya) che confina l’essenza eterna dell’uomo
nei limiti del mondo dei nomi e delle forme, del corpo e della mente limitata,
mediante il processo dell’identificazione con ciò che è provvisorio e relativo. In tal senso, un'altra definizione di mantra è "Suono che libera la mente dall'ignoranza".
BIJA MANTRA
Il secondo tipo di mantra
utilizzato nel Japa Yoga sono i bija mantra, i suoni-seme che nella fisiologia
esoterica dello Yoga sono associati ai Chakra (centri di energia supersottile o
ruote vitali), alle relative Nadi (canali energetici o condotti supersottili) e
alle divinità tutelari (Istha Devata) che riflettono e potenziano differenti
aspetti divini. In questo caso il mantra è considerato al pari di una Divinità.
La Bibbia dice: “In
principio era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio”, non
diversamente dal Rig Veda: “In principio era il Brahman, con cui era la Parola;
e in verità la Parola era il Brahman supremo”. In quanto tale, il mantra
contiene un potere trasformativo divino, o shakti, che si manifesta attraverso
il suono.
Ciascun bija mantra ha un percorso grafico, una forma geometrica o yantra, che gli corrisponde come una mandala. Ripetendo il mantra di un particolare Santo, Siddha o Divinità, è possibile invocare la sua presenza e le sue benedizioni.
Durante le lezioni più
avanzate di Hatha Yoga, nel Kundalini Yoga e nel Tantra, i bija mantra vengono
utilizzati insieme alle visualizzazioni dei relativi Chakra al fine di
potenziare il risveglio delle energie interiori durante la fase del
mantenimento prolugato dell’asana. Favoriscono la concentrazione, l’interiorizzazione
e lo sblocco delle energie associate ai Chakra di riferimento.
I bija mantra principali associati ai 7 Chakra sono:
LAM
– Muladhara Chakra con 4 Nadi i cui bija mantra sono: Vam, Sam, Sham, Kham
VAM –
Swadhistana Chakra con 6 Nadi i cui bija mantra sono: Bam, Bham, Nam, Yam, Ram, Lam.
RAM –
Manipura Chakra con 10 Nadi i cui bija mantra sono: Dam, Dham, Nam, Tam, Tham, Dam, Dham, Nam,
Pam, Pham.
YAM –
Anahata Ckakra con 12 Nadi i cui bija mantra sono: Kam, Kham, Gam, Gham, Gnam, Cham, Chham, Jam,
Jham, Jnam, Tam, Tham.
HAM
– Vishuddha Chakra con 16 Nadi i cui bija mantra sono: Am, Aam, Im, Iim, Um, Uum, Rm, Rrm, Lm, Llm,
Em, Aim, Om, Aum, Am, Ah.
OM –
Ajna Chakra (o Trikuti) con 2 petali laterali (formati ognuno da
48 nadi) i cui bija mantra sono: HAM e KSHAM
OM
-Sahasrara Lotus con 1000 o 960 nadi.
PRANAVA: LA SILLABA SACRA
OM
“Cerca il suono che non si arresta mai” (Rumi)
Il mantra OM è l’essenza
stessa dello Yoga, suo simbolo per eccellenza e radice di ogni mantra di ogni
suono, di ogni parola, di ogni possibile manifestazione universale. Pranava - la cui etimologia richiama "ciò che viene prima" (prn) e "suono" (na) - ci indica chiaramente che è il Suono dal quale origina ogni altra possibile parola, ed è per questo che tutti i mantra iniziano sempre con la Om, il suono trascendentale dell'Inizio, di qualsiasi possibile cominciamento.
Questo simbolo
sacro (omkara) si lega alla visione che gli antichi Rishi e yogi avevano del
Cosmo e della creazione intesa come un movimento costante di espansione, mantenimento
e dissoluzione (Trimurti) alla cui origine – secondo le sacre scritture vediche
- sarebbe proprio la vibrazione Om. Per essere in armonia con la mente
universale, lo yogi riproduce tale suono con tono lungo, costante e profondo.
Gli aforismi 27, 28 e 29
degli Yoga Sutra di Patanjali recitano:
“Egli è espresso dalla
parola OM”.
“Questa parola deve
essere ripetuta con meditazione sul suo significato”.
“Da ciò viene la
conoscenza dell’Atman e la distruzione degli ostacoli a quella conoscenza”.
Sostanzialmente ci viene
indicato che ripetere il mantra OM, meditando sul suo significato, è un modo
per realizzarci interiormente.
Come si ripete la OM?
OM è composto originariamente da tre suoni: la A, la U e la M.
Il praticante si mette in
una posizione seduta comoda con la spina dorsale verticale. Effettua una
profonda inspirazione, poi, aprendo la bocca pronuncia durante l’espirazione il
suono A concentrandosi sul centro dell’emotività, il plesso solare nell’area
addominale. Poi passa al suono U portando la mente all’altezza del cuore e
continua con la M prolungata portando la coscienza sulla parte alta del capo.
Questa vibrazione
energetica scuote e vivifica tutte le cellule dell’organismo purificando e
aprendo, a livelli sottili, tutte le Nadi (i Canali Energetici) dell’essere
umano.
Il fatto che tale suono
mistico sia composto da tre sillabe richiama molte corrispondenze inerenti al
numero 3. Per l’esattezza, 3 + 1: il punto in alto nella rappresentazione
grafica della OM rappresenta quello che nelle Upanishad viene chiamato “il
Quarto”, lo stato trascendente della Pura Coscienza, la realizzazione del Turiya,
l’immortalità dell’anima.
Tre come la Trimurti dei
tre aspetti divini simboleggiati da Brahma (Creazione) Vishnu (Conservazione) e
Shiva (Trasformazione).
Tre come le tre essenze
qualità divine Sat (Esistenza) Cit (Conoscenza) e Ananda (Beatitudine)
Tre come gli stati di
Coscienza che dall’ordinario (stato di veglia, di sonno e di sonno profondo
senza sogni) conducono alla Supercoscienza unitiva del Samadhi, il quarto stato
Turiya, il Vuoto, il Supremo, l’Immortale e l’Immutabile. Tali stati
corrispondo a loro volta ai livelli fisico (suono A), mentale ed astrale (suono
U), il livello più sottile del sonno profondo (suono M) che è posto fuori dalla
portata dell’intelletto. Il Sé o Atman è testimone distaccato dagli stati di
veglia, sogno e sonno profondo.
Swami Sivananda esorta
nel libro Meditazione e Concentrazione:
“Fissa la tua mente su questo suono mistico (pranava-dhvani) ed entra senza sforzo nella comunione suprema”.
IL MANTRA SENZA PAROLE (AJAPA MANTRA) O MANTRA DEL RESPIRO
Un altro modo di richiamare la OM e il suo profondo significato spirituale è con il mantra So’ham che significa “Io sono Lui, io sono Brahman”. SO si traduce con “Lui” e AHAM con “io”. Questo mantra prende nella Ishavasya Upanishad la forma di “Sohamasmi”. So’ham non è altro che OM, elidendo infatti le consonanti S e H si ha OM; dunque, non è altro che il pranava modificato. So’ham è il soffio vitale e OM è l’anima del soffio. Questo mantra è adatto ad essere associato alla respirazione, infatti, non fa altro che riprodurre in maniera spontanea il suono naturale del respiro: inspirando si produce un suono simile a SO ed espirando un suono simile ad HAM. Questo fatto viene chiamato il mantra senza parole (ajapa mantra) perché le labbra non si muovono durante la respirazione. Alla tecnica approfondita di questo mantra e della sua variante “hamsa so’ham, so’ham hamsa” è dedicata una intera Upanishad: Hamsa Upanishad.
In sostanza, la OM sintetizza
la Sadhana dello Yoga e – in quanto simbolo impersonale e universale - il fine
ultimo della vita umana: quello di giungere a comprendere l’essenza spirituale,
immortale e incorruttibile che ci anima, sperimentare il mondo fenomenico e
tutte le creature come manifestazione di tale principio spirituale, fino a
mantenere una ininterrotta immersione della coscienza Io-separativa nella
Coscienza Dio-unitiva. Tale tentativo di sentire d’essere il tutto può essere
facilitato con l’associazione di qualche simbolo verbale.
La OM – scrive Swami Sivananda – “da tempi immemorabili è servito ad
esprimere l’idea di unità. Il metodo migliore, dunque, consiste nel ripetere
questa parola OM e nel meditare in continuazione sul suo significato”.
Sri Aurobindo,
grande filosofo, poeta e mistico indiano, padre del Purna Yoga (lo Yoga
Integrale) fu un grande utilizzatore del mantra, nonché uno degli esponenti di
poesia mantrica mistica probabilmente più raffinati della letteratura indiana a
fini evolutivi. Negli ultimi 30 anni della sua vita, ovvero fra il 1920 e il
1950), Sri Aurobindo ha privilegiato soprattutto la composizione poetica
consegnando alla sua ultima colossale opera in versi, Savitri, tutto lo
spessore di un testamento spirituale per l’umanità intera. Così si esprime nelle
sue Lettere sulla Poesia (Letters on Poetry and Art):
“La parola è un suono espressivo dell’idea. Nel piano soprafisico, quando l’idea è realizzata, mediante la ripetizione della sua espressione verbale si possono produrre vibrazioni in grado di preparare la mente alla realizzazione dell’idea. È questo il principio del mantra”.
Mirra Alfassa, compagna spirituale di Aurobindo nota come La Mère, fece della ripetizione del mantra Om Namo Bhagavate, una delle pratiche ininterrotte sino alla fine della sua vita mortale. Il mantra scelto da Mère è uno dei più antichi dei Veda e, nella sua versione estesa presente nel Rig Veda, suona così: Om Namo Bhagavate Vasudevaya che vuol dire “Saluto la Verità Suprema nella forma di Vasudeva”. Vasudeva è uno dei volti di Krishna ma può essere simbolicamente recepito come l’aspetto amorevole e sapiente del divino, universalmente valido. Le vibrazioni contenute nel mantra sono quelle dell’amore incondizionato e, dove c’è tale tipo di amore totale, non può esistere paura. Con il mantra si diffonde nel corpo l’assenza della paura e, dunque, il rilassamento profondo, si creano nuove contagiose “abitudini” cellulari, quelle della “vibrazione di verità”, come la chiamava Mère per distinguerla dall’abitudine menzognera di essere sempre in trepidazione per qualcosa e, di conseguenza, contratti e tesi.
Un aspetto molto profondo
dei mantra, a cui il sincero ricercatore può accedere per esperienza diretta, è
che non si tratta di formule psichiche atte a ipnotizzare la coscienza a mo’ di
formule magiche, ad ammaliare e a far evadere la mente dell’adepto verso mondi
ideali isolandolo dalla realtà.
Le vibrazioni mantriche, quando correttamente
ricevute, entrano nel corpo e consentono quella che potrebbe definirsi una
esperienza tattile di Dio, quasi un toccare la divinità che vibra in ogni
cellula del corpo fisico. Sivananda definisce spesso la meditazione come un
“toccare Dio”, il tocco della Grazia che diviene così tangibile e concreto da
non consentire più alcun dubbio mentale a riguardo. Quando tale tocco accade,
Dio non è più un concetto astratto, un ideale come un altro a cui l’ego si
attacca in maniera indefessa e sconsiderata, magari a fini compensativi, senza
discernimento e compassione vera. Quando tutto il corpo viene invaso da tale
soffio soprannaturale, evanescente eppure tangibile e indiscutibile, si è
pronti per attuare la vita divina sulla terra, quell’alto ideale che tutti i
più grandi maestri dello Yoga hanno letteralmente incarnato.
È fondamentale
ricordare che è solo mediante il veicolo del corpo fisico e della mente e dei
sensi che è possibile realizzare ciò che trascende corpo, mente e sensi.
Alla luce di questa
consapevolezza, l’incarnazione su questa terra dovrebbe essere vissuta come un
privilegio, non come un peso o una condanna.
Ce lo ricorda, tra gli
altri, Annamalai, uno dei discepoli diretti di Ramana Maharshi:
“Il corpo umano è il solo veicolo con cui è possibile realizzare il Sé immanifesto. Con il corpo e la mente possiamo investigare e scoprire la Realtà che rimane intoccata dal corpo e dalla mente”.
A conclusione, riporto le
potenti vibrazioni del Purna Mantra, l’Invocazione che apre la Sri Isopanisad (Isha Upanishad o Isavasya Upanishad).
Che
il Suono della Coscienza e Conoscenza Cosmica possa penetrare in ogni cellula del corpo
fisico apportando trasformazioni spontanee, benefiche, durature a tutti i
livelli.
Om.
Quello è il Tutto. Questo è il Tutto.
Da Tutto sorge il Tutto
Se dal Tutto è preso il Tutto
Solo il Tutto rimane.
Om Shanti Shanti Shanti!
OM
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