21 settembre 2016

Grecia: Delfi, l'ombelico del mondo e della Grande Madre

Tempio di Apollo, Delfi - 11 Settembre 2016

Delfi, il cuore oracolare della Terra antico oltre 2000 anni, continua a proferire i suoi vaticini a chi ha orecchie per sentire e occhi per vedere, al di là delle folle di turisti e della manualistica accademica, dentro un silenzio che si respira con la pratica dell'attenzione. 

Lo spirito di Delfi risuona con la bellezza di Apollo, qui si trova il maggiore santuario dedicato a lui, avvenente dio amante della musica e delle arti – sembra quasi di vederlo in diletto con le sue Muse tra le creste selvatiche del Parnaso! – contornato da una miriade di simboli legati alla sua mitologia: delfino, alloro, tripode, l’amore nella forma spirituale (l’apollinea tensione estetica cui corrisponde l’opposto fervore estatico dionisiaco). Quell'AMORE che, sempre e da sempre, smuove il mondo, onnipresente forza da cui scaturiscono tutti gli eventi e le vicissitudini, anche sull’Olimpo. 

Amare ed essere amati, in sostanza, è il nucleo essenziale della vita, un amore privo di attaccamenti, pregiudizi e aspettative che può compiersi solamente nel ritrovamento interiore, quella voce che ha tutte le risposte, quell'abbraccio che ha tutta la potenza dell’universo intero, quel centro perfetto di sé da cui si diramano le trame del mistero a cui darsi incessantemente.  

Gnothi seauton! 
Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’universo!


Per darsi, occorre superare tutti i confortevoli appigli mentali e precipitare nel regno imponderabile dell’invisibile e dell’inatteso. Solo questo vuol dire amare. Delfi, terra di misteri, oracoli e vaticini, luogo sacro più importante dell´antica Grecia, ce lo ricorda ad ogni passo. 


COSA HA DA DIRCI L'ORACOLO DI DELFI

La rupe chiamata Hyampeia, sul Parnaso, davanti al Tempio di Apollo, dove – secondo Plutarco – trovò la morte il favolista Esopo, accusato di sacrilegio dagli abitanti di Delfi. Foto ©Cecilia Martino
La rupe chiamata Hyampeia, sul Parnaso, davanti al Tempio di Apollo, dove – secondo Plutarco – trovò la morte il favolista Esopo, accusato di sacrilegio dagli abitanti di Delfi. Foto ©Cecilia Martino

La Pizia (la quale veniva scelta tra le donne meno colte del popolo) proferiva i suoi responsi in stato di trance, masticando foglie di alloro (simbolo del dio di cui si faceva tramite) e inalando i vapori eccitanti (etilene) scaturenti dalla fessura del suolo che di sicuro contribuivano all'effetto esilarante, ma il punto è: non servono nozioni intellettualistiche per dialogare con l’anima, l’anima non ha bisogno di idee, ma di spazio. Lo spazio dell’intuizione e della creatività. La divinità si concede se sei in grado di andare fuori controllo e non servono gas esilaranti o sostanze allucinogene, ma un’attitudine certa a morire a se stessi e al proprio ego. Ci vuole purezza di intenzioni (e vergine doveva essere la Pizia, oltre che poco colta). La Pizia partoriva sentenze incomprensibili (che poi venivano “tradotte” dai sacerdoti del tempio), selvaggiamente scomposta nel suo sacrum facere come le sciamane di ogni tempo che vengono possedute da spiriti e forze naturali a cui offrono il corpo per potersi fare tramite di messaggi oracolari che non chiedono di essere interpretati, analizzati, compresi con la mente. Le voci degli oracoli, degli sciamani, dei mistici sono canti a cui affidare piuttosto il cuore. Sono la Poiesis direttamente in azione, occorre solo aprirsi con fiducia ad essi.
La Pizia, Oracolo di Delfi

La Pizia nella sua estasi vaticinante è l’elemento femminile da cui scaturisce il caos della creazione, il fermento di ogni nuova vita, possibilità di rigenerazione costante, il tremore stesso della Madre nel suo atto di puro piacere creativo, l’ombelico centro vitale, quell’omphalós (vaso a forma di uovo) che spicca ancora oggi tra le rovine del sito archeologico di Delfi. Da lì, cioè direttamente dal ventre della Madre Terra, l’ombelico sacro del mondo, la profetessa riceveva l’ispirazione. Lì seduta su un calderone sacrificale chiuso da un coperchio e poggiato su un tripode.
L'omphalos di Delfi - Foto ©Cecilia Martino
L’omphalos di Delfi – Foto ©Cecilia Martino



A tentare di interpretare i messaggi della Pizia per restituirne una sorta di senso ai richiedenti venuti fin lì da ogni dove, non poteva che essere l’elemento maschile, i Sacerdoti, non solo uomini ma anche religiosi, rivestiti cioè di un ruolo ben preciso all’interno del tempio (la corporazione sacerdotale). La Pizia è una outsider per eccellenza. Ci richiama al senso autentico del sacrum facere, quello non filtrato dalla religione, che non chiede dogmi a cui credere ma esperienze dirette per celebrare la vita in tutta la sua integrità. Il rito sta al corpo come l’analisi sta alla mente. Nel corpo che diventa veicolo di contatto e dialogo con l’anima si sedimenta la conoscenza diretta del divino, quella intuitiva che si sperimenta fin dentro le cellule. Il corpo nella sua immobilità meditativa o nella sua scomposta trance estatica è il simbolo per eccellenza del viaggio verso l’invisibilità, che è il darsi al mondo degli spiriti, al divino, all’anima mundi. Corpo in greco si dice soma e con soma nello yoga si indica anche l’amrita, l’elisir divino, il nettare dell’immortalità. La cerimonia oracolare a Delfi prevedeva anche l’offerta sacrificale di una capra che precedeva la consultazione della Pizia. A livello simbolico, l’offerta del corpo quale cibo per gli dei, è sempre un morire a se stessi, de-personalizzare la realtà vedendone la sostanziale impermanenza di fondo quale immagine, sogno, pura apparizione. Il rito del Chöd (offerta del corpo) propria del misticismo tantrico tibetano è in tal senso esemplare.

Vale la pena meditare sul fatto che l’oracolo
non dà mai risposte certe, anzi.
E che forse dovremmo smettere di cercarle.
All’anima che si svela e che tutto contiene
non servono conclusioni, ma ispirazioni.

“L’oracolo non dice né nasconde: dà segni” 
(De Pythiae oraculis, Plutarco)



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